Piccoli e grandi misteri
svelati della scienza

Come scoprire se sulla Terra c'è mai stata una montagna più alta dell'attuale Everest,
o se la cioccolata fa veramente diventare di buon umore...

Il forno a microonde può provocare interferenze con gli apparati wireless domestici?

Sì, perché sia i microonde sia le apparecchiature wireless come le reti domestiche per i computer, i bluetooth e i cordless, lavorano tutti sulle stesse frequenze nella banda dei 2,4 Gigahertz: i forni a 2,45, e gli altri apparecchi tra 2,4 e 2,4835.

I forni, dovendo usare le microonde per cuocere, hanno una potenza molto elevata, circa 700 W, settemila volte maggiore dei 100 MW usati dai sistemi wireless. Si capisce così che in caso di interferenze sono il computer o il telefono a essere infastiditi e non il pollo che è nel forno.

Per ridurre il rischio i sistemi wireless dovrebbero trovarsi almeno a tre metri dal forno (attenzione, le pareti non contano) o, in caso di interferenza persistente, gli esperti consigliano di selezionare i canali 8, 9, 10 e 11, ma anche di controllare sul libretto del microonde su quale frequenza è centrato.

 

Per raggiungere lo stesso risultato di abbronzatura si corrono più rischi sotto il Sole o sotto la lampada di un centro estetico?

La radiazione ultravioletta emessa dal Sole è distinta in tre bande dalla diversa lunghezza d’onda: UVA, UVB e UVC. Le ultime si trovano solo ad alte quote, mentre quelle che arrivano al livello del mare sono una miscela di UVA e UVB composta da circa il 90 per cento di UVA.

La maggior parte del potere abbronzante è però contenuta nella frazione di raggi UVB, solitamente assenti dalle lampade solari più recenti che emettono solamente raggi UVA, perché provocano meno scottature.

Per ottenere un effetto ottimale in 5 o 6 sedute di abbronzatura di circa 20 minuti l’una è necessario comunque esporsi a una quantità di radiazioni UVA che possono essere fino a 100 volte superiori di quelle assorbite su una spiaggia italiana a mezzogiorno in piena estate.

E queste radiazioni non sono affatto innocue perché penetrano nella pelle più in profondità dei raggi UVB, arrivando fino al derma.

Quindi prendendo le opportune precauzioni come un’esposizione graduale, evitare le ore più calde della giornata e l’uso di filtri solari, si può raggiungere l’abbronzatura desiderata rischiando meno e passando più tempo all’aria aperta. Bisogna comunque ricordare che il rischio di sviluppare melanomi o altre patologie a causa dell’esposizione ai raggi ultravioletti dipende fortemente dai fototipi individuali, cioè dalla quantità e dalla qualità della melanina presente in condizioni normali nella pelle di ciascun individuo.

 

Perché quando fa caldo i capelli crescono più velocemente?

I capelli hanno un ciclo vitale che dipende dall’attività dei follicoli, un insieme di cellule specializzate che avvolge la radice del capello. In un uomo di 30 anni sono presenti sul cuoio capelluto circa 100.000 capelli che si alternano in periodi di crescita e di riposo.

Il periodo di crescita dura tra 2 e 4 anni per l’uomo e da 3 a 7 per la donna; ecco perché le capigliature femminili possono raggiungere lunghezze maggiori rispetto a
quelle maschili.

In questo periodo il follicolo produce nuove cellule e la proteina cheratina, indispensabile per ogni capello. Terminata questa fase si ha un progressivo arresto delle funzioni vitali del follicolo: per circa 15 giorni non produce più nuove cellule ma continua la produzione di cheratina. La terza fase è di riposo totale, dura 3 o 4 mesi e termina con la caduta del capello.

A questo punto il ciclo riprende dalla prima fase. Sono molti i fattori che possono influenzare il processo di crescita dei capelli, soprattutto l’alimentazione e l’equilibrio ormonale, ma non ci sono prove che un aumento della temperatura ambientale lo alteri in maniera significativa.

 

Esistono pipistrelli che succhiano il sangue umano?

Su oltre 1000 specie classificate di pipistrelli ne esistono solo tre che si nutrono di sangue, tutte presenti soltanto in Centro e Sud America e dette comunemente vampiri.

Nessuna di queste si nutre però di sangue umano. Il più comune vampiro è il Desmodus rotundus e le prede preferite di questo piccolo animale lungo una ventina di centimetri sono pecore e mucche, prevalentemente addormentate, e più raramente alcuni uccelli.

I vampiri hanno denti molto taglienti che usano per praticare una lieve incisione sulla pelle della preda e poi leccano con la lingua il sangue che ne esce. Raramente la preda si sveglia perché i pipistrelli sono molto leggeri e l’incisione è molto superficiale.

La loro saliva contiene una sostanza anticoagulante che mantiene la ferita aperta per la ventina di minuti necessaria al pasto. Si nutrono una sola volta per notte e cercano di tornare più volte sulla stessa preda per sfruttare la ferita inferta la notte precedente.

 

L’America si chiama così in onore dell’esploratore Amerigo Vespucci, ma qual è l’origine dei nomi degli altri continenti?

Il nome del continente artico significa «orsino» e si riferisce al fatto che l’Artide si trova proprio sotto la costellazione dell’Orsa Maggiore. Antartide invece significa «situato in posizione opposta all’Artide». Il termine Europa proviene da un mito dell’ antica Grecia, era il nome di una fanciulla della quale si innamorò Zeus.

L’etimologia però è ancora più antica e si può far risalire a un vocabolo semitico che indicava la parola «occidente». Stessa origine, ma contrapposta, per l’Asia che invece sembra voglia significare «oriente», con il Mar Egeo quale centro di discriminazione fra questi due continenti. L’Australia, come è intuibile, vanta un’etimologia relativamente recente ed è derivata dal latino Terra australis, che significa «Terra del Sud».

Il termine Africa deriva probabilmente dal termine «n’fr» appartenente a un’antichissima lingua parlata in Africa oltre 4000 anni fa, la cui radice significa «buono» o «perfetto».

Questa radice si trova ancora in molte lingue africane attuali e si tratta probabilmente della stessa utilizzata dai Romani nel secondo secolo dopo Cristo per battezzare il continente Africa terra, cioè «luogo dove vive il popolo degli Afri».

Resta da chiedersi se i geografi imperiali avessero le competenze etimologiche necessarie per rendersi conto che stavano denominando per sempre l’Africa come «Terra della perfezione».

 

In che modo si salutavano gli antichi egiziani?

L’unica testimonianza esplicita proviene da Erodoto, che parla di una «consuetudine completamente estranea a tutti i Greci: gli Egiziani per strada invece di scambiarsi parole di saluto, si inchinano abbassando la mano fino al ginocchio». Questo valeva per incontri con persone normali.

Se si aveva la ventura di avvicinarsi al faraone, immagine vivente sulla Terra del dio solare Ra, lo si faceva in proskynesis, cioè prostrati a «baciare la terra». L’inchino del capo e del corpo come tratto caratteristico del saluto era diffuso in tutto il vicino Oriente antico, dove però era spesso accompagnato da parole, a differenza dell’Egitto.

Si pensi, anche se più tardo, all’arabo salam ‘alayk, «pace a te», che si diffuse poi in tutto il mondo islamico e da cui è derivato il nostro un po’ spregiativo «salamelecco».

 

Qual è l’animale con il morso più potente?

La palma del morso più potente spetta all’alligatore (Alligator mississippiensis) le cui mascelle riescono a esercitare una pressione di oltre una tonnellata per centimetro quadrato. Più o meno la pressione esercitata da due pianoforti a coda lasciati cadere dall’altezza di due metri.

Questi valori sono stati ottenuti grazie a uno strumento chiamato gnatodinamometro. Si tratta di un piccolo cilindro di metallo, ricoperto di cuoio per non danneggiare i denti degli animali, che viene loro fornito come boccone prelibato e quindi morso con violenza. Diversi rilevatori di pressione elaborano i dati e forniscono ai ricercatori la forza del morso sotto forma di chilogrammi per centimetro quadrato di superficie. Tra i mammiferi l’animale dal morso più potente è probabilmente la iena (Crocuta crocuta), che arriva a esercitare una pressione di circa 500 chilogrammi per centimetro quadrato, necessari per riuscire a triturare completamente le ossa degli animali morti dei quali si nutre.

 

Quali fenomeni fanno variare la pressione atmosferica?

L’atmosfera è l’involucro gassoso che avvolge il nostro Pianeta, trattenuto in posizione dalla forza di gravità. La pressione atmosferica è la pressione esercitata dalla colonna d’aria che si trova al di sopra di una determinata superficie.

La pressione standard è quella calcolata al livello del mare, a 45 gradi di latitudine e a zero gradi centigradi e il suo valore è di 1 atmosfera (atm) o meglio, in base alle correnti unità di misura, 1013,25 ettopascal (hPa). Al variare di questi parametri varia anche il valore della pressione atmosferica. L’altitudine naturalmente diminuisce l’altezza della colonna d’aria della quale vogliamo calcolare la pressione e dunque questa diminuisce con l’aumentare dell’altra.

Un aumento o una diminuzione della latitudine altera il valore dell’accelerazione gravitazionale della massa d’aria in esame che di conseguenza cambierà il suo peso e quindi la pressione esercitata sul terreno. Invece il motivo principale per il quale nella stessa posizione si registrano diversi valori di pressione atmosferica nello stesso giorno è la variazione di temperatura.

Nelle ore più calde il calore emanato dal terreno riscalda gli strati più bassi dell’atmosfera che così diminuisce la sua densità e diventa più leggera. Si ha quindi un minimo della pressione atmosferica. Di notte invece gli stessi strati si raffreddano e quindi la colonna d’aria risulta più densa e di conseguenza anche più pesante.

 

I mammiferi hanno sempre la stessa pelliccia: non sentono caldo d’estate e freddo d’inverno?

I mammiferi sono animali omeotermi, cioè mantengono una temperatura interna costante, di solito più alta di quella dell’ambiente che li circonda. Per evitare che questo calore interno venga disperso nell’ambiente molti mammiferi hanno sviluppato la pelliccia, uno strato più o meno fitto di peli in grado di intrappolare al suo interno uno strato d’aria, che è un ottimo isolante termico. Questo adattamento probabilmente deriva da una
modificazione delle più antiche scaglie dei rettili avvenuta per resistere alle grandi glaciazioni del Pleistocene.

Se la temperatura si abbassa i muscoli erettori del pelo provocano un innalzamento della pelliccia che così aumenta il suo potere isolante.

Tale riflesso è ancora presente anche negli esseri umani, è il meccanismo alla base della «pelle d’oca», ma date le ridotte dimensioni dei peli che ricoprono il nostro corpo non è in grado di fornire un adeguato isolamento termico. I mammiferi che vivono in ambienti che d’estate raggiungono temperature più elevate di quelle mantenute all’interno dei loro corpi cambiano stagionalmente la composizione del mantello riducendone lo spessore e quindi la capacità isolante.

 

Perché molti strumenti a fiato sono costruiti in ottone?

Negli strumenti a fiato il suono nasce dalla vibrazione della colonna d’aria contenuta nello strumento direttamente messa in movimento dal fiato del suonatore.

Il corpo dello strumento è equipaggiato con una serie di fori che possono essere chiusi o aperti cambiando così la lunghezza della colonna d’aria posta in vibrazione e di conseguenza l’altezza del suono prodotto.

Di solito questi strumenti sono costruiti in ottone, una lega di rame e zinco spesso arricchita da altri elementi chimici come lo stagno, e ricoperti da lamine d’argento oppure d’oro.

La scelta di questi materiali non sembra determinare in maniera assoluta le caratteristiche acustiche dello strumento, visto che per esempio i grandi sassofonisti americani Charlie Parker e Ornette Coleman si sono cimentati negli anni ’50 con sassofoni costruiti interamente di plastica senza che l’intensità e la particolarità del loro suono ne risentisse in modo particolare. La scelta dell’ottone come materiale privilegiato di costruzione è una conseguenza di alcune caratteristiche fisiche di questa lega: leggerezza, malleabilità, resistenza e soprattutto costo di produzione contenuto. La capacità di lavorazione e la resistenza alle tensioni sono caratteristiche dovute alla particolare configurazione elettronica degli elementi chimici rame, argento e oro, che per questo motivo sono anche chiamati metalli da conio.

 

Perché piangiamo sia quando siamo tristi sia quando siamo molto felici?

I nostri occhi producono tre tipi di lacrime dalla composizione chimica diversa: le lacrime basali che continuamente umidificano e nutrono il bulbo oculare; le lacrime riflesse che produciamo in risposta a un elemento estraneo che sia penetrato nell’occhio; le lacrime emotive, associate al dolore fisico o allo stress. Queste ultime contengono percentuali molto alte di manganese e di alcuni ormoni tra i quali la prolattina.

Queste sostanze sono prodotte dal nostro organismo in risposta allo stress sia fisico sia psicologico e la loro eliminazione attraverso il pianto certamente aiuta il corpo a ritornare a una condizione di normalità. Recenti studi italiani hanno dimostrato che la «molla» che fa partire il pianto è legata a una situazione di impotenza nella quale il soggetto avverte di non riuscire a trovare una soluzione accettabile a un problema.

Nel caso delle lacrime di gioia, il sollievo e la sorpresa per una buona notizia inaspettata portano al ricordo e alla ricostruzione retrospettiva dei problemi affrontati, compreso il senso di impotenza che quindi scatena il pianto. Inoltre l’atto del piangere coinvolge una serie di muscoli del viso e dell’addome la cui contrazione aiuta a dissipare la tensione accumulata a causa dello stress.

 

Le sequoie crescono solo in California oppure anche in altri luoghi?

Con il termine sequoia ci si riferisce a tre specie arboree differenti, tutte della famiglia delle Cupressacee, come i nostri cipressi.

La sequoia rossa (Sequoia sempervirens) è quella più conosciuta ed è un gigantesco sempreverde che cresce solamente in un’area lunga 750 chilometri e larga circa 70 lungo la costa del Pacifico, tra la California e l’Oregon. Solo qui le condizioni climatiche permettono la crescita di questi alberi maestosi che possono vivere per più di 2000 anni e raggiungere altezze di oltre 100 metri. Infatti hanno bisogno dell’umidità portata sulla terraferma dai venti del Pacifico e crescono nelle migliori condizioni se perennemente immerse nella nebbia.

Sempre in California, ma nella zona della Sierra Nevada e soprattutto senza bisogno di una umidità così elevata, cresce la sequoia gigante (Sesquoiadendron giganteum) che non arriva alle altezze delle sequoie della costa ma che per via della chioma più folta guadagna il record di albero vivente dal maggior volume totale.

La terza specie, Metasequoia glypostroboides, è originaria della Cina ed è l’ultimo rappresentante vivente di un genere del quale sono state ritrovate invece decine di specie fossili. A differenza delle altre sequoie queste perdono le foglie durante l’inverno e non raggiungono altezze superiori ai 50 metri.

 

Come si fa a ottenere bolle di sapone giganti?

In generale, per fare delle buone bolle di sapone, l’ingrediente principale da aggiungere all’acqua saponata (meglio se con detersivo per piatti) è la glicerina. Questa aiuta la bolla a durare più a lungo e a non far evaporare l’acqua della pellicola superficiale. Per lo stesso motivo, più fa freddo e più la bolla dura (evapora meno acqua).

La formula migliore in questo caso è: 8 parti di acqua e una di detersivo e un cucchiaio da minestra di glicerina per ogni litro di soluzione. Per fare bolle giganti bisogna raddoppiare la dose di glicerina e utilizzare, al posto del comune anellino, una gruccia di fil di ferro per abiti piegata a cerchio.

 

Come funzionano le colle attaccatutto?

La sostanza alla base di queste colle è stata messa a punto durante la seconda guerra mondiale come fibra sintetica, ma non è mai stata utilizzata a questo scopo per un effetto collaterale indesiderato: presenta un elevatissimo potere adesivo. Nel 1958 l’azienda chimica Eastman–Kodak riesce a sfruttare questo effetto indesiderato e mette in commercio un rivoluzionario collante ancora oggi utilizzato in tutto il mondo. Si tratta del cianoacrilato, una resina acrilica della quale bastano alcune gocce per incollare stabilmente fra loro i materiali più diversi. Il meccanismo adesivo si basa sul fatto che questa sostanza reagisce alla presenza delle più piccole quantità d’acqua presenti nell’ aria o sulla superficie dell’oggetto da incollare andando incontro a un processo di polimerizzazione.

Significa che tutte le molecole di cianoacrilato impiegate si legano le une alle altre formando una catena impenetrabile che «intrappola» nella posizione desiderata i materiali che si desidera incollare. La capacità di questi composti di reagire anche alle più piccole tracce di acqua solidificandosi in lunghe catene ne ha fatto uno strumento importante anche per la rilevazione di impronte digitali.

Si prende l’oggetto da esaminare e lo si mette in un contenitore all’interno del quale viene diffuso del cianoacrilato in forma gassosa; questo reagirà con le minuscole quantità di componenti organiche contenute nelle eventuali impronte solidificandosi e producendo un calco preciso e soprattutto immediatamente visibile.

 

Qual è l’oggetto più veloce costruito dall’uomo?

Si tratta della sonda spaziale Helios 2, realizzata dalla Germania e dagli Stati Uniti, che fu collocata intorno al Sole in un’orbita fortemente eccentrica, con afelio (il punto più lontano dal Sole) di 150 milioni di chilometri (la stessa distanza Terra–Sole) e perielio (il punto più vicino al Sole) di 50 milioni di chilometri.

In base alla seconda legge di Keplero, in un’orbita ellittica un oggetto copre aree uguali in tempi uguali, cosicché in questo caso più è vicino al Sole e più va veloce.

In particolare, il 17 aprile 1976 Helios 2 raggiunse il perielio a 241.350 km/h.

 

A cosa sono dovute le lentiggini? E le efelidi?

Anche se molto simili, le lentiggini e le efelidi sono delle macchie cutanee differenti. Le prime sono di forma circolare e liscia, sono distribuite su tutto il corpo e non subiscono nessun effetto se esposte alla luce solare. Compaiono durante l’infanzia e sono causate da un aumento del normale numero di melanociti, le cellule che producono la melanina. Le efelidi invece sono di forma irregolare e si trovano prevalentemente sul naso, sugli zigomi e sulla parte superiore del petto.

Queste compaiono verso i cinque anni e se esposte al Sole tendono ad aumentare di dimensione e di intensità. Sono caratteristiche di chi ha una carnagione chiara e sono dovute a una disfunzione dei melanociti. Invece di produrre melanina e distribuirla in piccoli depositi puntiformi i melanociti di chi ha le efelidi la accumulano in ammassi allungati che risultano così facilmente visibili.

 

In che modo il nostro corpo produce calore? Mediante quali processi chimici?

Le cellule del nostro corpo ricavano energia trasformando le sostanze ingerite attraverso l’alimentazione, principalmente zuccheri, grassi e proteine.

Ci sono diversi modi di ottenere energia da queste sostanze e quello evolutivamente più antico è la glicolisi, cioè la demolizione dello zucchero (glucosio), una molecola con 6 atomi di carbonio. Questa reazione che avviene nel citoplasma delle cellule senza bisogno di ossigeno produce due molecole di una sostanza chiamata piruvato e due molecole di ATP.

L’adenosina trifosfato (ATP) è l’ingegnoso trucco che le cellule hanno messo a punto per «inscatolare» l’energia contenuta nei legami fra atomi di carbonio nello zucchero.

Quando il nostro corpo ha bisogno di energia per una qualunque delle migliaia di reazioni che avvengono in ogni secondo in ogni cellula, mobilita una molecola di ATP e la rompe producendo ADP (adenosina difosfato) e fosfato inorganico. Questa rottura libera energia che può essere utilizzata dalla cellula.

La glicolisi però ha un rendimento energetico abbastanza basso. Nelle due molecole di piruvato si trova ancora una grossa quantità di energia ancora inutilizzata. Per poterla sfruttare e quindi produrre altre molecole di ATP è necessaria la presenza di ossigeno e un complesso di enzimi e cofattori che si trovano nei mitocondri delle cellule. In questo processo chiamato respirazione cellulare il piruvato ottenuto tramite la glicolisi, gli acidi grassi prodotti dalla demolizione dei grassi e gli amminoacidi prodotti dalla demolizione delle proteine vengono tutti trasformati in un composto chiamato acetil–coenzima1.

Attraverso una serie ciclica di reazioni, il ciclo di Krebs, questo composto viene ossidato producendo anidride carbonica ed elettroni liberi.

Questi elettroni verranno poi trasferiti attraverso una catena di molecole fino a raggiungere l’ossigeno e reagire con lui a formare acqua liberando grosse quantità di energia.

Questa energia viene immagazzinata nuovamente sotto forma di molecole di ATP, e a questo punto è disponibile per qualsiasi reazione cellulare che ne abbia bisogno.

 

Sulla Terra c’è mai stata una montagna più alta dell’attuale Everest?

Oggi la montagna più alta della Terra è l’Everest ma in passato i movimenti delle placche tettoniche sul nostro Pianeta avevano dato vita a vette molto più alte. Per esempio, in Nordamerica esisteva lo Scudo canadese (o Scudo laurenziano), con cime che svettavano oltre i 12mila metri. Di queste oggi sono rimaste solo montagne di modesta altitudine.

Tuttavia, anche se l’Everest resta la montagna più alta del mondo, con i suoi 8848 metri, la vetta più lontana dal centro della Terra non è questa ma il vulcano Chimborazo in Ecuador. La sua altezza sul livello del mare è di «soli» 6267 metri, ma si trova a un solo grado di latitudine Sud dall’Equatore, dove la Terra è più gonfia rispetto alle zone a latitudini superiori e quindi il raggio terrestre è maggiore. L’Everest si trova invece a 28 gradi Nord. Questa differenza fa sì che complessivamente il Chimborazo si trovi a 6384,4 chilometri dal centro della Terra, mentre l’Everest è a 6382,3 chilometri. Appena 2,1 chilometri di differenza su oltre 6000.

Infine se vogliamo sapere quale vetta della Terra sia la più alta rispetto alle falde della montagna a cui appartiene bisogna andare nel Pacifico. Il vulcano Mauna Kea nelle Hawaii è infatti a oltre 9000 metri al di sopra delle sue falde, che si trovano sul fondale oceanico.

 

La cioccolata fa veramente diventare di buon umore?

Il grande scrittore romano Tommaso Landolfi sosteneva di aver capito che esistono solo due rimedi alla tristezza che spesso sconvolge il cuore degli uomini: il tempo e la cioccolata.

Tra le più di trecento sostanze che compongono questo alimento a base di cacao ce ne sono alcune che sono in grado di stimolare la produzione di serotonina da parte del nostro corpo. Quando i livelli di questo neurotrasmettitore salgono migliora la nostra percezione dell’umore e quindi l’effetto benefico è assicurato.

Molti farmaci antidepressivi in commercio svolgono la loro funzione esattamente in questo modo, aumentando la normale produzione di serotonina.

Recenti scoperte hanno poi dimostrato una particolare proprietà degli acidi grassi della cioccolata: sono in grado di stimolare la produzione di endorfine, sostanze che il nostro corpo produce per indurre euforia e per stimolare le percezioni.

 

Da NEWTON