La donna sbranata
e l’impiccato

Di Marco Vichi

Ah, sì?». Ero più stupito di lei, e d'istinto collegai la brutta storia a cui alludevano tutti con la malattia mentale della nipote.

«Qua intorno è quasi tutto suo... della signora Rondanini. Centinaia di ettari di terra, decine di cascinali con altrettanti contadini che lavorano per lei» aggiunse Camilla.

«Lei la villa l'ha vista?».

«No, ma ne ho sentito parlare. Come mai le interessa tanto?».

«È solo una curiosità. Ci passo accanto quando vado a camminare». Per il momento preferivo non dirle che avevo sentito quelle voci. Guidavo lentamente, per arrivare più tardi possibile a casa sua.

«Non ci abita più nessuno da molti anni» disse lei, come tutti gli altri.

«Ho sentito parlare di una brutta storia...» buttai lì con aria tranquilla.

«Molto brutta. È successa più di trent'anni fa. È per questo che la signora Rondanini non ha più voluto abitarci».

«Di preciso cos'è successo?». Speravo di sapere finalmente com'erano andate le cose.

«È proprio sicuro di volerlo sapere?» disse, lanciandomi un'occhiata. «Ci diamo del tu?».

«Va bene».

Passai accanto a Fontenera e continuai sulla provinciale. Montesevero era qualche chilometro più avanti.

«E insomma cos'è successo alla villa?» chiesi di nuovo. Lei fece un sospiro, come se raccontare quella storia le pesasse.

«A quei tempi la signora Rondanini occupava una parte della villa. Nell'altra ci stava uno dei suoi due figli, con la moglie e una bambina di cinque anni... che poi è Rachele».

«Adesso quanti anni ha?».

«Quaranta, più o meno».

«E poi?».

«Avevano un cane lupo. Molto grosso, a quanto dicono. Qualche anno prima il figlio della signora Rondanini l'aveva trovato a vagare nel bosco e lo aveva portato a casa. Era sempre stato un cane tranquillo, giocava anche con Rachele. Poi un giorno è impazzito, ha assalito la nuora della signora... e l'ha sbranata».

«Morta?».

«Dissanguata».

«Azz...» mi sfuggì. Forse il cane era quel Buch che aveva nominato Rachele. Mi venne in mente quella specie di rantolo che avevo sentito su alla villa. Magari anche il cane era diventato un fantasma, pensai. Ma non dissi nulla a Camilla, ovviamente.

«E Rachele?» chiesi.

«Per fortuna stava dormendo con i tappi nelle orecchie, e si è salvata».

«Come sai tutte queste cose?».

«Le ho sentite raccontare dalla gente del posto, un pezzo alla volta». «Una storia orribile».

«Purtroppo non è tutto qui».

«Ah...». Ero quasi contento. Mi stavo appassionando al mistero di quella grande villa. Camilla rimase in silenzio, pensierosa. La lasciai in pace. Ascoltavo il rumore del motore e immaginavo di baciarla. Andammo avanti per qualche chilometro.

«Gira in quella stradina» fece lei. Voltai in un viottolo sterrato che saliva in mezzo ai vigneti. In quegli spazi aperti la luce lunare era magnifica. Poco dopo i fari illuminarono un grande complesso colonico in pietra.

«Sono arrivata».

«È tutto tuo?» dissi, parcheggiando nel piazzale deserto.

«Magari. Ho preso in affitto quattro stanze». Appesa sopra una porta c'era una lampadina per la notte.

«Accanto ci abita qualcuno o stai qui tutta sola?».

«Ogni tanto a primavera vengono i proprietari per il fine settimana». «Che spreco».

«Però che silenzio» disse lei sorridendo. Era bellissima. Mi sforzavo di apparire impassibile.

«Ce la fai a raccontarmi la fine della storia o sei troppo stanca?». «Se proprio vuoi...».

«Sì».

«Be', cerco di farla breve».

«Fai pure con comodo». Quella storia avrei voluto sentirmela raccontare nella cucina di casa mia, sdraiati sul divano davanti al fuoco, luci spente e un bicchiere di vino. Lei lasciò andare il capo contro il poggiatesta.

«Quando il cane impazzì la signora Rondanini era dall'altra parte della villa, e non fece in tempo a salvare la nuora. Ma riuscì a uccidere il cane con una fucilata. Il marito della morta arrivò poco dopo dal lavoro... avevano una fabbrica di non so cosa... e appena vide la moglie impazzì quasi. Smise addirittura di parlare. Qualche settimana dopo s'impiccò, in quella stessa stanza. Lo trovò sua madre appeso al gancio del lampadario».

«Un finale allegro...».

«In paese si mormora di un particolare orribile... Ma lasciamo perdere».

«Non mi puoi mandare a letto così».

«Guarda che è davvero orribile».

«Dimmelo lo stesso». Mi sentivo un po' morboso. Ormai avevo la sensazione che quella faccenda mi riguardasse. Camilla guardava fuori dal vetro.

«La nuora della signora era incinta, al quinto mese. In paese si dice che il cane lupo... ha sbranato la donna proprio sulla pancia, come un demonio... e poi ha azzannato anche il...». S'interruppe con una smorfia.

«Cazzo» sussurrai. Senza volerlo immaginai la scena: la donna con la pancia aperta, e il cane lupo che azzannava il... Nemmeno io riuscivo ad andare avanti. Camilla fece un sospiro e prese in mano la borsa, pronta a scendere.

«Tutte le volte che ci penso mi vengono i brividi» disse, con le dita sulla maniglia.

«Forse è solo una leggenda».

«Forse...».

«La nipote della signora cos'ha di preciso?» chiesi, anche per trattenerla.

«Non saprei».

«Non sembra la classica demente...».

«In effetti a volte ha lo sguardo di una persona normalissima, anzi addirittura intelligente». Sul suo viso era rimasta un'ombra. «Posso lasciarti il mio cellulare? Magari una sera vieni a cena da me» dissi a sorpresa. Lei alzò le spalle e tirò fuori il telefonino dalla borsa per scrivere il numero. Glielo dettai, controllando che lo scrivesse bene.

«Sono stanchissima» fece lei, aprendo la portiera. Scendemmo dalla macchina e l'accompagnai alla porta, lasciando i fari accesi. Si sentivano cantare i grilli, e mi sembrava che la luna fosse diventata ancora più grande. Lontano nella vallata un cane abbaiava lamentoso. In un vecchio film americano sarebbe andata a finire con un bacio appassionato...

«Buonanotte» disse Camilla infilando la chiave nella serratura.

«Buonanotte». Volevo aggiungere qualcosa, ma aspettai troppo e lei si chiuse dietro la porta. Forse uno di questi giorni mi telefona, pensai. Tornai verso la macchina accompagnato dalla mia ombra. La campagna inondata di luce lunare faceva pensare alle mostruose leggende popolari. Avevo appena aperto la portiera quando sentii dietro le mie spalle un lamento acuto, e prima di capire che erano due gatti in guerra mi si drizzarono i capelli. Saltai dentro la macchina, misi le sicure e partii slittando sullo sterrato.
 


(Continua)
 

(La Stampa.it)