"I tempi stanno cambiando"
Dylan nelle scuole inglesi

Il grande cantante nei programmi delle medie.

Bob Dylan.4 settembre 2007. - Ai ragazzi delle scuole medie di tutte le contee del Regno Unito ora toccherà studiarlo, e magari imparare anche qualche ritornello a memoria. Più facile da ricordare, forse, delle quartine di John Keats o Samuel Taylor Coleridge e capace di sicuro di rievocare qualche emozione alla zia ex sessantottina quando le si chiederà aiuto su questo nuovo autore assunto nell’Olimpo delle antologie.

Bob Dylan autore obbligatorio nei programmi delle scuole inglesi era un evento che covava da tempo, da quando la maggioranza dei poeti «laureati» del mondo anglosassone lo aveva ammesso a pieni voti nella categoria. Ora è ufficiale, c’è la firma sul programma del ministero dell’Educazione e questo settembre si comincia. Non ci sono reazioni, per ora, dall’icona della rivoluzione libertaria degli anni Sessanta.

«I tempi stanno cambiando», cantava. E stangava subito poeti e scrittori, invitandoli a tenere gli occhi ben aperti e a non profetizzare in punta di penna. Il menestrello sapeva certo di stare facendo «poesia» ma i suoi modelli erano piuttosto quelli della ballata, genere allora ancora considerato minore, nonostante la nobile tradizione. Anche se naturalmente le sue erano ballate «topical»: politiche, impegnate.

Una di queste, il classico «The Times They Are A-Changin’» (1964), è tra i titoli dei quali gli allievi tra i 14 e i 16 anni dovranno fare l’analisi del testo. Ma ci sono anche canzoni meno universalmente conosciute come «Three Angels» e «A Hard Rain’s A-Gonna Fall» che scandagliano il lato più spirituale di Dylan e le sue raffinate referenze bibliche, con preferenza per l’Apocalisse, e ai poeti visionari dell’Ottocento. «È una grande idea farlo studiare a scuola - commenta il poeta scozzese John Burnside - riempie il gap tra tradizione orale e quella che viene definita cultura accademica o alta. Dylan è un autore capace di citare da William Blake alla Beat generation».

«Dylan - spiega Burnside - è stato influenzato dai poeti che ha letto ancora adolescente a Minneapolis: Elliott, Ginsberg e tutta la scuola beat appunto, ma soprattutto Arthur Rimbaud». Incontro fatale: Dylan, come lui stesso racconta con un certo orgoglio, è un autodidatta, ha seguito poco l’università e si è scelto le sue letture da solo. Poco importa.

«È un grandissimo conoscitore della tradizione della musica popolare americana - precisa un altro poeta britannico contemporaneo di grandissimo prestigio, Andrew Motion - i suoi testi di riferimento, più che quelli scritti, sono i testi del blues, le grandi ballate narrative della tradizione anglosassone. Per questo i suoi versi sono pieni di vita. Il suo grande merito è quello di aver riportato la poesia vicina alle sue radici orali».

Motion ricorda però che Dylan è andato molto oltre gli altri folk singer contemporanei: «lui stesso ha detto che scrivevano canzoni come articoli di giornali». Dylan invece non l’ha mai fatto, neanche quando ha raccontato fatti che aveva letto sul giornale del giorno prima, ha sempre trovato un modo poetico e allusivo per raccontarli. «È stupido chiedersi se è un vero poeta, se dobbiamo scegliere tra Keats o Dylan. Non c’è bisogno di scegliere: Bob Dylan è un grandissimo poeta che canta i suoi componimenti».

Un altro testo in programma è «I Dreamed I Saw Saint Augustine» - che Motion accosta alla celeberrima «On A Dream» di John Keats -, un omaggio alla sua vena spirituale, scelto, chissà, anche per attenuare «l’impatto rivoluzionario». Dylan è sempre stato un lettore della Bibbia, ha avuto anche una conversione verso una forma di cristianesimo evangelico americano, durata solo un paio d’anni, poi un ritorno alla fede ebraica. La Bibbia è visto dal cantante «come il grande codice della narrativa occidentale». E questo potrà consolare la zia non sessantottina dei nostri studenti d’oltre Manica.

Un critico americano ha visto nella sua opera addirittura «una grande storia di ritorno al paradiso perduto»: l’essere esiliati dall’Eden e il doverci ritornare, affrontando delle prove, sono i temi di canzoni come «Gates of Eden» e «Try to get to Eden». Il ruolo di menestrello, che i più superficiali gli volevano affibbiare, a Dylan è sempre stato stretto. «Mi considero prima di tutto un poeta, e dopo un musicista. Vivo come un poeta, e morirò come un poeta», ha detto. E come poeta, con tutta, probabilità sarà ricordato. Per lo meno dagli gli studenti inglesi dal 2007 in poi.

 

(La Stampa.it)