Il Pirellone compie 50 anni
ora è un monumento protetto

Il grattacielo simbolo della Milano della ricostruzione.

3 aprile 2010. - Non sono in programma cerimonie né visite guidate, il passaggio sarà sobrio, automatico ma significativo, è una storia che si celebra da sé. Il Pirellone compie cinquant'anni, domani, ed entra nel catalogo dei monumenti vincolati, i beni dichiarati culturali per legge, e di diritto protetti. «Il grattacielo Pirelli non è l’Empire State Building. Al paragone, se gli si mettesse al fianco, sembrerebbe non dico un nanerottolo ma un fratellino molto minore»: e tuttavia, aggiungeva Dino Buzzati, mitizzando la vertigine di Gio Ponti, il conto in metri serve fino a un certo punto, se deve misurare «un grande personaggio».

 

La storia del Grattacielo Pirelli

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Lo è da mezzo secolo, ormai: manifesto d’un capitalismo in salute, testimone di una città, di un’idea di sviluppo e infine di un'era politica. «Il Pirelli interpreta lo spirito della Milano della ricostruzione» riflette lo storico Carlo Bertelli: «È lo spirito che questa città deve riuscire a recuperare». L’attitudine, la proiezione, a rimettersi in piedi.

Si disse, nei giorni dell'impresa, che il Palazzo Pirelli avrebbe vinto anche la nebbia, e in quella spacconata c’era tutto l'orgoglio di Milano. Erano gli anni del boom e della città locomotiva. La stazione Centrale consegnava le speranze degli immigrati meridionali e il Pirellone li osservava dall'alto, chiesa laica e statua della libertà. «Rappresentava la rinascita e l’apertura al futuro. Il significato simbolico esalta il capolavoro architettonico» osserva il soprintendente ai Beni monumentali, Alberto Artioli. Il cantiere, in piazza Duca d’Aosta, aprì nel 1956: Alberto e Piero Pirelli decisero di edificare il centro direzionale sulle ceneri della Brusada, prima fabbrica di famiglia. Le cronache dell'epoca scandiscono tempi da record, rispetto al ralenti della Milano Expo: «Il grattacielo conquista un piano ogni 15 giorni». L'edificio venne inaugurato il 4 aprile '60. Di lì a poco, la «fiaba verticale» disegnata da Ponti (e realizzata con i suoi collaboratori) era già letteratura, riecheggiava ne «La vita agra» di Bianciardi: i 127,4 metri della torre più alta d'Italia erano un orgoglio borghese, simbolo da far saltare con la dinamite anarchica.

La sagoma affusolata, rastremata, leggera. Semplice e trasparente. Ponti, nel descrivere il suo capolavoro, era lapidario: «È una forma essenziale che non ha precedenti e corrisponde a perfetti spazi operativi». Il design razionale, chiosa Bertelli, «integrava e univa la funzionalità all'eleganza». Nato per il lavoro, votato agli affari, il grattacielo venne venduto presto alla politica, nel 1978, ché mantenerlo costava troppo. La Regione pagò 43 miliardi di lire, stabilì la sede, insediò il suo think tank, formò una nuova classe dirigente: «La Lombardia se n'è sempre presa cura in maniera attenta e affettuosa» dice il governatore Roberto Formigoni. Se Gio Ponti è il «maestro », Formigoni si definisce il «custode». Un custode che il 18 aprile 2002, quando lo svizzero Gino Fasulo lanciò il suo aereo da turismo sul colosso di cemento, era lontano, in India, in missione istituzionale: «Ero appena atterrato a Bombay. Ricordo decine di sms sul telefonino e gli schermi della sala d'attesa dell’aeroporto: rimandavano le immagini del palazzo ferito, in fiamme, sembrava un altro 11 settembre». Fu un incidente, sul suicidio non c'è certezza: era di giovedì, e oltre a Fasulo morirono due avvocatesse. Il lunedì dopo, i dipendenti erano in ufficio, più forti della tragedia.

Il grattacielo è stato restaurato. «Cinquant’anni sono un periodo congruo per una riflessione critica, non emotiva» puntualizza Artioli. L'edificio di cristallo è il capolavoro che è, «coscienza sociale» della stagione che fu: quella Milano febbrile e scalpitante costruì il Pirellone, la Torre Velasca e il Galfa. Questa, per dirla con Formigoni, prova a lanciare segnali d’un ritrovato Rinascimento lombardo e punta i cantieri su Expo. Dopo averlo inaugurato, la Regione entrerà quest’anno anche nel Pirellone bis, la nuova cima Italia (161,3 metri) progettata da Pei-Cobb-Freed & partners con Caputo partnership. «Il complesso di edifici—ha sottolineato l’americano Henry Cobb—è un omaggio a Ponti». Le torri «dialogano» tra loro, spiega Paolo Caputo: «Nel Pirelli chiuso, singolare e convesso, si specchia l’Altra sede aperta, duale e concava». Palazzi opposti, diversi. Eppure fratelli.

 

(Armando Stella / corriere.it)

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