Gran debutto a Roma per
“I segni dell’emigrazione”
Tanto Abruzzo e ruolo della stampa italiana all’estero nella
prima opera multimediale sui migranti . Di Goffredo Palmerini.

22 settembre 2008. - Del complesso fenomeno migratorio non pretende d’essere un trattato esaustivo. Di certo, però, “I segni dell’emigrazione. L’Italia dall’emigrazione all’immigrazione” è la prima opera multimediale che sull’epopea dei migranti italiani nei cinque continenti inaugura un approccio sistemico rispetto agli studi finora prodotti, anche di significativo interesse, eppure segnati talvolta dal particolarismo che sfugge al contesto, ad una visione più compiuta del fenomeno. “I segni dell’emigrazione” costituisce invece quel che mancava: un’opera realizzata mediante documenti, ricerche, testimonianze, ma anche attraverso l’analisi dei “segni” impressi dall’emigrazione nella musica, nella letteratura e nel cinema. Progetto e realizzazione sono il risultato della volontà, della determinazione e della passione di tre donne eccezionali: Tiziana Grassi, Catia Monacelli e Giovanna Chiarilli. L’opera, un imponente lavoro di documentazione sull’emigrazione italiana, è stata presentata a Roma ad un pubblico numeroso e qualificato presso il Circolo del Ministero degli Affari Esteri, padrone di casa l’ambasciatore Umberto Vattani, presidente dell’Ice. Parterre di tutto rispetto per l’evento. Alfredo Mantica, Sottosegretario agli Affari Esteri con delega agli Italiani nel Mondo, ha portato il saluto del Governo. Il Ministro Franco Frattini ha inviato un caloroso messaggio di compiacimento alle curatrici dell’opera. Presenti i parlamentari eletti all’estero Franco Narducci, Fabio Porta ed Antonio Razzi, l’opera multimediale è stata commentata ed illustrata dagli interventi di Vincenzo Palladino, vice direttore generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri e di Gherardo La Francesca, direttore generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale dello stesso dicastero; di Piero Badaloni, direttore di Rai Italia; di Alessandro Masi, segretario generale della Società Dante Alighieri; di Antonio Corbisiero, direttore editoriale delle Edizioni “Il Grappolo” e di Mario Morcellini, sociologo e preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Solo tenacia e talento di tre donne speciali potevano affrontare un’impresa così impegnativa e cogliere un risultato superiore ad ogni aspettativa, per completezza dell’opera che inquadra l’emigrazione italiana con un’analisi di sistema. Di sicuro sarà un ineludibile punto di riferimento per chi voglia studiare il fenomeno migratorio nella sua complessità. Un’opera dunque importante per le giovani generazioni che altrimenti, in carenza di riferimenti rigorosi, rischierebbero di smarrire la memoria d’un fenomeno rilevante nella storia del Paese. Ma importante anche all’estero verso gli Italiani delle generazioni successive alla prima emigrazione che, quasi per un processo di rimozione dovuto alla crescente conquista di ruolo nelle società, nell’economia e nei livelli di responsabilità, spesso sono portati a celebrare i lati gloriosi, molto meno a rammentare gli immani costi, le emarginazioni ed i drammi subiti. In fondo, i problemi enormi che hanno accompagnato gli emigranti fino a quando il muro di diffidenza si è frantumato e si è conquistato un apprezzabile livello di dignità, rispetto e stima nei Paesi d’accoglienza. Giunta all’approdo anche per merito d’un illuminato editore campano, Antonio Corbisiero, sensibile ed ospitale verso scrittori e poeti italiani d’oltre confine, l’opera multimediale – su Cd rom – poggia sulla sapienza di valenti giornalisti, accademici, studiosi e ricercatori, ma anche sulle testimonianze dei protagonisti. Valorizza, peraltro, i giacimenti d’emozioni lasciati dall’emigrazione nelle arti e nella letteratura, come pure i retaggi di cultura materiale oggi raccolti nei musei dell’emigrazione.

Eppure non sarebbe bastato solo il valore delle curatrici per realizzare un’opera tanto cospicua, se non fosse stata presente anche una forte tensione morale, una sensibilità culturale ed una familiarità con il tema emigrazione. E infatti Tiziana Grassi, scrittrice ed autrice per Rai International, per anni ha seguito i problemi degli Italiani all’estero nell’operosa fucina del programma televisivo “Sportello Italia”, come Catia Monacelli, antropologa e direttrice del Museo dell’Emigrazione “Pietro Conti” di Gualdo Tadino (Perugia), e come Giovanna Chiarilli, giornalista, sceneggiatrice ed autrice per Rai International, tanti anni trascorsi nelle redazioni di testate rivolte agli italiani all’estero, già direttore dell’Agenzia internazionale Grtv, poi per un lustro capo ufficio stampa del Ministro per gli Italiani nel Mondo. Rispettosa dei propositi delle autrici, l'opera è fortemente divulgativa, organizzata nella doppia lettura di “segni-simboli”, tutti aspetti problematici del fenomeno, e di “segni” come lacerazioni profonde che l'emigrazione incide sempre nei protagonisti che l'hanno vissuta. Tredici i capitoli dell’opera: la nave, il treno, la lettera, la valigia, le rimesse, il cinema, l’alimentazione, la toponomastica, la spiritualità, la musica, la stampa. Un capitolo è inoltre interamente dedicato alla “donna”, protagonista silenziosa della storia dell’emigrazione, ed un altro agli Italiani d’America, a rappresentare tutti i connazionali che nel corso d’un secolo hanno cercato nella loro personale “America” un futuro che l’Italia sembrava negare. La sezione multimediale è ricca di documenti inediti, provenienti dal Museo di Gualdo Tadino e dagli Archivi di Stato. Molto materiale fotografico, ma anche filmati, musiche, lettere. E testimonianze di emigrati. C'è anche un laboratorio didattico predisposto per le scuole, sia in Italia che all'estero. Un "patrimonio palpitante", che aveva bisogno d’un supporto flessibile, oltre il libro. La distribuzione dell’opera in Italia e nelle scuole italiane all'estero, attraverso la Farnesina, è prevista in ottobre. Per la prima volta, dunque, un'opera raccoglie sullo stesso piano scritti "alti" e testimonianze del vissuto personale. La scrittura è agevole, il taglio giornalistico è volutamente divulgativo, proprio per avvicinare e coinvolgere il lettore che talvolta rifugge da dotte pubblicazioni destinate agli iniziati.

C’è tanto Abruzzo ne “I segni dell’emigrazione”. E tanti gli Abruzzesi tra autori dei testi e protagonisti nei Paesi d’emigrazione. A cominciare da Giovanna Chiarilli, una delle tre curatrici dell’opera, che è nata ad Ortucchio in provincia dell’Aquila, ma residente a Roma sin da ragazza. Come originario di Ortucchio era Alfred Zampa, classe 1905, figlio di marsicani emigrati in Usa. Sconosciuto in Italia, Alfred Zampa è una leggenda in America. Grazie anche ad uno spettacolo teatrale, a numerosi libri, documentari e film che raccontano la sua straordinaria vita “sospesa”. A Crockett, in California, poche saranno le persone che posando gli occhi sulla targa del “Memorial Alfred Zampa Bridge” si chiederanno chi sia questo italiano con l’onore, dopo Giovanni da Verrazzano, d’avere un ponte dedicato alla memoria. Perché quasi tutti in America conoscono la straordinaria storia di Alfred, una vita da ironworker vissuta “tra paradiso e inferno” – come racconta suo nipote Donald Zampa in una bella testimonianza – a costruire ponti in ferro, il drammatico volo nel vuoto, nel 1936, per una banale scivolata da una trave del Golden Gate in costruzione a San Francisco, il miracoloso indenne passaggio tra le travi di ferro e la fortunosa caduta su una rete che lo salvò dallo sfracello sulle rocce. Pochi i danni riportati, tre mesi d’ospedale per risistemare le vertebre, poi di nuovo sui ponti. Diventava però un’icona della sicurezza, pretendendo norme e tutele nei cantieri per quegli operai sospesi oltre ogni vertigine. Al Zampa è scomparso otto anni fa, aveva 95 anni e sognava di tornare ad Ortucchio. Tra gli altri contributi presenti nell’opera, vanno segnalati quelli di Elio Carozza, Segretario generale del CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all’Estero), abruzzese emigrato in Belgio; di Luigi Alfiero Medea sull’emigrazione vastese in Australia; di Carmelina Taraborrelli Cimini sull’emigrazione abruzzese in Svizzera; di Walter Potenza, sul successo della gastronomia abruzzese in America; di Antonio Ranalli, sulla vicenda letteraria di Pascal D’Angelo; di Simona Andreassi e Gaetano Quagliarella, sulla canzone di Paolo Votinelli diventata inno dei Vastesi nel mondo.

Un doveroso accenno al corposo contributo di Giovanna Chiarilli sul determinante ed insostituibile ruolo svolto dalla stampa italiana all’estero per i nostri emigrati. “Lettere al Direttore”, titola il testo della Chiarilli, icastico richiamo alla funzione di punto di riferimento identitario e culturale, indispensabile canale di comunicazione tra Patria e terre d’emigrazione, che per anni hanno assolto le nostre testate all’estero. Questo l’incipit del contributo di Giovanna Chiarilli: “Ai nostri emigrati si addice la parola pionieri. Pionieri, come tutti quei giornalisti, editori, spesso intere famiglie che hanno mangiato pane e inchiostro e dedicato la loro vita al giornale della comunità: giornalisti che si sono affermati come firme prestigiose anche nella stampa locale, altri che nel più totale anonimato, con una passione che spesso si è trasformata in missione, hanno regalato alla comunità un foglio dove poter scrivere Caro Direttore “. Quindi la dettagliata analisi sul valore della stampa italiana all’estero non solo come ponte con l’Italia e come elemento di valorizzazione della cultura italiana, ma sovente come baluardo a difesa della dignità e dei diritti degli italiani all’estero. Chiarilli richiama il caso di Gaetano Bafile, giornalista aquilano corrispondente del Messaggero dal Centro America, “emigrato” in Venezuela e fondatore nel 1949 del quotidiano “La Voce d’Italia” di Caracas. Egli fece della redazione del giornale una casa aperta a tutta la comunità italiana, un luogo d’incontro e di discussione di problemi. E del giornale uno strumento di difesa degli Italiani, negli anni degli abusi polizieschi sotto la dittatura di Peter Jimenez. Come il caso della scomparsa nel nulla, nel 1955 a Caracas, di sette siciliani. Bafile aprì con il suo giornale un’indagine per salvare l’onore infangato dei nostri connazionali, accusati ingiustamente di crimini inesistenti da un regime corrotto. A rischio della propria vita, Bafile fece chiarezza sul caso con la sua coraggiosa inchiesta, anche se non riuscì a sottrarre i nostri connazionali dalla fine che quel regime cagionò loro. Gabriel Garcia Marquez, in un suo libro, raccontò la storia di questo giornalista tenace e coraggioso. Anni dopo sarà proprio Gaetano Bafile a raccontare quella terribile vicenda in “Inchiesta a Caracas”, un libro documento pubblicato nel 1989 dall’editore Sellerio di Palermo. La “Voce d’Italia” ha continuato negli anni la sua preziosa opera d’informazione, con l’impegno professionale anche dei figli di Gaetano Bafile: Mariza – poi eletta al Parlamento italiano nella Circoscrizione Sud America – e Mauro, attualmente direttore esecutivo del giornale.

La Chiarilli cita un altro caso emblematico del grande ruolo della stampa italiana all’estero. Quello del quotidiano “La Gente d’Italia”, diretto da Mimmo Porpiglia, che si pubblica negli Usa ed in Uruguay. L’azione puntigliosa del giornale che ha disseppellito da un vergognoso oblio la terribile tragedia di Monongah, in West Virginia, dove il 6 dicembre 1907 perirono nelle miniere di carbone 360 minatori, di cui 171 italiani. Almeno queste le cifre ufficiali, fino a quando l’inchiesta di Mimmo Porpiglia e l’ostinazione del suo giornale, quasi a cento anni di distanza, non hanno aggiornato la tragedia nelle vere dimensioni: 960 morti, almeno 500 gli italiani, molti di essi appena ragazzi che entravano in miniera senza essere registrati per aumentare la produzione. L’Italia, l’anno scorso, ha finalmente riparato un torto e reso omaggio a tutti i suoi figli caduti a Monongah. Sempre per restare in America, viene ricordata l’opera del quotidiano America Oggi, grande e prestigiosa testata, che l’11 settembre 2001, appena dopo la tragedia delle Twin Towers, si mise a completa disposizione dei connazionali senza un attimo di tregua per rispondere a chiunque chiamava in redazione per avere notizie sulle vittime e sui dispersi, dall’Italia e da ogni parte del mondo. Un servizio premuroso che mai avrebbe potuto garantire la nostra struttura consolare a New York, con il suo organico.

Come pure viene menzionato il caso del “Corriere Canadese”, quotidiano fondato nel 1954 da Dan Jannuzzi. Jannuzzi, per fondare il giornale, impegnò la sua macchina per ottenere un prestito. E come spesso è accaduto ai giornali italiani all’estero, anche “Il Corriere Canadese” dà subito vita alla sua prima battaglia a favore della comunità: il riscatto dell’ex Casa d’Italia, sequestrata dal governo canadese nel 1940, dopo l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Inghilterra. Servono 40mila dollari. Il primo giugno, il Corriere Canadese, nel suo primo numero, in apertura, titola: Gli italiani riavranno la Casa d’Italia. Non è una speranza, ma una sfida. Una sfida vinta pochi mesi dopo. Per rimanere in Canada, Chiarilli osserva come la vita dei giornali italiani all’estero scorre quasi in simbiosi con quella della comunità. Cita quindi “La Gazzetta di Windsor”, diretta da Walter Temelini, un’eminenza in fatto di multiculturalismo. L’autrice ha potuto toccare con mano quanto indispensabile, sentita, sia la presenza di un giornale italiano, proprio durante una visita a Windsor e nella redazione della Gazzetta. Vengono infine ricordati Bruno Zoratto, fondatore di “Oltre Confine”, testata che si pubblica a Stoccarda, l’assiduo servizio verso la comunità italiana in Germania, e Gaetano Cario, fondatore nel 1964 in Uruguay del giornale “L’eco d’Italia”, poi di altre testate in Argentina, in Brasile ed in Cile. La prematura scomparsa di Gaetano Cario non ha impedito ai figli di continuare nell’impresa editoriale a favore delle nostre comunità in Sud America. In fondo, la stampa italiana all’estero meriterebbe ben altri riconoscimenti dal nostro Paese - questo il parere di chi scrive – rispetto alle briciole che vengono elargite “a sostegno” dell’editoria. In fondo, il mercato della stampa italiana all’estero è ben diverso da quello di casa nostra, di certo non c’è paragone rispetto ai numeri della clientela. Eppure, su quelle pagine scorre tanta parte dell’immagine del Bel Paese, dell’italian style, della promozione dell’Italia per le sue valenze artistiche e culturali, dei valori della sua gente. Questo viene affermato all’estero, sulla stampa italiana, anche in forza delle testimonianze di vita dell’altra Italia - 60 milioni di oriundi - che hanno dato dimostrazione di saper vincere grandi sfide, con qualità umane professionali e creative, in Paesi a forte competizione.

 

*gopalmer@hotmail.com – componente del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo