"Il ’68? Amavamo gli Usa,
non Marx"

Guccini sulla rivista di An: Dylan ed Hemingway i miti, l’eskimo una necessità.

Guccini ha fornito una parte notevole di colonna sonora al '68.4 gennaio 2008. - Quando canta La Locomotiva, al momento di «trionfi la giustizia proletaria» tutti alzano il pugno al cielo. E’ inevitabile, come lo sono le nostalgie per quell’«eskimo innocente », le invettive contro «portaborse, ruffiani e mezze calze,/ feroci conduttori di trasmissioni false» coll’invito ai «liberisti» di turno: «buttate giù le carte/ tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese/ in questo benedetto assurdo bel paese».

Francesco Guccini ha anticipato il ‘68 fornendo una parte notevole di colonna sonora, è andato avanti malmostoso e indignato tra poeti maledetti e osti generosi, forse ha precorso (per esempio con gli ultimi versi citati, che vengono da Cyrano) persino Beppe Grillo. Per molti dei suoi fans la delusione sarà cocente, se leggeranno l’intervista a Charta Minuta, rivista vicina a Alleanza Nazionale, che ha dedicato un numero monografico al quarantennale del ‘68. Guccini parla con la destra, quelli che un tempo erano i «fasci» e da anni lo corteggiano un poco, per dire qualcosa di pesante. Non è neanche la prima volta: la sede gli conferisce però un risalto speciale.

«Il ‘68 è stato il proseguimento di una vicenda umana, non soltanto mia, ma di tutta quella generazione che veniva dagli anni Cinquanta, piena di desiderio, a volte inconscio, di cambiamento. Dunque prima che politico, direi che il ‘68 è stato un fatto propriamente umano. Insomma, un fenomeno di costume». I suoi miti, rivela, non erano Marx e Marcuse (mai letti) ma Bob Dylan, Hemingway, l’America. E l’eskimo «non era politicizzato, non aveva significato ideologico». Infine, il colpo del ko: «L’ideale libertario è sempre esistito nell’uomo e non ha colori o etichette, non può essere fatto proprio dall’ideologia e va ben al di là degli schieramenti di destra e di sinistra».

E la fiaccola dell’anarchia?E le bandiere che si è sempre pensato dovessero garrire lì intorno? Deposte, abbandonate incanalandosi nel fiume del tempo, a pochi giorni dalle dichiarazioni di Lucio Dalla che si professa ammiratore dell’Opus Dei? Crollano i miti, a uno a uno? Sono casi diversi, fa notare Enrico Deaglio, «perché uno è un frutto del ‘77, l’altro no. L’anno che verrà è stata una canzone del movimento. Anche la Locomotiva, beninteso, ma Guccini c’era già prima. E credo sia sempre stato impolitico. Ricordo che dopo la strage di Bologna lo intervistammo per il quotidiano di Lotta Continua. Si stupì, non coglieva il nesso».

Lucio Dalla ha parzialmente rettificato, qualche giorno fa, parlando al Tg1. Il «modenese volgare», spiega invece da tempo che le sue canzoni sono esistenziali, perché fare una canzone politica è come comporre l’inno per la propria squadra di calcio. Ma l’effetto rimane. Chi ha fermato la locomotiva? Nessuno, risponde Edmondo Berselli, le cui tesi sul ‘68 (in Adulti con riserva, Mondadori) non sono poi così lontane. In quel libro, un «Guccio» immaginario - ma verosimile - elogia prima gli inglesi e poi gli americani, in due discorsi di tre pagine, nella Bologna degli anni Sessanta.

In realtà, spiega Berselli, c’è un grande fraintendimento: «Guccini è stato unanimemente considerato un vessillifero della rivoluzione, mentre non lo era affatto. Semmai è da sempre un tranquillo riformista, arrabbiato soprattutto per via letteraria. Ha letto più libri dei suoi colleghi». La differenza è però che «gli altri cantautori raccontavano favole, intrecciavano metafore, poesie simboliste, lui raccontava storie, narrava la vita della gente». Ivi compresa quella del ferroviere anarchico che si immola in un attentato suicida.

La Locomotiva ha avuto ammiratori insospettabili. Dicono le cronache dell’ormai lontana estate ‘94 che Umberto Bossi, durante una serata a Ponte di Legno, chiese di cantare «quella canzone lì di Guccini, come si chiama, il treno? ». E’ come un poster di Che Guevara: ognuno ci vede quel gli pare. Ed è del resto assolutamente vero, ci assicura Berselli, che al momento della «bomba proletaria », nei concerti, «alzano il pugno e inneggiano anche quelli che adesso votano Forza Italia». L’eskimo è innocente, la Locomotiva è metafisica. E Guccini è sempre lì.

 

(La Stampa.it)