Questa
intervista è stata realizzata dalla
pubblicazione Italian Ways
e pubblicata nella Lettera Settimanale n° 22
della Società Dante Alighieri
11 dicembre 2013 -
L’Italia è ovunque.
In Tunisia, in Thailandia, in Cina,
in India, in America, a Cipro, nello
Zimbabwe… L’elenco è lunghissimo. È
ovunque anche grazie al lavoro della
“Società Dante Alighieri”, che
dall’anno di fondazione —era il 1889
quando un gruppo di intellettuali
guidati da Giosuè Carducci la
costituirono— non ha mai smesso di
moltiplicare i numeri della
diffusione della lingua e della
cultura italiana nel mondo: 423
Comitati sparsi in sessanta Paesi,
quasi seimila corsi di lingua
italiana seguiti da duecentomila
studenti, trecento biblioteche e
mezzo milione di volumi a
disposizione di tutti gli innamorati
del nostro Paese. E ancora: 95
Comitati in Italia che organizzano
oltre 130 corsi di italiano
frequentati da circa seimila
studenti stranieri, 266 centri
certificatori del PLIDA (Progetto
Lingua Italiana Dante Alighieri),
che rilascia l’attestato di
competenza in italiano come lingua
straniera riconosciuto dal Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali
e dal Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca.
La “Società Dante
Alighieri” —che quelli che ci
lavorano chiamano, con affettuosa
sintesi, “la Dante”— ha la sede
centrale nel cuore di Roma, a
Palazzo Firenze, magnifico edificio
della fine del Quattrocento con
ambienti decorati da Prospero
Fontana e Jacopo Zucchi.
Palazzo
Firenze. Scorcio del cortile.
Qui incontriamo
Alessandro Masi, il segretario
generale della Società. Ci accoglie
offrendoci un caffè, servito in
tazzine decorate col marchio della
“Dante” di Rosario, in Argentina,
che fanno parte di un servizio
donato dal presidente di quel
Comitato, un industriale della
ceramica. Un industriale che si
occupa di cultura italiana… La
nostra conversazione non potrà non
essere influenzata da questa
associazione: cultura e industria.
Qual è la percezione
della “Dante” riguardo all’interesse
del mondo nei confronti della
civiltà e della cultura italiana?
Innanzitutto vorrei
far notare una cosa importante. Di
norma si interpreta l’interesse
diffuso per l’Italia solo in
relazione al suo grandissimo
patrimonio artistico. In realtà, e
lo dico per la prima volta in
un’intervista, dai dati in nostro
possesso, frutto delle ricerche
condotte tra nostri studenti nel
mondo, emerge un dato più
articolato. L’Italia è percepita
come un sistema culturale complesso.
Esercita un potere d’attrattiva non
solo grazie alla cultura e all’arte,
ma anche in virtù della ricerca
scientifica e tecnologica che
produce. Non dobbiamo dimenticare
che l’Italia è tra le otto potenze
economiche più importanti del mondo
e che accende grandi interessi
scientifici, per esempio nella
ricerca aerospaziale, in quella
sulle nanotecnologie o
nell’applicazione di nuove
tecnologie in medicina. Pochi sanno
che molti dei nostri studenti
proseguono il loro percorso
formativo in Italia in vista di un
approfondimento di tipo scientifico.
Certo, rimane intatto, e
naturalmente è un bene, lo “zoccolo
duro” di chi subisce innanzitutto il
fascino artistico e culturale del
nostro Paese. Fascino che, tra
l’altro, fa dell’italiano la quarta
o quinta lingua di cultura più
studiata al mondo. Ma non dobbiamo
dimenticare che il nostro sistema
tecnoindustriale è considerato da
moltissimi stranieri come
un’opportunità per attingere
informazioni uniche. Mi domando se
siamo coscienti di queste nostre
potenzialità. Gli stranieri
conoscono meglio di noi il
patrimonio di eccellenze e di
innovazione che rappresentiamo nel
mondo…
A che cosa si deve
questa inconsapevolezza?
Innanzitutto alla
mancanza di raccordo fra il sistema
culturale e quello industriale:
l’industria e la cultura italiane,
anziché rimanere territori separati,
dovrebbero trovare spazi di
collaborazione. Tantissime imprese
straniere ci considerano
interlocutori imprescindibili per
realizzare le loro attività di
innovazione. Ricordo, per esempio,
che la Swatch svizzera, dopo il
sisma abruzzese del 2009, aveva
messo a disposizione dell’Università
dell’Aquila otto milioni di euro
perché si costruisse in quell’ateneo
un polo di ricerca per l’innovazione
scientifica e tecnologica.
Purtroppo, a tale generosa offerta
non si diede poi seguito… Questo
comunque conferma, se ancora ce ne
fosse bisogno, il dato secondo cui
l’Italia, oltre a essere considerata
la patria delle incomparabili
bellezze del Rinascimento, è anche
profondamente stimata per le
eccellenze di innovazione che è in
grado di realizzare. Del resto,
tutto ciò non nasce dal nulla. C’è
una tradizione intellettuale che
affonda le proprie radici in un
illustre passato. È da Leonardo, per
il quale l’arte è bellezza ma anche
conoscenza, che sono scaturiti Rubia,
la Hack, la Levi Montalcini e tutti
gli scienziati che il mondo ci
invidia. Non bisogna fermarsi agli
stereotipi. Nostro è Michelangelo,
ma nostri sono anche i cinquanta
ricercatori italiani del Cern di
Ginevra… D’altronde, un tempo questo
era chiaro a molti industriali
italiani…
Che intende dire?
Penso agli Olivetti,
o ai Falck, per fare qualche nome.
Loro comprendevano il grande valore
aggiunto che la cultura rappresenta
per l’industria. Olivetti sapeva
bene che un operaio non è un limone
da spremere, ma una risorsa
intellettuale cui si devono fornire
gli strumenti necessari per
crescere. Noi abbiamo fatto dei
piccoli ma significativi esperimenti
in questo senso, per esempio
fornendo borse di studio a un gruppo
di studenti messicani di
Guadalajara, che le hanno utilizzate
per studiare nelle industrie
piemontesi. Il mondo ha sete di
queste esperienze. Il Vietnam, per
fare un altro esempio, è un Paese in
fortissima espansione il cui P.I.L.
cresce a un ritmo del 6 per cento
annuo. Ebbene, in quella nazione si
veste italiano, la Piaggio esercita
un fascino fortissimo, così come la
nostra tecnologia. Tutto questo,
ripeto, andrebbe valorizzato facendo
sistema tra cultura e industria. La
“Dante” fa quello che può.
Per esempio?
Percorriamo
ordinariamente due vie per
sensibilizzare le istituzioni. Una è
quella del costante lavoro di
raccordo con la Farnesina e con la
Direzione generale per la Promozione
del Sistema Paese. L’altra è quella
della nostra presenza nell’ambito
delle commissioni parlamentari, alle
quali forniamo informazioni relative
alle nostra attività. Del resto la
“Dante”, più conosciuta all’estero
che in Italia, ha 423 antenne nel
mondo – i suoi Comitati all’estero –
che le permettono di captare in
tempo reale le pulsazioni del cuore
del pianeta e, quindi, di fare
proposte e dare risposte.
Recentemente abbiamo chiesto all’Eni
di sostenerci in quei luoghi in cui
vi sia anche un forte interesse
commerciale e industriale. Purtroppo
questa proposta, come d’altronde
molte altre, non ha trovato risposta
e il nostro bilancio economico non
può che risentirne dal momento che
il contributo dello Stato è sceso
dell’84%. Per tutti questi motivi,
dunque, faccio appello al mondo
della produzione affinché ritrovi i
motivi profondi e soprattutto le
connessioni giuste per ristabilire
il giusto equilibrio tra cultura e
produttività del Paese. Ma
soprattutto dobbiamo essere noi
cittadini a sentirci uniti in un
progetto di rinascita della “Dante”,
da intendersi quale luogo
privilegiato ove ricostruire un filo
identitario della nostra civiltà.
La massiccia
diminuzione dei contributi dello
Stato ha provocato seri danni?
Sì, molto gravi. Per
fare solo un esempio, per noi
significa l’impossibilità di erogare
borse di studio per i giovani che
desiderano venire a studiare in
Italia. La borsa di studio era un
modo per far conoscere il nostro
Paese, un modo per creare degli
“ambasciatori di cultura italiana”
nel mondo che procuravano dei
benefici facilmente comprensibili.
Comunque, le
“antenne” della “Dante” sono sempre
sensibili…
Per fortuna sì. La
nostra ultima sede è stata aperta in
Azerbaigian, a Baku, capitale
multiculturale ed esempio virtuoso
della convivenza tra mondo islamico,
mondo cristiano ortodosso e altre
minoranze. Purtroppo, per mancanza
di fondi dobbiamo limitarci a
tamponare il tamponabile, a
differenza dei francesi e dei
tedeschi che investono immensi
capitali per valorizzare le proprie
lingue, concepite, e con ragione,
come irrinunciabili strumenti di
penetrazione. Noi abbiamo, come dice
Francesco Bruni, una “lingua senza
armi”, che non è avanzata nel mondo
col colonialismo, come è accaduto
per lo spagnolo, il francese,
l’inglese. Ha camminato da sola, e
da sola ha dimostrato di saper
produrre e diffondere benessere.
Credo sia necessario valorizzare il
senso di piacere che gli stranieri
provano studiando l’italiano e la
cultura italiana. Noi siamo il
giardino fiorito che tutti loro
vorrebbero avere. L’italiano per
loro è la felicità dell’anima, il
massimo piacere culturale.
È trascorso ormai un
secolo e un quarto dalla fondazione
della “Dante Alighieri”. Qual è lo
stato di salute dei Comitati nel
mondo?
Assistiamo a uno
strano fenomeno: la crisi c’è, è
palpabile, soldi ne abbiamo sempre
meno, eppure i Comitati crescono di
numero. Ma sono Comitati di nuova
generazione, interessati a offrire
corsi di lingua di una qualità che
si può certificare, accompagnati da
materiale didattico di ultima
generazione. Noi della “Dante” li
chiamiamo Centri certificatori. Chi
ha subito un’inflessione, sono
purtroppo i vecchi Comitati che non
hanno saputo rinnovarsi e che sono
rimasti fermi alle serate italiane
con piatti di spaghetti, pizza e
proiezione di vecchi film. Ma io
sono fiducioso… La nostra lingua e
la nostra cultura continuano infatti
a godere dell’interesse di centinaia
di migliaia di persone nel mondo,
tanto che, come dicevo prima,
abbiamo inaugurato Comitati in Paesi
dove la scoperta della nostra lingua
è emergente, ad esempio in tutto
l’est del mondo. Il Ministero degli
Affari esteri chiude gli Istituti di
cultura e noi cerchiamo di colmare
questo imperdonabile vuoto.
Chi vorrebbe avere
qui per raccontargli tutte le
necessità e i bisogni più urgenti
della “Dante”?
Guardi, in questo
momento vorrei avere qui accanto a
me Dante stesso. Borges, secondo cui
la “Divina Commedia” è il «miglior
libro scritto dagli uomini», diceva
che dobbiamo leggerla «con la fede
di un bambino, abbandonarci ad essa;
ed essa ci accompagnerà per tutta la
vita». Il grande scrittore albanese
Ismail Kadare ha scritto che
«nessun’altra creazione letteraria
colloca a tal punto la coscienza
umana nel proprio epicentro». Dante
racconta tutta l’umanità. Tutti noi
siamo Ulisse, perché vogliamo
varcare le soglie della conoscenza;
siamo il Conte Ugolino, fagocitatori
di noi stessi; siamo Paolo e
Francesca, vittime della passione…
Dicendo che vorrei qui Dante, dico
che vorrei fosse qui la massima
autorità per ricordarci che “noi
siamo Dante”, siamo cioè qualcosa di
cui il mondo ha bisogno. Per questo
abbiamo realizzato un film sulla
“Divina Commedia”, “Maratona
infernale”, che racconta l’Italia
moderna attraverso immagini e
parole. E le parole sono quelle del
Poema dantesco. Dante è il poeta
nazionale ed è il poeta della
modernità, è il sigillo
dell’eternità impresso dall’Italia
sul mondo. L’Inghilterra ha donato
al mondo Shakespeare, la Germania
Goethe, la Russia Tolstoj o
Dostoevskij… Noi abbiamo avuto
grandissimi poeti e scrittori che
hanno indagato sapientemente l’animo
umano, ma solo Dante è riuscito a
esprimere compiutamente il
sentimento di “pietas” universale
comune a tutti gli uomini, di ogni
tempo e parte del mondo.
(italianways.com / puntodincontro.mx /
adattamento di
massimo barzizza e traduzione allo
spagnolo di
celeste román)
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