23 dicembre 2012 - Se c'è una cosa che ha sempre colpito Mario Monti nelle sue diverse incarnazioni —economista, euro commissario, premier tecnico— è la circolarità della storia italiana. Vent'anni fa il Paese era in una situazione non dissimile da quella di oggi: choc finanziario con l'espulsione della lira dal sistema di cambio europeo, cesura politica con il disgregarsi del sistema dei partiti, trauma sociale con l'esplodere della prima disoccupazione giovanile di massa.

Anche allora l'Italia si affidò ai cosiddetti «tecnici» per attraversare il guado. Già a quel tempo l'agenda di Monti —economista e commentatore— era la stessa che  ha presentato questa mattina: correzione dei conti pubblici in primo luogo attraverso una riduzione della spesa, privatizzazioni, apertura dei settori più sclerotici dell'economia agli esclusi oggi privati delle opportunità, equità ed equilibrio finanziario tra le generazioni. E oggi come allora indicazioni che hanno come sfondo l'Europa.

Monti sa che di quest'agenda in un anno così difficile è riuscito a indicare quasi solo il senso di marcia, oltre ai primi interventi d'urgenza per stabilizzare il sistema. Il Premier sa anche che esiste un'altra parte di questo manifesto, impossibile questa da infilare in un elenco da tecnocrati. È quella che si riassume nella parola fiducia: degli italiani in se stessi, nelle loro istituzioni, nei confronti dell'Europa e dell'economia aperta così come oggi è praticata in quasi tutto il mondo.

Anche nel 1992 l'Italia era davanti allo stesso bivio di oggi, ma per molti aspetti sprecò quella crisi. Il sistema politico si ricompose, l'emergenza si allontanò, l'Italia alla fine degli anni Novanta entrò nell'euro ma senza affrontare alla radice le storture che ancora oggi le impediscono di crescere e di creare posti di lavoro, non debiti. Da allora la storia ha compiuto un altro giro completo.

Monti in tutto questo tempo è rimasto super partes, una condizione anche psicologica che ha finito per far parte della sua stessa identità. Ma se oggi il Premier ha davvero un'ambizione personale è che il Paese non finisca per «sprecare anche questa crisi» come disse Rahm Emanuel, ex collaboratore di Barack Obama, questo sì che sarebbe terribile.

 

(federico fubini / corriere.it / puntodincontro)

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23 de diciembre de 2012 - Si hay una cosa que siempre le ha llamado la atención a Mario Monti en sus diversas facetas —economista, comisario europeo, primer ministro técnico— es la ciclicidad de la historia italiana. Hace veinte años, el país se encontraba en una situación no muy diferente a la de hoy: shock financiero con la expulsión de la lira del sistema cambiario europeo, ruptura política con la desintegración del sistema de partidos, trauma social con la explosión del desempleo juvenil masivo.

También en aquél entonces Italia se encomendó a los llamados «técnicos» para cruzar el vado. Ya en esa época la agenda de Monti —como economista y comentarista— era la misma que volvió a presentar esta mañana: corrección de las finanzas públicas principalmente a través de una reducción en el gasto, privatizaciones, apertura de los sectores menos dinámicos de la economía a los excluidos que hoy se encuentran sin oportunidades, equidad y equilibrio financiero entre las generaciones. Y en aquél entonces, como hoy, la ruta a seguir tenía a Europa como telón de fondo.

Monti sabe que, en un año tan difícil, sólo pudo indicar el rumbo para la aplicación de un programa mucho más complejo, además de llevar a cabo las primeras intervenciones de emergencia para estabilizar el sistema. El primer ministro también sabe que hay otra parte de este manifiesto que no puede ser impuesta por un grupo de tecnócratas: es la que se puede resumir en la palabra confianza: de los italianos en sí mismos y en sus instituciones, así como hacia Europa y la economía abierta, que ya se practica hoy en día en casi todo el mundo.

También en 1992 Italia se enfrentó a una situación similar a la de hoy en día, pero en muchos aspectos se desperdició esa crisis. El sistema político se recompuso, la emergencia se alejó y así Italia —a finales de la década de los noventa— se integró al euro, pero sin resolver de raíz las torceduras que aún nos impiden crecer y crear puestos de trabajo, no deudas. Desde entonces, la historia cumplió otro ciclo completo.

Monti durante todo este tiempo se ha mantenido sin afiliación política, una condición también psicológica que ha llegado a ser parte de su propia identidad. Pero si hoy el primer ministro tiene realmente una ambición personal es que el país no termine "desperdiciando esta crisis", como dijo Rahm Emanuel, un ex colaborador de Barack Obama: eso sí sería terrible.

 

(federico fubini / corriere.it / puntodincontro)