Katrina e le bugie di Bush
Spike Lee infiamma Venezia


Lunga ovazione dopo le 4 ore di "When the Levees Broke"
documentario sulla tragedia seguìta all'uragano un anno fa
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VENEZIA, 1 settembre 2006. - Solo un beniamino dei festival come Spike Lee poteva compiere il miracolo: tanta folla, e una lunga ovazione, per un documentario che dura la bellezza di quattro ore. Ovvero When the Levees Broke - Requiem in Four Acts, potente atto d'accusa sull'uragano Katrina e le colpe dell'amministrazione Bush. E del resto anche il regista - reduce dal successo internazionale di Inside Man - sottolinea, oggi, il legame speciale con la Laguna: "L'anno scorso ero a Venezia, proprio qui alla Mostra, quando si è scatenato l'inferno su New Orleans, e invece di vedere film, ho trascorso le giornate incollato alla tv. E mi è venuta l'idea di lavorarci su".

Il risultato è un documentario ricco di informazioni, che non trascura davvero nessun aspetto della questione. In cui appaiono anche personaggi noti: come Sean Penn, che si precipitò a New Orleans per partecipare ai soccorsi. Ma ciò che resta impresso, dopo la lunghissima visione, sono i volti della gente comune. I poveri, quelli che non avevano nemmeno un mezzo di trasporto per lasciare la città, alle prime avvisaglie della tempesta. E che, di fronte alla macchina da presa di Spike, ripercorrono la loro odissea.

 

Lee, il suo When the Leeves Broke è stato trasmesso qualche giorno fa negli Usa dalla rete Hbo. Quali sono state le reazioni?

"Ha avuto un effetto profondo sulla gente. E abbiamo causato un bel po' di imbarazzo a Bush e alla sua amministrazione. Il presidente a fine agosto, nell'anniversario di Katrina, è tornato a New Orleans, facendo conferenze stampa fasulle, in cui ha dichiarato che la città è stata ricostruita. Non bisogna credere a queste frottole: in alcune zone, è come se l'inferno si fosse scatenato ieri. E poi ricordiamo che, come mostro nel documentario, la catastrofe è stata provocata non dall'uragano, ma dalla rottura degli argini delle dighe, di responsabilità del genio civile".

 

Insomma, tutta una questione di ingegneria pubblica.

Già. E' incredibile pensare che in un Paese piccolo e civile come l'Olanda, si sia raggiunta una tecnologia, nel settore, che il Paese più potente della storia del mondo non ha. Il fatto è che l'America è molto brava a nascondere alcuni suoi aspetti, come la povertà: per scoprirla, è necessario scavare a fondo. Spesso si sente dire che a Bush non importano i neri, ma è sbagliato: a lui è dei poveri che non frega nulla. Anche se sono bianchi o ispanici".

 

Crede che Bush e il suo staff abbiano visto il film?

"Non credo proprio. Mi piacerebbe fare come in Arancia meccanica di Kubrick (in cui un personaggio viene costretto a guardare, tenendogli aperti con violenza gli occhi, ndr); ma purtroppo non posso...".

 

Ma i cittadini americani, dopo l'Iraq e Katrina, cosa pensano davvero di chi li governa?

"Credo che l'uragano e il fiasco della guerra abbiano aperto gli occhi agli americani. Il gradimento di Bush, a metà del suo secondo mandato, è bassissimo. Spero che nessuno si beva le sue ultime bugie, come paragonare il conflitto in Iraq alla lotta al nazismo".

 

E invece cosa farebbe lei se, per un'ipotesi quasi fantascientifica, arrivasse alla Casa Bianca?

"Non avrei nemmeno il tempo di mettere la mano sulla Bibbia per giurare... mi ammazzerebbero prima!".

 

Tornando a Katrina, ritiene che anche i media abbiano delle responsabilità, nella iniziale sottovalutazione della tragedia di New Orleans?

"No, io credo al contrario che anche i media si siano sentiti traditi dalla presidenza. E che per questo si siano, come dire, tolti i guanti. Realizzando reportage abbastanza coraggiosi".

 

Anche il suo film è un reportage? O un documento storico?

"No, non vuole essere solo storia, ma un atto di denuncia. Per questo ci tengo che lo vedano quante più persone possibile, in tutto il mondo. Punto insomma a una distribuzione internazionale. Quanto agli Usa, sta per uscire il dvd. E ne distribuiremo migliaia di copie alle scuole e alle università. Lo scopo è far crescere un movimento che spinga alla ricostruzione effettiva di New Orleans".

 

La gente, almeno per il momento, è con lei?

"Credo di sì. Sono vent'anni che faccio film, ma nemmeno per Malcolm X o Inside Man ho avuto tanta risposta popolare. La gente mi ferma, esprime il suo apprezzamento: si vede che ho toccato una corda sensibile".

 

Da Repubblica.it