Venezia, l'onda verde

sul tappeto rosso

La rivoluzione è roba da donne.

10 settembre 2009. - Hanno tutte una sciarpa verde intorno al collo e parlano di «libertà e democrazia, temi centrali nella società iraniana di oggi e del passato». Sono Shrin Neshat, videoartista e regista di Women without men, Shahrnush Parsipur, autrice del romanzo da cui il film è tratto, Pegah Ferydoni, Arita Shahrzad e Shabnam Tolouei, interpreti della storia ambientata nell’Iran del ‘53 eppure terribilmente attuale.

«E’ una coincidenza - spiegano - che gli scontri di quell’anno somiglino così tanto alle proteste di oggi, la lotta iraniana continua nel tempo, il Paese si rivolge al mondo per dire che la nostra è una storia difficile, a tratti oscura, ma che non abbiamo nessuna intenzione di smettere di combattere». Domani al Lido arriva anche Hana Makhmalbaf, figlia del regista Mohsen, nata a Tehran nell’88, attrice in un film del padre per la prima volta a sette anni. Il suo Green days racconta la storia di Ava, ragazza iraniana ammalata di depressione che trova, nei giorni che precedono le elezioni, l’entusiasmo di una possibile guarigione.

La rivoluzione inizia dalle donne e i film della Mostra, tanti, in gara e non, parlano di questa nuova liberazione al femminile. Una riscossa che attraversa il mondo intero e mette insieme, come in un girotondo stile «tremate, tremate le streghe son tornate», ragazze diverse solo in apparenza. In Ehky ya Schahrazad, ambientato oggi al Cairo, l’egiziano Yousry Nasrallah racconta la vicenda di Hebba, presentatrice di un seguitissimo talk-show e moglie di Karim, vicedirettore di un quotidiano governativo. I problemi cominciano quando alcuni pezzi grossi del partito di maggioranza fanno capire a Karim che, se la moglie non la smette di dar voce, nel suo programma, all’opposizione, è molto difficile che lui riesca a ottenere la promozione che aspetta da tempo. «Per decenni - spiega l’autore - il cinema egiziano ha rappresentato le donne come magnifici oggetti di desiderio. Con l’affermarsi del conservatorismo religioso, questa misoginia si è rafforzata. La verità è che oltre il 70% dei nuclei familiari egiziani dipende dal lavoro delle donne, mentre la società le costringe a mostrarsi sempre più sottomesse». In Vietnam la discriminazione riguarda anche i rapporti amorosi, soprattutto quelli lesbici. Lo racconta in «Choi voi» il regista di Hanoi Bui Thac Chuyen: «Sono convinto che questa storia rispecchi i dubbi nutriti da milioni di giovani vietnamiti sull’amore e sulla famiglia... L’elemento centrale del film è nel paradosso che vede energici personaggi femminili al servizio di uomini fiacchi in cui sperano di trovare un appoggio». In India, nella colorata regione del Punjab, succede, come narra Dev.D di Anurag Kashyap, che una ragazza rinunci alla verginità e prenda l’iniziativa con un ragazzo: «Il film è un collage sulla gioventù ribelle dell’India contemporanea». La galleria continua con mille altre immagini, da Francesca, ragazza romena che vuole aprire un asilo in Italia, a Pepperminta firmato da Pipilotti Rist, artista e cineasta di fama internazionale che ha portato alla Mostra un personaggio «dalla femminilità brutale, generosa, kitsch, coraggiosa e ipnotica».

Dell’onda rosa fa parte anche Michelle Hunziker, beniamina delle platee tv, che vola al Lido in versione impegnata, tubino color crema, capelli raccolti, per lanciare «Action for women», concorso per aspiranti registi che ha per obiettivo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla lotta contro la violenza verso le donne. Il cinema, dice la telestar, può fare molto per aiutarle: «Le donne che subiscono violenza non hanno idea di come reagire, spesso temono di confessare quello che subiscono e non sanno che possono denunciare i loro mariti. Bisogna spingerle a ribellarsi. Si tratta di un problema culturale importantissimo, per questo penso sia molto utile parlarne qui alla Mostra».

 

(La Stampa)