Cocciante: basta canzoni
"Farò solo opera".

1 giugno 2009.- Reinventarsi nel musicbusiness non è semplice, gli esempli sono rari in Italia. Il grandissimo Gaber diventò cantattore, Guccini scrittore, Ruggeri e Morgan divi tivù; ma nessuno avrebbe mai pensato, dieci anni fa, che Riccardo Cocciante si sarebbe evoluto da veemente trascinatore di sentimenti a padre della nuova opera popolare: il successone di Notre Dame de Paris in tutto il mondo, dal ’98 e la più circoscritta fortuna di Giulietta e Romeo del 2007 ci hanno alla fine privati di un artista stuzzicante, autore di melodie nervose e di originale vis interpretativa.

Per questo era imperdibile il suo concerto l’altra sera all’Arena di Verona, in diretta su Rtl, con l’Orchestra sinfonica diretta da De Amicis e un centinaio di coristi; andrà in onda il 2 luglio in prima serata su Raidue e raccoglie le due ormai inscindibili anime di un uomo pugnace. Intanto, nuove canzoni mai più, par di capire; al termine della trionfale serata, in camerino, l’artista è perentorio: «Chissà se farò più un album nuovo. I primi sono stati belli perché freschi e senza inganno intorno». E poi: «Amo molto cantare, ma un giorno ho scoperto che debbo scrivere e aiutare i ragazzi a cantare. Ho deciso di dedicarmi a questa nuova maniera di comunicare il melodramma ai giovani. Non farò più tournée, è un meccanismo che crea un vortice negativo. Ma se capita una bella idea, entusiasmante come questa di stasera, la metto senz’altro in pratica».

Tanti suoi colleghi dovrebbero imitarlo, invece di trascinarsi fra best con pallidi inediti. Uscire dalla routine fa bene alla creatività, Riccardino è infatti entusiasta: «Sting ha scritto di recente un’opera, ma sembra di un altro: invece, lo stile deve essere tuo. Io mi alzo ogni mattina prestissimo; il compositore deve stare lì, aspettare l’idea e fermarla. Sono prolifico, di opere ne ho scritte diverse, una è finita: vera, e già tutta cantata da me, per ora. È nel mio stile, ma guarda a etnie diverse. Il vero sbaglio è che si pensa sempre a scene e costumi, non alla scrittura». Capitasse solo nella musica...

Sabato, le due anime di Cocciante si sono mescolate. Dapprima con una certa fatica per il mancato esercizio vocale; ma già in Cervo a primavera la grinta era riemersa e lui, tutto vestito di bianco, solo al pianoforte, accendeva gli occhi dei 13 mila che riempivano l’Arena con altri titoli assai amati, Bella senz’anima (mesto l’intervento del coro), Celeste nostalgia, Poesia e una lunga trascinante teoria finale con Sincerità, Un nuovo amico, Quando finisce un amore, Se stiamo insieme, Margherita ripetuta dal pubblico, Io canto fatta rivivere da Pausini, fino al bis In bicicletta.

In dieci anni è passato tanto tempo che le canzoni di Cocciante paiono sospese, ormai, nel tempo: e più familiare suona il compositore, che chiama in scena gli interpreti delle due opere, li ascolta fiero e sembra non percepire quanto sappia di Amici la Tania Tuccinardi di Giulietta e Romeo che dialoga con Marco Vito in Tu sei. L’impatto è senz’altro migliore con i divi storici di Notre Dame (che ha in sé alcuni gioielli) Lola Ponce, Giò Di Tonno & Co. Il palco s’illumina, comunque, quando Cocciante ci mette del suo nel canto, in Bella o Com’è leggera la vita. Forse dovrebbe sottrarre un po’ di tempo alla composizione e dedicarsi a cercare le sue voci fuori dalla cinta della tivù: per rispetto a se stesso, a quelle levatacce mattutine e anche al suo grande sogno dell’opera popolare.

 

(La Stampa)