Il lupo mannaro
viene tutte le notti

Di Marco Vichi.

Voltammo in una strada sterrata che non riconobbi, e dopo una serie di curve in salita arrivammo a casa della signora Rondanini. Di giorno c'era tutta un'altra atmosfera. L'appuntato parcheggiò sull'aia, dove passeggiavano delle galline. Mi resi conto che la cascina era molto più grande di come mi era sembrata la prima volta, di notte. Eravamo a mezza costa di una collina e la vista era aperta fino all'orizzonte. Il maresciallo scese da solo, andò a bussare alla porta e si mise ad aspettare con pazienza, con il cappello in mano.

La vecchia Rondanini aprì dopo un sacco di tempo e uscì fuori, appoggiandosi al bastone. Aveva addosso un cappotto enorme che la faceva sembrare più bassa. Li vidi parlottare per qualche secondo, poi sparirono tutti e due in casa. Provai a scambiare due parole con Schiavo, ma non era facile e rinunciai. Dai finestrini aperti arrivava a zaffate un forte puzzo di stalletto, e in lontananza si sentiva il rumore di un trattore. La campagna era illuminata dal sole. In mezzo all'argento degli olivi e alle foglie ormai rossastre delle viti spiccavano le chiazze scure dei boschi.

Alzai gli occhi sulla cascina, e incorniciata da una finestra del primo piano vidi Rachele. Aveva il solito fazzoletto legato stretto sotto il mento e le bende sulle braccia, e il suo sguardo si perdeva lontano. Era un'immagine molto triste. Scesi di macchina e le feci un cenno di saluto, ma lei continuò a guardare l'orizzonte. Mi avvicinai alla casa, e la chiamai per nome.

Lei finalmente si accorse di me e rispose al saluto, facendo oscillare una mano. Sembrava tormentata, come se si stesse dibattendo in un inferno da cui non poteva uscire. Continuò a fissarmi con gli occhi gonfi di angoscia, senza parlare. Avrei voluto dire qualcosa, ma non riuscivo a trovare le parole adatte. A forza di guardare in alto mi venne un dolore al collo, e abbassai la testa. Quando alzai di nuovo gli occhi Rachele non c'era più, ma i vetri erano ancora aperti. Rimasi per un po' a osservare il vano vuoto della finestra, pensando a quanto fosse triste la vita in quella casa.

Appena m'incamminai verso la Panda dei carabinieri, sentii dietro di me un fischio brevissimo e mi voltai. Rachele era riapparsa, e mi faceva dei cenni. Lanciai un'occhiata a Schiavo. Stava parlando al cellulare, e ridacchiava. Mi avvicinai di nuovo alla casa. Quando arrivai sotto la finestra, Rachele buttò giù una pallina di carta che rotolò a qualche passo da me. La raccolsi e aprii il foglio. C'erano dei disegni fatti con la matita blu. I tratti erano frettolosi e infantili. Non feci in tempo a guardarli bene, perché Rachele mi sussurrò qualcosa.

«Come?» dissi.

«È stato il lupo mannaro» disse, come l'altra volta.

«I lupi mannari non esistono» feci io, tranquillo. Di giorno era più facile essere illuministi. E poi c'erano i carabinieri.

«Lo dice sempre anche la nonna, ma io lo so che esistono» bisbigliò Rachele.

«Davvero hai visto un lupo mannaro?».

«Sì».

«E quando?».

«Uno viene spesso sotto la mia finestra, siamo amici».

«Che bello...».

«Mi butta dei sassolini contro la persiana e io mi affaccio» continuò lei, con gli occhi felici.

«Viene quando c'è la luna piena?».

«Ogni volta mi porta un regalo» fece lei, ignorando la mia domanda.

«Che genere di regalo?».

«Animaletti morti».

«È gentile. Che tipo di animaletti?» dissi.

«Rospi, lucertole... Mi fanno uno schifo... Ma lui non capisce».

«Viene tutte le notti?».

«Quasi...».

«Come si chiama?».

«Ha le mani grandi come badili».

«Una bella fortuna...».

A parte il soggetto, aveva l'aria di una normale conversazione fra conoscenti. Rachele non aveva il cervello a posto, questo era sicuro, ma non sembrava la tipica demente incapace di articolare un pensiero.

«A che ora viene il lupo mannaro?» chiesi, ma non ci fu tempo per la risposta... sentii aprire la porta di casa e d'istinto mi appallottolai in tasca il foglietto di Rachele. Il maresciallo uscì sull'aia seguito dalla signora. Alzai gli occhi, ma Rachele era sparita. La vecchia e Pantano mi vennero incontro e si fermarono di fronte a me.

«È lei che ha sentito delle voci dentro la villa?» mi chiese la vecchia, fissandomi.

«Sì».

«È proprio sicuro?».

«Un uomo e una donna che litigavano» precisai.

«Non poteva essere il verso di un animale?».

«Erano voci. Un uomo e una donna» dissi. La signora non ebbe nessuna reazione. Si voltò verso il maresciallo.

«Appena ha fatto mi riporti le chiavi» disse sbrigativa, come se parlasse a uno dei suoi contadini.

«Senz'altro, signora» fece il maresciallo.

«Lei non viene?» chiesi alla signora. Mi guardò per un lungo secondo, poi si voltò senza dire nulla e rientrò in casa. Ci avviammo verso la Panda.

«Non vuole più saperne di quella villa» mormorò il maresciallo.

«Perché non la vende?».

«Lei la comprerebbe?».

«Penso di no».

«Comunque non credo proprio che la signora abbia intenzione di vendere» disse Pantano, aprendo la portiera.

Mentre andavamo verso Fontenera incrociammo Camilla che andava nella direzione opposta. Mi voltai a guardare la Fiesta finché non la vidi sparire dietro una curva. Chissà se mi avrebbe chiamato, quella stronza.

«La signora si è raccomandata di non toccare nulla» disse il maresciallo, come se parlasse a se stesso. Restammo tutti e tre in silenzio. Dopo qualche chilometro voltammo nella strada sterrata dove abitavo, passammo oltre la mia casa e salimmo su per la collina. La Panda ballava sui sassi e ogni tanto le ruote slittavano.

L'appuntato aveva l'aria di divertirsi parecchio. Imboccammo il sentiero erboso che portava a villa Rondanini, e poco dopo Schiavo parcheggiò davanti al cancello. Il maresciallo gli disse di aspettare in macchina. Prese una torcia elettrica dal portaoggetti e scendemmo. C'era una novità. Il cancello era chiuso da una catena e da un lucchetto grosso come un pugno. Doveva essere stato il contadino con le bretelle rosse. Il maresciallo aprì il lucchetto ed entrammo nel giardino. La ghiaia scricchiolava sotto i nostri passi.

«Dov'è che ha sentito quelle voci?» chiese il maresciallo.

«Venivano dal primo piano» dissi vago. Pantano alzò le spalle e fece un sospiro annoiato. Aprì il portone ed entrammo, guidati dalla luce della torcia elettrica. C'era un odore dolciastro e indefinibile, un misto di chiuso e di muffa che prendeva la gola.

 

(Continua)

 

(La Stampa.it)