La contessa di Castiglione
quando la storia passa dalle lenzuola

Il terzo articolo della serie Donne D'Italia
Di Claudio Bosio.

Ritratto di Virginia Oldoini, contessa di Castiglione. 1862.

 

"Ah, la contessa riposa:
sogna gli amanti imperiali
i balli le corti gli omaggi,
côtillons, feste, equipaggi,
gli amici dai nomi immortali.
"

Anonimo

 

3 novembre 2010. - "Nacqui nell'istante in cui una stella cadente passava sulla mia culla. Correva l'anno 1843 e non 1840 e non fu il mio antico villaggio a sentire i miei primi vagiti, ma un altro villaggio, poiché il segreto circonda la mia nascita non so bene dove sia nata e da chi sia nata..."

In realtà, chi scriveva così, sapeva benissimo di essere nata a Firenze il 22 marzo del 1837 dal marchese Filippo Oldoini e da donna Isabella Lamporeschi (anche se correva voce che il suo vero padre fosse Giuseppe Potianowski di Monte Rotondo, un avventuriero che si dichiarava discendente dal re di Polonia).

Si trattava della marchesa (per nascita, poi contessa per matrimonio) Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini (1837-1899), una donna alta, bionda, intelligente, colta (conosceva quattro lingue) e bellissima: la più bella d’Italia, se non, addirittura di Europa.

«Una statua di carne», come la definì, non senza invidia, la principessa di Metternich.

Aveva gli occhi cangianti tra l'azzurro e il verde e il nasino all'insù. Il suo fascino, indubbio, era ancor più esaltato dagli abiti audaci, strani, a volte spettacolari, che indossava. (Ciascuno mai più di una volta, per altro). Per quanto riguarda la moda femminile, la Contessa di Castiglione ne rivoluzionò veramente la mise intime facendo notare, forse per prima, quale effetto avesse sugli uomini la raffinata fantasia delle sottovesti. Per questo adottò leggeri indumenti intimi di raso o seta neri al posto delle precedenti, pesanti imbottiture e dei mutandoni legati alle caviglie. Introdusse anche il vezzo delle lenzuola di seta colorate, che lei amava nere, verdi o violette. E rinverdì la moda delle giarrettiere, già scomparse da tempo: l’uso di ridotte culottes al posto delle lunghe braghe, imponeva anche la scelta di calze di seta da fermare con vezzosi nastri che via via si arricchirono di pizzi, piume, pietre preziose e scritte allusive.

Le malelingue (vive e vegete anche all’epoca!) non tardarono a farla passare per una Circe rediviva: asserivano che si fosse portata a letto quarantatre amanti, tutti personaggi influenti e … generosi, riuscendo a gestirne anche mezza dozzina contemporaneamente, senza che nessuno sapesse degli altri.

In casa la chiamavano «Nicchia» e sotto questo nome la conobbe il principe Luigi Napoleone (il futuro Napoleone III, figlio terzogenito di Luigi Bonaparte, fratello di Napoleone I.) quando a quell'epoca abitava a Firenze. A darle questo soprannome, diminutivo di Virginia ("Virginicchia"), era stato Massimo d’Azeglio (1798–1866), solito frequentatore di casa Oldoini.[1]. "Nicchia" fu anche un’inguaribile grafomane. Conservava maniacalmente le lettere che riceveva e scriveva le sue su carta carbone, per conservarne la copia. Si raccontava ogni giorno nel suo Journal intime, un diario in cui annotò di tutto,senza trascurare neppure i dettagli più scabrosi della sua vita intima. Usava per questo un codice, facilmente interpretabile. Per esempio: "e" stava per embrassements, baci e carezze; "b" per baisers, baci; "bx" per baci e … qualcosa di più; "f" per rapporto completo. Ne utilizzava uno anche per catalogare i suoi amanti: "ff" stava per fifty-fifty, ovvero significava che l’aveva fatto 50% per passione e 50% per convenienza; "pr", pour revanche, indicava una sua vendetta sentimentale.

Virginia dimostrò di essere molto disinvolta con gli uomini già durante l’adolescenza. Era, per dirla alla toscana, «di-coscia-allegra». Fatto sì è che, dopo un "f sul prato" (vedi Journal, 7 maggio 1853) con il marchesino Ambrogio Doria (& fratelli, Andrea e Marcello!), il padre sentenziò: «Urge trovarle marito perché la ragazza mostra di sentirne tanto bisogno». La scelta (materna) cadde sul conte Francesco Verasis di Castiglione Tinella e di Costigliole d’Asti (1826-1867), sposato in pompa magna nel 1824. Lo sposo, ventottenne, era gentiluomo di corte di S. M. Maria Adelaide, la prima moglie di Vittorio Emanuele, nonché cugino di Camillo Benso di Cavour. Il marito sapeva che lei non lo amava, ma ne era profondamente innamorato e continuò ad amarla nonostante i ripetuti tradimenti di lei.

Come tutti i mariti abbindolati che si rispettino, finse di ignorarne le sistematiche … scappatelle, anzi ne assecondò i costosi capricci, anche dopo la separazione legale. Morì in seguito ad un accidentale incidente … stradale: nel 1867, durante il corteo di nozze tra il principe Amedeo d’Aosta e la principessa Maria dal Pozzo della Cisterna, cadde da cavallo e venne travolto dalla carrozza reale.[2]

La coppia, fresca di nozze, si trasferì dunque a Torino, all’epoca, la capitale europea dove più erano rispettate le regole dell’etichetta. L’aristocrazia sabauda, ancorata ai costumi dell’ancien régime, se ne stava rinchiusa nei propri circoli esclusivi e nei salotti aviti, letteralmente traumatizzata da quel pazzoide, liberale e sovversivo di Cavour. In altri termini, vigeva un vero e proprio "apartheid ". Tant’è, ad esempio, che Costantino Nigra, allora insigne incaricato d’affari del Governo a Parigi, non aveva accesso in società in quanto figlio di un medico di provincia. Comunque, non ci furono ostacoli all’ingresso di Virginia nei salotti della nobiltà piemontese, anche se un avvenimento venne, in quel periodo, ad interromperne la scintillante vita mondana: la morte (1855)  della consorte di Vittorio Emanuele, allora Re di Sardegna, Maria Adelaide d'Austria-Lorena (era figlia dell'arciduca Ranieri, viceré del Lombardo-Veneto, e di Maria Elisabetta, sorella del re di Sardegna Carlo Alberto e quindi cugina prima del marito).

Tuttavia, proprio in quel lasso luttuoso di tempo, in cui i salotti rimasero tristemente vuoti, Virginia venne avvicinata dal suo importante cugino recentemente "acquisito": il presidente del consiglio dei ministri, camillo benso conte di cavour. fu il primo di una serie di incontri che avrebbe messo a soqquadro l’intera esistenza della giovane contessa, e che l’avrebbe fatta passare alla storia come «la vulva d'oro del Risorgimento». (L'aforisma è di Urbano Rattazzi, che, differenza del suo amico Cavour, le battute le diceva in italiano e non in francese!). 

è quasi incredibile, ma il geniaccio di Cavour aveva concepito un piano per cui le sorti del movimento risorgimentale italiano sarebbero dipese (almeno in gran parte) dall’attività, diciamo così, svolta fra le lenzuola da una bella donna. (Attività neanche lontanamente da paragonarsi con quella delle squallide escorts dei nostri giorni!)

Le trame muliebri di Cavour erano, in effetti, un corollario ad tutta una serie di iniziative politico-diplomatiche, da lui condotte per anni. Se tutto fosse andato come pianificato, avrebbero rappresentato la tipica "ciliegina" sulla torta imperiale.

Il paziente lavorìo di Cavour, sfociò in un accordo, segretissimo, che il Conte firmò, nel luglio 1858, nella stazione termale di Plombière-les-bains, con Napoleone III, (1808–1873). Costui, che Victor Hugo usava chiamare "Napoleone il piccolo", era (secondo Indro Montanelli) "un audace architetto di piani grandiosi, ma sempre abbozzati all’ingrosso". Quando si trattava di rifinirli e di portarli a buon fine, la sua azione si faceva esitante se non addirittura contraddittoria. Conscio di questo usuale comportamento del suo interlocutore, Cavour sapeva bene di dover giocare sul tempo, cioè di dover agire con prontezza, prima che l’Imperatore … cambiasse idea.

L’incontro di Plombière era, quindi, importantissimo.

Era il fruttuoso risultato del lungo corteggiamento compiuto da Cavour per indurre l’imperatore dei francesi a sostenere la causa italiana contro l’Austria, che spadroneggiava, direttamente o indirettamente, su tutta la Penisola, salvo appunto il Regno di Sardegna.

L’accordo prevedeva, in caso di attacco austriaco ai sabaudi, l’entrata in conflitto dei francesi, a fianco delle truppe piemontesi.

In vista di poter concludere questo accordo, per accattivarsi ancor più le simpatie di Napoleone III, Cavour aveva adottato una strategia per così dire "malandrina". Come ebbe a confidare a Costantino Nigra, suo fidatissimo segretario particolare, aveva architettato di coinvolgere, nel suo progetto, una donna: doveva essere bella, intelligente e spregiudicata capace di «charmer politiquement l’Empereur, coquette avec lui, le seduir, s’il fallait». (Cavour quando affrontava argomenti "seri" si esprimeva  in francese: l’italiano era per lui una lingua acquisita, che parlava male e scriveva peggio!). D’altra parte, Nigra, se ne può esser certi, non avrà battuto ciglio, abituato com’era al cinismo del suo principale (Perché no? … per la Patria questo ed altro…).

Il problema era che Torino scarseggiava di gentildonne aventi i requisiti richiesti.

Fu proprio Nigra, a quanto pare, a segnalare a Cavour che, molto probabilmente, la signora in questione era rintracciabile proprio nella famiglia del Conte: sua cugina, la giovane Contessa Castiglione. È da credere che Cavour, nel corso di diverse occasioni ricercate o fortuite, avesse avuto modo di studiare detta cugina: altera ma disinvolta, salottiera ma colta, fatua ma intelligente, vanitosa ma affascinante, giovane ma … esperta.

E, sia detto senza malignità, forte della sua notevole esperienza come tombeur de femmes, pensò senz’altro di sfruttare tali qualità.

A poco a poco il suo progetto prese forma e consistenza.

Era qualcosa di decisamente originale per quei tempi, ma che dimostra l'acume del grande ministro piemontese: mandare cioè Nicchia a Parigi, dove col suo fascino, ma soprattutto con la sua ambizione, avrebbe potuto influire sull'animo di Napoleone, sensibile alla bellezza femminile, e convertirlo alla causa italiana.

A Cavour era ben noto che, durante tutta la sua vita l'Imperatore, era stato succube delle donne: prima fra tutte della madre, la regina Ortensia[3], che ne aveva forgiato il carattere come meglio aveva creduto.

A posteriori, si può dire che Cavour non si sbagliava: per convincere Napoleone III a intervenire contro l’Austria, più che i tavoli diplomatici, avrebbe funzionato l’impresa di "pubbliche relazioni" di "Nicchia" svolte nella sua camera da letto.

Quel furbacchione di Cavour, prima che lei partisse (col marito) per Parigi, la benedisse, a suo modo, dicendole: «Cercate di riuscire, cara cugina, con il mezzo che più vi sembrerà adatto, ma riuscite!». Perché dubitare che, anche stavolta, l'avvenenza e l'ambizione di Nicchia non l’avrebbero spuntata, conto tenuto della notoria, debolezza dell'Imperatore nei confronti del gentil sesso?

A Parigi, il primo ingresso a Corte di Virginia, fu veramente teatrale. Arrivò con uno studiato, sconfinato ritardo, vestita di un vaporoso abito bianco e assolutamente priva di gioielli. Era seminuda, come una dea dell’antichità.

Le dames, eccitatissime, dimenticarono l’etichetta e salirono su poltrone e divani per meglio poterla osservare. Gli uomini erano, tutti, letteralmente ipnotizzati.

Era una sfida. (Una fida che,  tuttavia,  dal punto di vista squisitamente erotico,  finì per lasciarla abbastanza delusa. «Quando calano le braghe e restano nudi, anche i potenti si mostrano per come sono). Lei voleva conquistare Parigi solo con la propria bellezza. Ma oltre che Parigi ci teneva a conquistare Napoleone III (come detto, già suo ammiratore all'epoca del suo soggiorno a Firenze).

La conquista fu facile. Lei aveva 20 anni, lui 50.

Cavour, nel congedarla, le aveva detto di trovare «il mezzo più adatto» per la conquista. E il "mezzo" la bella Contessa lo trovò facilmente.

Per la bella italiana, l’avventura con il padrone di Francia iniziò decisamente bene.

E continuò meglio.

Ben presto l'Imperatore si prostrò ai suoi piedi: i doni superarono le più rosee previsioni. C'è chi parla di 50 mila franchi mensili per le spese voluttuarie o, come si diceva allora, per « i dolciumi e i guanti », e di una famosa collana di perle a sei giri che sarà poi venduta per 422 mila franchi. Naturalmente Napoleone, in famiglia, si trovò a sostenere delle battaglie da cui (stando alle male lingue) ne uscì spesso con qualche bernoccolo, dovuto a piatti scrasciatili in testa! 

La moglie, la contessa di Teba María Eugenia de Guzmán Montijo, una Grande di Spagna, pare che andasse, come si dice, per le spicce. Oltre che le regal mani, non teneva neppure a freno la lingua. Si narra che la stessa Eugenia, in una delle tante teatrali entrate della sua rivale, apparsa nei saloni con un ciondolo a forma di cuore un po' sotto la cintura, perfidamente la indicò "ecco essa dove ha il cuore".La bella contessa di Castiglione offrendo questo "cuore", non è che si sacrificò dunque molto sull'ara della patria; e, secondo alcuni suoi critici, fu anzi molto interessata a ben altro. La moglie di Napoleone III, Eugenia dovette, purtroppo per lei, assistere impotente al trionfo della contessa, che conquistò il cuore dell'imperatore oltre essere sempre al centro dell'attenzione alla corte di Francia.

Nicchia stabilì la sua residenza in una villetta in Rue de Passy e raramente si mosse da Parigi nonostante gli insistenti richiami del marito che viveva solo a Torino. Ritornerà ancora in Piemonte, ma per brevi soggiorni, soprattutto quando dovrà caldeggiare il matrimonio tra la principessa Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II, e Gerolamo Bonaparte: matrimonio che farà inorridire i sudditi sabaudi, ma che si rivelerà utilissimo alla causa italiana. Non fece certo l'Italia, siamo d'accordo, ma la sua presenza a Parigi ebbe indubbiamente un certo influsso sulla politica francese nei riguardi del Piemonte. Sta di fatto che Napoleone III, comunque, venne in Italia e portò le sue truppe a combattere contro l’Austria. Fu uno  scontro tremendo nel  corso del quale proprio lui e i suoi uomini sostennero, quasi per intero, lo sforzo del combattimento,  pagando migliaia di morti.

Si sa che non tutte le favole hanno un lieto fine: l’inizio del distacco da Napoleone, non fu dovuto al voltafaccia del «piccolo Bonaparte», ma ad un fantomatico attentato all'Imperatore organizzato, pare, da una sconosciuta cameriera della Contessa durante un convegno dei due amanti (qualcuno disse che a organizzare la messa in scena sia stata proprio Eugenia per sbarazzarsi della rivale). L'attentato ovviamente fallì, ma l'imperatrice Eugenia ottenne ciò che voleva: l'espulsione dalla Francia della rivale.

Fino al 1862 alla contessa di Castiglione non sarà permesso di rimettere piede in Francia.

Quando, grazie all’intervento di potenti amici, potrà farvi ritorno, cercherà invano di rinverdire gli allori di un tempo. L’incostante Napoleone aveva già rivolto i propri pensieri verso altri amori. Poi venne il suo giorno. E chissà con quale soddisfazione nel '70 apprese la sconfitta dell'imperatore e con l'imperatrice caduta dal suo regale piedistallo. Certo non pensò di ritornare al centro dell'attenzione: a parte le mutate condizioni politiche che avevano ormai fatto tramontare un epoca,  anche le armi seducenti della contessa erano decisamente spuntate.

A trentatre anni la bella Nicchia si sentiva già vecchia.

Ombre tristi si addensavano sull'animo di questa bellissima donna, ombre che varranno sempre più ad incupirla, a renderla sospettosa e persino maniaca. Il disinteresse degli altri lo viveva come una congiura, come una persecuzione.

Fin dal suo primo ingresso in società aveva puntato tutto su doni passeggeri: la giovinezza e la bellezza. Dovette constatare, con immenso sgomento, che aveva puntato su due cavalli perdenti. E forse, solo in questa situazione riuscì a capire di essere stata soltanto usata e di essersi lei stessa buttata via. Forse.

E non varrà ad allontanare la sconfitta il velo nero con cui farà coprire gli specchi di casa per non guardarsi. Le rughe si addenseranno ugualmente sul suo viso, il corpo perderà ugualmente la propria freschezza e Nicchia vivrà la sua solitaria vecchiaia in modo triste e angosciante, poiché mai saprà rassegnarsi al declino ma vivrà sempre nel disperato rimpianto della giovinezza perduta.

E giungerà la fatale data del 28 novembre 1899, quando la morte la coglierà, improvvisa, in un piccolo alloggio sopra il ristorante Voisin di Parigi. Aveva 62 anni.

Aveva disposto che la propria salma venisse rivestita con una certa camicia da notte, in ricordo dell'amore imperiale e che i suoi due cagnolini, imbalsamati, venissero sepolti con lei.

Queste disposizioni non furono però eseguite, poiché il testamento venne alla luce solo dopo la sua sepoltura.

Riposa tra i grandi, al Cimitero Père Lachaise.

Gli studiosi  ortodossi hanno sempre sminuito il ruolo svolto da questa donna, tanto che finì per essere del tutto cancellata dalla storia: Montanelli, ad esempio, nel suo volume «L’Italia del Risorgimento» non ne cita mai nemmeno il nome.


 

[1] Marchese, scrittore, pittore, patriota e politico italiano Era sposato (infelicemente) con Giulia, la figlia di Alessandro Manzoni. Aveva il gusto della boutade: sua, ad esempio, è l’affermazione "Abbiamo fatto l'Italia ora dobbiamo fare gli italiani". Ed anche: "In tutti i modi la fusione coi Napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso!" (da Carteggio inedito, 1888). Era considerato un "gaudente": le gonnelle gli piacevano anzichenò, tanto da guadagnarsi fra le dame di corte il nomignolo di "sporcaciùn".

[2] Virginia, in fin dei conti, non amò altri che se stessa. Anche il suo istinto materno lasciò molto a desiderare: non si curò quasi mai del figlio Giorgio, affidato fin dalla nascita (1855) alle cure altrui. Morto di vaiolo a Madrid nel 1879, la detestava cordialmente.

[3] Ortensia Eugenia Cecilia di Beauharnais (1783-1837) figlia di Alessandro di Beauharnais (generale, ghigliottinato  solo cinque giorni prima della caduta e decapitazione del suo persecutore, Robespierre) e di Giuseppina di Beauharnais (nota come Joséphine, la prima moglie, creola, di Napoleone Bonaparte) figlia adottiva dell'imperatore Napoleone I, ne sposò il fratello Luigi Bonaparte, divenendo regina d'Olanda, nel 1806. Da lui ebbe Carlo Luigi Napoleone, divenuto, poi, primo Presidente della Repubblica (1848) e poi "Imperatore dei francesi" (1852) con il nome di Napoleone III. Suo fratello, Eugenio di Beauharnais (178 –1824), venne posto da Napoleone a capo del Regno Italico, con il titolo di Viceré

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