Bergman & Fellini
quel "Duetto" mai girato

Nel '69 annunciarono un film insieme. Ecco perchè non si fece.

2 giugno 2010. - L’amicizia impossibile era iniziata a Roma, nel ‘68, periodo di Pasqua, poco prima che a Parigi scoppiasse il maggio della contestazione: «Quando si incontrarono furono in un attimo come fratelli. Si abbracciarono, scoppiarono a ridere per lo stesso motivo, come se avessero vissuto insieme tutta la vita».

Subito dopo, racconta Liv Ullmann nell’autobiografia Cambiare, Ingmar Bergman e Federico Fellini «andarono in giro per le strade, tenendosi sotto braccio. Fellini con quel suo drammatico mantello nero, Ingmar col suo berrettuccio e un vecchio pastrano invernale». La data di nascita dell’idea di un film a quattro mani va collocata in quel giorno speciale, durante il pranzo in casa Fellini, con il maestro svedese seduto in un angolo accanto a Giulietta Masina e lei che, a un certo punto, per vincere la timidezza «aveva cominciato a cantare. Una voce alta e chiara come quella di un bambino». L’opera, racconta Aldo Garzia nel libro Bergman. The Genius (Editori Riuniti, University press), non vide mai la luce. Ma nei motivi del fallimento di quello strano connubio c’è la cronaca di come e perché gli opposti si attraggano. Sempre: in amore, in amicizia e anche nel cinema.

Il film, annunciato in una conferenza stampa all’hotel Excelsior (via Veneto, 5 gennaio del ‘69) doveva chiamarsi Duetto d’amore. Più che parlare della sceneggiatura, i due autori sembrava cercassero le parole per spiegare il loro sodalizio: «La concezione dell’amore è un tema così vasto e così vago - argomenta Fellini -, che può servire benissimo per un film fatto in collaborazione». Bergman esibisce le prove di stima: «A casa mia ho parecchi film di Federico in 16 millimetri e devo confessare che li proietto spesso. Penso che sarà una cosa meravigliosa fare un film insieme». Tocca al solito giornalista impertinente ipotizzare ragioni di incomprensione: «Non c’è il pericolo che Bergman e Fellini, che si sono sempre ispirati alla civiltà dei loro Paesi, finiscano per riprodurre i cliché tipici dell’amore: freddo quello nordico, caldo quello mediterraneo?». Prontissimo Fellini ribatte: «Non è possibile, perché è una tradizione tutta sbagliata. Chi è stato nei Paesi del Nord sa che l’amore è caldissimo e da noi, invece, glaciale». Le riprese avrebbero dovuto svolgersi tra Roma e Faro, l’isola del Baltico dove Bergman viveva. A quel punto bisognava solo iniziare a scrivere, i produttori Martin Poll e Jenning Langs vegliavano sul passaggio dalle parole ai fatti, mentre ai nomi di Bergman e Fellini si aggiungeva quello di Akira Kurosawa.

All’orizzonte c’è il miraggio di un kolossal di autori, un’impresa fatta apposta per entrare nella storia del cinema. Qualcosa, però, inizia subito a incepparsi. Kurosawa fa sapere che per problemi di salute non può lasciare il Giappone, Fellini sta finendo le riprese del Satyricon, Bergman è l’unico pronto, tanto per ribadire che gli stereotipi nord-sud hanno, in fondo, qualche radice di verità. Garzia riporta la testimonianza di Jorn Donner, amico di Bergman e rappresentante dello «Svenska Filminstitutet»: «I due registi avevano deciso di incontrarsi portando ognuno una sceneggiatura. Ma all’appuntamento Fellini arrivò senza la sua, mentre Ingmar ce l’aveva. Qualunque cosa si sia detta in proposito, questa è la ragione per la quale il loro film non è mai stato fatto».

Nel 2002, lo stesso Bergman fece sapere che il copione per la pellicola con Fellini era pronto dal giorno della conferenza stampa. Garzia tira le somme scrivendo che la ragione di quel film mai nato è da ritrovarsi, semplicemente, «nel diverso temperamento dei due registi: preciso e meticoloso Bergman, incostante e disordinato Fellini».

Insomma, niente di nuovo. Ci si può adorare, ma non andare d’accordo. Sembra che i due episodi destinati a comporre il Duetto d’amore siano poi diventati due film, La città delle donne di Fellini, inno alla gioia del femminile con Marcello Mastroianni-Snaporaz e L’adultera di Bergman, un’opera considerata minore, con Bibi Andersson e il divo americano Elliot Gould. «Mi sono sempre chiesta - ha confessato Liv Ullmann - se Fellini avesse mai capito quant’era vulnerabile Bergman, ma forse lo era anche lui... Quando ho parlato al telefono con Ingmar, prima di arrivare a Roma, mi ha detto che nella vita aveva solo un sogno: fare un film come quelli di Fellini». Dal giorno dell’incontro nella capitale, riferisce Ullmann, Bergman aveva iniziato a vedere «il mondo come lo vedeva Fellini. Credo sia il più grande complimento mai fatto da un regista a un altro regista».

 

(La Stampa)

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