27 settembre 2011. - In Italia è conosciuto come l’erede di Marshall McLuhan, di
cui è stato allievo e poi assistente per oltre 10 anni. Tra l’83 e il 2008 è
stato direttore del programma McLuhan in cultura e tecnologia all’Università di
Toronto. È pure canadese (naturalizzato) come il celebre massmediologo, di cui
quest’anno si è festeggiato il centenario. Ma Derrick De Kerckhove, 67 anni
portati con allegria, occhi azzurri sotto una massa di capelli argentei ribelli
e fisico dinoccolato, di canadese si riconosce solo lo sguardo critico verso gli
Usa, l’ingombrante superpotenza vicina di casa. Nato in Belgio, vive tra Nizza,
Barcellona e Napoli, dove insegna sociologia. Parla almeno quattro lingue con
disinvoltura, tanto che a volte le lingue si mischiano e, per dirla con McLuhan,
il mezzo diventa il messaggio. Non sembra un problema per i suoi studenti, che
lo considerano un guru. Lo abbiamo incontrato agli Stati Generali della Cultura
Popolare in corso in questi giorni a Torino (oggi la chiusura).
«Il mezzo è il messaggio» è un’espressione
che ha ancora senso?
«Già nel 1961, quando Internet era un sogno, McLuhan parlava di un
nuovo medium che “non sarebbe stato contenuto nella tv, ma l’avrebbe contenuta
in sé, avrebbe reso obsoleta l’organizzazione delle biblioteche e sviluppato in
ciascuno il potenziale enciclopedico”. Basta pensare al Web di oggi, con YouTube
e Wikipedia, per capire che McLuhan aveva previsto tutto. Oggi direbbe “Internet
è il mezzo”».
Come cambia l’oralità ai tempi del Web?
«Il linguaggio della scrittura finché non è diventato elettronico era
silenzioso, interiore. Oggi siamo produttori della nostra oralità, che è
pubblica perché condivisa in Rete alla velocità della luce con un linguaggio
allo stesso tempo interiore ed esteriore. Internet aiuta a recuperare tutto e
rende le librerie obsolete: è cambiata per sempre l’organizzazione del sapere.
McLuhan aveva previsto uno strumento come Wikipedia, che recupera il nostro
potenziale enciclopedico, e persino lo spionaggio trasparente di Wikileaks, che
non permette più ai potenti di tenere le masse all’oscuro. È un’oralità che
avviene per lo più con lo smartphone, che può diventare una banca dati enorme
sempre a disposizione. McLuhan diceva che quando sei al telefono non hai più il
corpo: secondo me in realtà rende possibile la clonazione virtuale di noi stessi,
non a caso quando parliamo al telefono gesticoliamo come se la persona con cui
parliamo fosse davvero davanti a noi. E la socializzazione, lo scambio di
informazioni che avviene sui social network, è potente: dopo tanti tentativi di
rivolta, in Egitto la prima ad andare in porto è stata quella nata su Twitter,
un sistema nato per registrare brevi chiacchiere (“twit” in inglese significa “scemo”)
che si è trasformato in un modo per mandare via “gli scemi al potere”».
Come aveva profetizzato McLuhan, siamo
nell’era del «villaggio globale». Ma l’abilità tecnologica del cittadino medio
per districarvisi è piuttosto scarsa. Qual è il rischio di non alfabetizzarsi
nel nuovo mondo digitale?
«C’è il rischio di impigrirci, delegando le nostre decisioni a
strumenti sempre più complessi, che usiamo senza sapere come siano fatti.
Oggetti come l’iPad a molti appaiono magici. Presi nel vortice di computer e
social network, noi siamo dei Pinocchio 2.0».
In che senso?
«In senso antropologico: Pinocchio è il superamento dell’uomo sulla
macchina, nasce come risultato della meccanizzazione del gesto umano, è la
macchina che mente sulla nostra condizione e alla fine chiede di tornare umana.
Ai tempi di Carlo Collodi, molti lasciavano la Toscana per andare a lavorare
nelle fabbriche del Nord Italia. Lì si disumanizzavano e quando ritornavano a
casa (Pinocchio che entra nel ventre della balena, grande madre metaforica) non
sapevano più chi erano. Ma Pinocchio lì dentro smette di essere macchina e ne
esce per diventare uomo in carne e ossa. Nel mondo digitale cosiddetto 2.0 di
oggi, dove il nostro Sé esiste solo in connessione a tutti gli altri, la
problematica di Pinocchio si è moltiplicata».
Tanto che il protagonista di Avatar, il
film di James Cameron, sceglie invece di restare virtuale, preferisce il mondo
delle macchine a quello umano...
«È l’altra faccia della medaglia. Con la tecnologia 3D si possono
ottenere meravigliose ricostruzioni di Pompei, ma questo non ci esime dal
recuperare la Pompei storica. Anche se presto avremo doppi digitali, i rapporti
umani in carne e ossa non diventeranno obsoleti. Non stanchiamoci di coltivarli».
Come vede l’Italia, nel villaggio globale?
«L’Italia è in coda all’Europa per l’accesso alla Rete per volontà
politica. Il vostro premier sa bene che il popolo si controlla con i media:
controlla gli italiani con la televisione, riducendo l’importanza di Internet».
Crede che arriverà anche una primavera
italiana, almeno per quello che concerne la cultura digitale?
«Sì, i segnali ci sono tutti, ma sarà una battaglia fra generazioni. In
Italia manca la consapevolezza dell’esistenza di una cultura popolare - “pop” -
condivisa che è oggi più vicina al Web, piuttosto che al patrimonio classico».
Viviamo in un mondo senza più privacy,
all’insegna della trasparenza totale, ma anche dell’invasione della sfera
privata. È necessario rifondare una Carta dei diritti dell’uomo?
«Sì. Un sistema di connessione globale ha anche i suoi rischi. Siamo
sempre reperibili, quindi schedati e controllati. McLuhan diceva che
l’elettricità, come l’alfabetizzazione, rivela tutto ciò che è nascosto».
È un bene o un male?
«Non abbiamo scelta, non si può tornare indietro, bisogna prenderne
atto e attrezzarsi per questo Brave New World».
Come si pone personalmente di fronte
all’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione?
«Uso l’iPhone, Facebook e il mio bigliettino da visita contiene il
codice QR per la realtà aumentata. Ma la sera preferisco avere in mano un libro
anziché un ebook».
(anna masera / lastampa.it / puntodincontro)
27 de septiembre de 2011. - En Italia se le conoce como el heredero de Marshall McLuhan, del que fue alumno y luego asistente durante más de 10 años. Entre el 1983 y el 2008 fue director del Programa McLuhan de Cultura y Tecnología en la Universidad de Toronto. También es canadiense (naturalizado) como el famoso experto en mass media del que —durante este año— se celebró el centenario. Sin embargo, Derrick De Kerckhove, de 67 años años de edad, carácter alegre, ojos azules bajo una masa de cabello plateado rebelde y cuerpo larguirucho reconoce ser canadiense sólo por su sentido crítico hacia los Estados Unidos, la voluminosa superpotencia vecina. Nacido en Bélgica, vive entre Niza, Barcelona y Nápoles, donde da clases de sociología. Habla por lo menos cuatro idiomas con facilidad, tanto que a veces los idiomas se le mezclan y, en palabras de McLuhan, el medio se convierte en el mensaje. Esto no parece ser un problema para sus estudiantes, que lo consideran un gurú. Nos encontramos con él en los Estados Generales de la Cultura Popular en curso en estos días en Turín.
¿"El medio es el mensaje" es una expresión
que todavía tiene sentido?
"Ya en 1961, cuando Internet era todavía un sueño, McLuhan habló de un nuevo
medio que "no se incluiría en la televisión, sino que —al contrario— la
contendría en sí, volvería obsoleta la organización de las bibliotecas y
desarrollaría en cada quien potenciales enciclopédicos". Basta pensar en la Web
de hoy en día, con YouTube y Wikipedia, para darse cuenta de que McLuhan había
previsto todo. Hoy, él diría que el Internet es el medio".
¿Cómo cambia la expresión oral en la época
del Internet?
"El lenguaje de la escritura hasta que se convirtió en electrónico fue
silencioso, interior. Hoy somos productores de nuestra expresión oral, que es
pública, ya que se comparte en la red a la velocidad de la luz en un lenguaje
tanto interior como exterior. Internet ayuda a recordar todo y hace que las
bibliotecas se vuelvan obsoletas: cambió para siempre la organización del
conocimiento. McLuhan predijo una herramienta como Wikipedia, que se recupera
nuestra potencial capacidad enciclopédica, e incluso el espionaje transparente
de Wikileaks, que ya no permite a los poderosos mantener ignorantes a las masas.
Se trata de una expresión oral que tiene lugar principalmente a través de
smartphones, que puede convertirse en una enorme base de datos siempre
disponibles. McLuhan decía que cuando estás en el teléfono que ya no tienes
cuerpo; yo creo que en realidad hace posible la clonación virtual de nosotros
mismos, no por casualidad, cuando hablamos por teléfono, hacemos gestos como si
la persona con la que estamos hablando estuviese realmente en frente de
nosotros. Y la socialización, el intercambio de información que se lleva a cabo
en las redes sociales, es poderosa: después de tantos intentos de sublevación en
Egipto, la primera que tuvo éxito fue la que nació en Twitter, un sistema
diseñado para grabar breves charlas ("twit" en Inglés significa "tonto"), que se
convirtió en una manera de deshacerse de "los tontos en el poder".
Como McLuhan profetizó, estamos en la era de
la "aldea global". Sin embargo, las capacidades tecnológicas del ciudadano medio
para transitar por ella son bastante pobres. ¿Cuál es el riesgo de no saber leer
y escribir en el nuevo mundo digital?
"Existe el riesgo de volvernos
perezosos, delegando nuestras decisiones a instrumentos cada vez más complejos,
que utilizamos sin saber cómo funcionan. Objetos como el iPad a muchos parecen
mágicos. Atrapados en la vorágine de las computadoras y de las redes sociales,
nosotros ya somos Pinocho 2.0".
¿En qué sentido?
"En el sentido antropológico: Pinocho es la superación del hombre sobre la
máquina, nació como resultado de la mecanización de la acción humana, es la
máquina que miente sobre nuestra situación y al final pide volver a ser hombre.
En los tiempos de Carlo Collodi, muchos dejaban la Toscana para ir a trabajar en
las fábricas del norte de Italia. Ahí se deshumanizaban y cuando regresaban a su
casa (Pinocho que entra en el vientre de la ballena, la gran madre metafórica)
ya no sabían quienes eran. Pero Pinocho ahía adentro deja de ser máquina y sale
como ser humano de carne y hueso. En el mundo digital de hoy conocido como 2.0,
donde nuestro ser existe sólo en relación con todos los demás, la problemática
de Pinocho se ha multiplicado".
Tan es así que el héroe de Avatar, la película
de James Cameron, elige seguir siendo virtual, prefiere el mundo de las máquinas
al de los humanos ...
"Es la otra cara de la moneda. Con la tecnología 3D se pueden obtener
impresionantes reconstrucciones de Pompeya, pero eso no nos exime de la
recuperación de la Pompeya histórica. A pesar de que pronto tendremos dobles
digitales, las relaciones humanas de carne y hueso nunca serán obsoletas. No
dejemos de cultivarlas".
(anna masera / lastampa.it / puntodincontro)