Ecco Puccini
Uno zio lo considerava non troppo dotato e poco disciplinato.

12 ottobre 2006. - Giacomo Antonio Domenico Michele Secondo Maria Puccini (Lucca 22 dicembre 1858 - Bruxelles, Belgio, 29 novembre 1924) è considerato uno dei massimi compositori di musica operistica a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento.

La prima formazione

Nato da una famiglia di musicisti (da molte generazioni i Puccini erano Maestri di cappella del Duomo di Lucca), dopo aver perduto il padre all'età di cinque anni, fu mandato a studiare presso lo zio Fortunato Magi, che lo considerava un allievo non troppo dotato e scarsamente disciplinato, un "falento" (ovvero, un fannullone senza talento).

Divenne tuttavia organista. La tradizione vuole che la decisione di dedicarsi al teatro musicale nacque dopo aver assistito ad una rappresentazione dell'Aida di Verdi a Pisa, dove si sarebbe recato a dorso di mulo.
A questo periodo risalgono le prime composizioni note, tra cui una messa, un mottetto e una cantata (I figli d'Italia bella).

Gli esordi operistici

Lasciata Lucca, dal 1880 al 1883 Puccini studiò al conservatorio di Milano, dove fu allievo di Amilcare Ponchielli e Antonio Bazzini. Nel 1883 partecipò al concorso per opere in un atto indetto dall'editore Sonzogno. Le Villi, su libretto di Ferdinando Fontana, non vinse il concorso, ma nel 1884 fu rappresentata al Teatro dal Verme di Milano sotto il patrocinio dell'editore Giulio Ricordi, concorrente di Sonzogno.

Rincuorato dal vivo successo delle Villi, Ricordi commissionò una nuova opera al duo Puccini-Fontana, destinata questa volta al Teatro alla Scala, ma Edgar (1889), che costò al compositore quasi cinque anni di lavoro, non raccolse che un successo di stima, e nei decenni successivi subì radicali rimaneggiamenti senza tuttavia mai affermarsi in repertorio.

Torre del Lago

Nel 1891 Puccini si trasferì a Torre del Lago (ora Torre del Lago Puccini): ne amava il mondo rustico e lo considerava il posto ideale per coltivare la sua passione per la caccia e per le baldorie tra artisti. Di Torre del Lago il maestro fece il suo rifugio, prima in una vecchia casa affittata, poi facendosi costruire la villa che andò ad abitare nel 1900. Qui furono composte le sue opere di maggior successo.

Il successo: le collaborazioni con Illica e Giacosa

Dopo il mezzo passo falso di Edgar, la terza opera, Manon Lescaut fu un successo straordinario, forse il più autentico della carriera di Puccini. Essa segnò inoltre l'inizio di una fruttuosa collaborazione con i librettisti Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, il primo subentrato a Marco Praga e Domenico Oliva nella fase finale della genesi, il secondo in un ruolo più defilato. Illica e Giacosa scriveranno i libretti delle successive tre opere, le più famose e rappresentate di tutto il teatro pucciniano. La prima, La Bohème (basata su una trama di Henry Murger), è forse la sua opera più celebre.

Tra i capolavori del panorama operistico tardoromantico, La Bohème è un esempio di sintesi drammaturgica, strutturata in 4 quadri di fulminea rapidità. La successiva, Tosca, rappresenta l'incursione di Puccini nel melodramma storico a forti tinte. Il soggetto, tratto da Victorien Sardou, può richiamare alcuni stereotipi dell'opera verista, ma le soluzioni musicali anticipano piuttosto, specie nel secondo atto, il nascente espressionismo musicale. Madama Butterfly (basata su un dramma di David Belasco) è la prima opera esotica di Puccini. Il suo debutto, alla Scala, nel 1904, fu un fiasco solenne, dove venne presentata (probabilmente un fiasco orchestrato dalla concorrenza); tuttavia, dopo alcuni rimaneggiamenti, l'opera raccolse un nuovo e duraturo successo.

La collaborazione con Illica e Giacosa fu certamente la più produttiva della carriera artistica di Puccini. A Luigi Illica, drammaturgo e giornalista, spettava prevalentemente il compito di abbozzare una «tela» (sorta di sceneggiatura) e definirla poco per volta, discutendola con Puccini, fino ad approdare alla stesura di un testo completo. A Giuseppe Giacosa, autore di commedie di successo e professore di letteratura, era riservato il delicatissimo lavoro di mettere in versi il testo, salvaguardando sia le ragioni letterarie che quelle musicali, compito che svolgeva con grande pazienza e notevole sensibilità poetica.

L'ultima parola spettava comunque a Puccini, al quale Giulio Ricordi aveva affibbiato il soprannome di «Doge», ad indicare il predominio che esercitava all'interno di questo gruppo di lavoro. Lo stesso editore contribuiva personalmente alla creazione dei libretti, suggerendo soluzioni, mediando tra i letterati e il musicista nel caso, abbastanza frequente, nascessero delle controversie, e talvolta persino scrivendo versi.

La crisi

Frattanto erano cominciati gli anni più difficili della vita di Puccini. Nel 1903 egli rimase gravemente ferito in seguito ad un incidente stradale e dovette sopportare una lunga e penosa convalescenza. Nel 1906 la morte di Giacosa mise fine alla collaborazione a tre che aveva dato vita ai precedenti capolavori.

Nel 1909 fu la volta di una tragedia e uno scandalo che colpirono profondamente il musicista: a ventitré anni la domestica Doria Manfredi, perseguitata dalla gelosia ossessiva di Elvira, si suicidò col veleno. Il dramma aggravò ulteriormente i rapporti con la moglie ed ebbe pesanti strascichi giudiziari. Nel 1912 morì anche Giulio Ricordi, l'editore che Puccini considerava un secondo padre.

Il Trittico

L'eclettismo pucciniano si manifestò pienamente nel cosiddetto Trittico, ossia in tre brevi opere rappresentate in prima assoluta a New York nel 1918. I tre pannelli, ciascuno della durata di un atto, presentano caratteri completamente diversi l'uno dall'altro: tragico e verista Il tabarro, elegiaca e lirica Suor Angelica, comico Gianni Schicchi. Delle tre, l'ultima divenne subito popolare, mentre Il Tabarro, inizialmente giudicata inferiore, guadagnò col tempo il pieno favore della critica. Suor Angelica fu invece la preferita dell'autore.

Concepite per essere rappresentate insieme, le tre opere che compongono il Trittico sono oggi il più delle volte rappresentate individualmente, abbinate ad opere di altri compositori.

Turandot, l'incompiuta

L'ultima opera, Turandot, rimase incompiuta: Puccini morì a Bruxelles nel 1924, per sopraggiunte complicazioni durante la cura di un tumore alla gola. La sua tomba si trova nella cappella della villa di Torre del Lago.

Le ultime due scene di Turandot furono terminate da Franco Alfano, sotto la supervisione di Arturo Toscanini, ma la sera della prima rappresentazione lo stesso Toscanini interruppe l'esecuzione là dove il maestro l'aveva interrotta, con la morte di Liù. Nel 2001 vide la luce un nuovo finale, composto da Luciano Berio e basato sul medesimo libretto e sugli abbozzi pucciniani.

Tratta da una fiaba teatrale di Carlo Gozzi (rappresentata la prima volta nel 1762), Turandot è la prima opera pucciniana di ambientazione fantastica, la cui azione – come si legge in partitura – si svolge «al tempo delle favole». L'esotismo perde qualsiasi carattere ornamentale o realistico per diventare forma stessa del dramma: la Cina diventa un luogo erotico ed onirico e l'opera abbonda di rimandi alla dimensione del sonno, nonché di apparizioni, fantasmi, voci e suoni provienti dalla dimensione altra del fuori scena.

Inizialmente Puccini si entusiasmò al nuovo soggetto e al personaggio della principessa Turandot, algida e sanguinaria, ma fu assalito dai dubbi al momento di mettere in musica il finale, coronato da un insolito lieto fine, sul quale lavorò un anno intero, senza venirne a capo.

Sul fronte artistico, la passione per l'esotismo (da cui era nata Butterfly) spingeva sempre più il musicista a confrontarsi con il linguaggio e gli stili musicali internazionali a lui contemporanei: nacquero così, nel 1910 La fanciulla del West, un western ante-litteram, e nel 1917 La rondine, concepita come operetta e diventata in seguito un singolare ibrido tra melodramma e operetta. Ma la crisi si manifestò nell'enorme quantità di progetti abortiti, talvolta abbandonati ad uno stadio di lavoro avanzato. Sin dagli ultimi anni dell'Ottocento Puccini tentò anche, a più riprese, di collaborare con Gabriele d'Annunzio, ma la distanza spirituale tra i due artisti si rivelò incolmabile.