Peppa 'a cannunera

Per la serie Donne d'Italia, questa volta,
la storia di Giuseppa Bolognari.
Di Claudio Bosio.


2 aprile 2011. - L’Italia è ufficialmente unita da 150 anni.

Abbiamo appreso sui banchi di scuola che il Risorgimento è quel periodo storico tra il 1820 e il 1860 che ha visto fiorire nel territorio italiano idee e momenti di lotta per ottenere l’indipendenza, una carta costituzionale e l’unità. In altre parole: una Patria comune.

Abbiamo altresì appreso che, questa Patria, è nata da …. una procreazione multipla.

In effetti, stando all’aulica anagrafe storiografica, l’Italia-Risorta avrebbe avuto una paternità piuttosto complessa, essendo nata dai vari Mazzini, Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II…. Tutti esimi Personaggi passati alla Storia come i «Padri della Patria».

Ma, le «Madri della Patria»? Devono esserci state anche le Madri. L’Italia non può essere nata per … partenogenesi!

Ci furono anche le Madri, e tante, ma, per mille ragioni, le loro gesta sono state misconosciute, sottaciute dalla retorica risorgimentale. La loro opera è stata spesso svilita, sottovalutata.

Le Donne sono state le vere «protagoniste invisibili» dell’Unità del nostro Paese.

Erano dietro le barricate e non le abbiamo «viste». Stavano davanti ai plotoni di esecuzione e ci siamo voltati dall’altra parte. Nei titoli di coda del Risorgimento ci sono solo nomi al maschile: l’Italia l’hanno fatta loro. Talvolta l’hanno fatta anche a pezzi. Tanto a rimetterli insieme ci avrebbero pensato le donne. Nel silenzio e con tenacia. Come sono state educate a comportarsi. Figure di contorno sempre al servizio di qualcuno. Quelle che, per i libri di storia, erano la compagna, la spia, la cortigiana. Mai protagoniste assolute. Donne che, come tali, conoscevano il sopruso, l’ingiustizia, l’emarginazione, la violenza e la discriminazione. Patriote che davano scandalo in quanto ribelli prima di tutto al ruolo affidato loro dalla società ottocentesca, cioè mogli e madri. Nobildonne, tipo Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Matilde Dembowski, Teresa Confalonieri, che aprivano le porte dei loro salotti per accogliere i pensatori e permettere ai patrioti di organizzare piani di liberazione.

Donne (non meno "nobili") che scesero arditamente in piazza durante le Cinque giornate di Milano, che si vestivano da uomo per partecipare all’impresa dei Mille o che rischiavano la vita passando il confine per portare, in mezzo alle loro vaporose capigliature, messaggi cifrati. «Donne in cerca di guai», come dice la canzone, unite proprio dal non essere uomini. Aristocratiche e popolane, su al Nord e giù al Sud. Belle o poco avvenenti, eleganti o trasandate, tutte, inevitabilmente, intelligenti, caparbie e affamate di sapere. Anche quelle che non sapevano leggere. Cucivano coccarde, guidavano rivolte, incitavano i compagni. Senza di loro l’Italia sarebbe stata diversa. O forse non sarebbe stata proprio.

Eppure, ombra e silenzio sono calati su tante eroiche figure femminili.

Una sorta di buco nero le ha fagocitate.

Un silenzio ancor più greve è calato riguardo alle donne meridionali, per le quali la battaglia risorgimentale rappresentava, ancor più delle sorelle del Nord, l’occasione per sovvertire il loro stato secolare di subordinazione economica e sociale. Bisogna, per questo, diventare protagoniste. Costruire la propria vita con le proprie mani.

Un Personaggio emblematico di Donna del Sud (relativamente poco nota al Nord!) ardimentosa rivoluzionaria, è senz’altro «Peppa ‘a cannunera», Peppa la cannoniera, così soprannominata a riconoscimento della sua concreta partecipazione alla campagna garibaldina in Sicilia.  

I dizionari biografici del Risorgimento danno di lei poche e contraddittorie notizie. 

Pare fosse originaria di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina.

Non se ne conosce di preciso l’anno di nascita: forse il 1826, piuttosto che il 1841 oppure il 1835. Vallo a sapere!

Si tramanda che fosse stata il «frutto degli illeciti amori di un tal Antonino Mazzeo, sensale di agrumi». Ma "Mazzeo" non è il suo cognome anagrafico. Anche il suo vero cognome è oggetto di controversie. È nota sia come Giuseppa Bolognari (dal nome della nutrice alla quale viene affidata in tenera età) sia come Giuseppa Calcagno (in quanto affidata dalla Congregazione di carità a certa Maria Calcagno, "nutrice di trovatelli").

Abbiamo soverchie incertezze anche circa la sua professione. Forse era una servotta di un oste catanese e, in seguito, aiutante stalliera in un fondaco e rimessa di carrozze da nolo.

Di lei è certo soltanto il nome: Giuseppa. O, meglio, Peppa.

Si dice fosse bruttissima, per avere il volto butterato dal vaiolo e che fosse piuttosto di "coscia allegra": «Benché come donna virtuosa non fosse molto stimata» riportano in effetti di lei i biografi … sudisti.

Le male lingue, per altro, la presero in … dovuta considerazione: fu dapprima accusata di avere rapporti sessuali con un ragazzo più giovane di lei (Vanni), quindi di frequentare osterie e locali poco adatti a una donna, dove girava vestita da uomo, fumando sigari, bevendo e giocando a carte. Maldicenze a parte, certamente Peppa divenne un simbolo della partecipazione popolare, spontanea, all’insurrezione contro i Borboni, la risposta più istintiva della vendetta popolare contro "birri", "dazieri", "esattori del macino", "giudici, di parte o corrotti". Tutto ciò che gli Storici chiamavano, pomposamente, la "tirannide borbonica".

Peppa, questa popolana analfabeta e scapestrata, visse la sua giornata di gloria il 31 maggio 1860, a Catania.

Nel maggio del 1860, la situazione del Regio Governo Borbonico, in Sicilia, stava, per così dire, traballando parecchio.
 


 

L’11 maggio, con la protezione delle navi inglesi Intrepid e H.M.S. Argus, Garibaldi era sbarcato a Marsala. (I mille vennero accolti dai marsalesi come cani in chiesa!).  

Il 15 maggio, aveva avuto luogo la battaglia di Calatafimi. Passata alla storia come una grande battaglia, fu in realtà una modesta scaramuccia. Il fatto è che la vittoria piombò addosso ai garibaldini inaspettata, preceduta dalla tromba borbonica che suonava la ritirata, proprio quando meno se l'aspettavano. I Borboni avevano comparativamente avuto minori perdite, ma, stranamente, disertarono il campo. Si parlò di tradimento: il generale borbonico Francesco Landi (1792-1861), che aveva comandato la ritirata borbonica, fu accusato di tradimento, rimosso da Francesco II e confinato a Ischia [1].  Incomprensibile, poi che, del loro ragguardevole esercito di 25.000 uomini e dotato di una rilevante artiglieria (400 fucilierii erano inoltre dotati di moderne carabine di precisione), i Borboni ne avessero schierati contro Garibaldi soltanto 2.500.

Il 27 maggio Garibaldi entrava trionfalmente a Palermo, da vincitore.

Mentre ormai Palermo era in mano ai garibaldini, nel resto della Sicilia le truppe napoletane si ritiravano verso oriente, e le province abbandonate riconoscevano il governo dittatoriale di Garibaldi. Il 31 maggio 1860, infine, i catanesi insorsero in armi contro la guarnigione borbonica che presidiava la città, agli ordini del generale Tommaso Clary (1798-1878), di antiche origini francesi (un suo antenato era sceso a Napoli nel XIII secolo a seguito di Carlo d'Angiò). I rivoltosi riuscirono a penetrare dentro la città, scatenando aspri combattimenti, ma furono respinti e dispersi dopo sette ore di combattimenti con le truppe borboniche.

Peppa, che praticamente era da supporto come vivandiera ai giovani siciliani, partecipò con molto ardore e grande intelligenza agli scontri della giornata, tanto da diventare il deus ex machina della difficile situazione.

Due furono gli episodi che la resero memorabile: ed entrambi caratterizzati da stratagemmi per l’utilizzo di pesanti pezzi d’artiglieria.

Unitasi ai rivoltosi, una prima volta li aiutò a trasportare un cannone, nascosto dal 6 aprile 1849 in un pozzo (11 prima!)  e a trasferirlo nell’atrio di un palazzo.

Aperto all’improvviso il portone, Peppa scaricò una cannonata contro i borbonici in transito, che colti di sorpresa furono costretti rifugiarsi dietro alcune barricate, lasciando sulla strada diversi caduti e un altro pezzo di artiglieria. Il fuoco intenso dei soldati rendeva praticamente impossibile impossessarsi anche di questo secondo cannone.

Peppa escogitò uno stratagemma: avvalendosi di un cappio ottenuto da una robusta fune, riuscì ad imbrigliare e, con l’aiuto di altri rivoltosi, a tirare a sé l'affusto (già carico) fino ad impossessarsene.

Verso mezzogiorno, Peppa, aiutata da alcuni popolani, trascinò il “pezzo” fino alla zona chiamata Marina, dove però si vide fronteggiare da due squadroni di lancieri. La donna si trovò sola a fronteggiare la situazione, perché i suoi compagni, più paurosi che vili, vista la mala parata, se l’erano data a gambe! Peppa, che era rimasta dietro l’affusto, escogitò un’altra mossa astuta, facendo cioè credere che il cannone non funzionasse. Sparse sulla punta del cannone un po’ di polvere cui diede fuoco, dando così l’impressione che il colpo avesse fatto cilecca. Attese quindi, tranquilla, che la cavalleria caricasse. I borbonici, in effetti, credettero che il cannone fosse inceppato e mossero sicuri di riguadagnare il pezzo perduto; fu allora che la coraggiosa donna diede fuoco alla carica. L’arma sparò veramente e investì in pieno gli assalitori.

Ciò consentì all’eroina di fuggire e mettersi in salvo, mentre il suo giovane compagno Vanni morì, colpito da una fucilata.

L’epilogo della sanguinosa giornata fu negativo per i patrioti: quando ormai gli insorti avevano esaurito le munizioni, Giuseppe Poulet, in redingote, cilindro e guanti bianchi, si portò allo scoperto nella piazza dell’Università, gridando alla brigate borboniche: "Arrendetevi, siete nostri fratelli". Poulet cadde ferito e, dopo 7 ore di guerriglia, ordinò la ritirata. Dalle porte della città entrano le colonne napoletane scacciate dagli altri centri dell'isola dai reparti garibaldini, entrarono a Catania e sulla città di Sant'Agata scaricarono il loro livore e la loro ira.

Per 3 giorni la reazione delle soldatesche contro la popolazione fu terrificante. Dopo l’effimero successo, Clary, saputo che Garibaldi marciava su Milazzo, lasciò Catania. Dopo aver partecipato alle azioni militari di Catania, una volta ritiratesi le truppe nemiche, la nostra eroina operò come vivandiera della Guardia nazionale e prese parte all’espugnazione di Siracusa. Peppa, ormai e per sempre, soprannominata a buon diritto la Cannoniera, ebbe assegnata dal Governo Italiano, per i suoi atti di valore, la medaglia d'argento al valore militare. Il Comune di Catania  la gratificò, inoltre, di una pensione di 9 ducati mensili, pensione che, più tardi, venne tramutata in una gratifica, «una tantum», di 216 ducati.

Di lei parlarono in termini esaltanti i corrispondenti dei giornali stranieri (Inglesi e francesi) che seguivano le imprese di Garibaldi.

Le gesta compiute autorizzarono Peppa a gettare per sempre in un angolo la gonnella, che sostituì con abiti maschili, i quali, d'altra parte, si prestavano, meglio di ogni acconciatura muliebre, a mitigare la bruttezza del suo viso butterato.

Peppa passò il resto della sua vita comportandosi degnamente nel nuovo ruolo assunto, felice di poter fumare la pipa e giocare a tresette nelle bettole, tra un bicchierotto e l'altro di vino paesano.
Purtroppo, caduta nelle mani degli usurai, pare avesse ceduto la pensione e quel che restava dei 216 ducati avuti in cambio del suo coraggio.

Morì tra il 1884 e il 1900.


[1] Landi, al ritorno a Napoli, fu sottoposto, insieme ad altri ufficiali, al giudizio di una commissione che prosciolse tutti gli accusati. Nonostante ciò, subito dopo essere stato giudicato innocente, egli si congedò dall'esercito. Nel 1861, si diffuse la notizia secondo la quale l'ex generale si sarebbe recato presso la filiale partenopea del Banco di Napoli, per incassare una polizza di credito dell'ammontare di 14.000 ducati d'oro, quale ricompensa ricevuta da Garibaldi per aver sposato la causa unitaria. La polizza sarebbe risultata falsificata, poiché, in realtà, aveva un valore di soli 14 ducati. La faccenda finì sui giornali suscitando un enorme scandalo che, si disse essere stato la principale causa dell'ictus che provocò la morte del Landi. Sull'avvenimento uno dei figli del generale, a salvaguardia dell'onore paterno, riuscì ad ottenere una lettera di smentita dallo stesso Garibaldi. Nel frattempo quattro dei cinque figli di Landi, tutti ex militari dell'esercito borbonico, erano già in servizio quali ufficiali dell'esercito sabaudo; il quinto figlio, Francesco Saverio, appartenente alle guardie del corpo a cavallo mori giovanissimo sul Volturno

***

Italia está oficialmente unida desde hace 150 años.

Hemos aprendido en la escuela que el Resurgimiento es el período comprendido entre 1820 y 1860 que fue caracterizado en territorio italiano por ideas y momentos de la lucha para obtener la independencia, una constitución y la unidad. En otras palabras, una patria común.

También aprendimos que esta patria nació de ... una procreación múltiple.

De hecho, según el honorable registro civil de la historia, la flamante Italia tenía una paternidad bastante compleja al haber sido engendrada por los varios Mazzini, Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II .... todos ellos personajes eminentes que son recordados como los "Padres de la Patria."

Pero, ¿Qué pasó con las "Madres de la Patria"? Debe haber habido madres también. Italia no pudo haber nacido por partenogénesis!

También hubo madres, y muchas, pero por mil razones, sus hazañas no fueron reconocidas y se omitieron en la retórica del Resurgimiento. Su trabajo a menudo ha sido devaluado, infravalorado. Las mujeres fueron las verdaderas "protagonistas invisibles" de la unidad de nuestro País.

Estaban detrás de las barricadas y no las vimos. Estaban frente a los pelotones de fusilamiento y no nos quisimos dar cuenta. En los créditos finales del Resurgimiento aparecen sólo nombres masculinos: Italia fue hecha por ellos. A veces también fue hecha pedazos por ellos. Volver a ensamblarla fue tarea de las mujeres. En silencio y con tenacidad, tal y como les habían enseñado. Figuras de adorno siempre al servicio de alguien. Para los libros de historia fueron la compañera, la espía, la cortesana. Nunca protagonistas. Mujeres que, como tales, conocían el abuso de poder, la injusticia, la exclusión, la violencia y la discriminación. Patriotas que escandalizaban al rebelarse al papel que les había asignado la sociedad del siglo XIX, es decir, el de esposas y madres. Mujeres de la nobleza, como Cristina Trivulzio Belgiojoso, Matilde Dembowski, Teresa Confalonieri, que abrían las puertas de sus salas para dar cabida a los pensadores y permitir a los patriotas organizar los planes para la liberación.

Mujeres (no menos "nobles") que salieron con valentía a las calles durante los Cinco días de Milán, que se vestían como hombre para participar a la Expedición de los Mil o que arriesgaban la vida cruzando la frontera para llevar, escondidos en sus esponjosos peinados, mensajes en clave. "Mujeres en busca de problemas", como dice la canción, unidas precisamente por el hecho de no ser hombres.

Aristócratas y plebeyas, en el norte y en el sur. Bellas o no tan guapas, elegantes o descuidadas, pero todas, sin excepción, inteligentes, tenaces y con hambre de conocimiento. Incluso aquellas que no sabían leer. Cosían insignias, guiaban revueltas, infundían valor a sus compañeros. Sin ellas, Italia habría sido diferente. O tal vez, simplemente, no habría sido.

Sin embargo, la sombra y el silencio cayeron sobre tantas heroicas figuras femeninas.

Una especie de agujero negro se las tragó.

Un silencio aún más grave cayó sobre las mujeres del Sur, para las cuales la batalla del Resurgimiento fue, incluso más que para las hermanas del norte, la oportunidad de derrocar su condición secular de subordinación económica y social. Había, por tanto, que convertirse en líderes. Construir sus vidas con sus propias manos.

Una mujer emblemática del Sur (relativamente desconocido en el norte!) audaz y revolucionaria, es sin duda "Peppa 'a cannunera" (Peppa la cañonera), así apodada en reconocimiento a su participación efectiva en la campaña de Garibaldi en Sicilia.

Los diccionarios biográficos del Resurgimiento tienen pocas y contradictorias informaciones acerca de ella.

Parece haber sido originaria de Barcellona Pozzo di Gotto, cerca de Messina.

No se sabe con exactitud el año de su nacimiento, tal vez 1826, pero podría ser 1841 o 1835. ¡Ve tú a saber!

Se dice que fue el «producto de los amores ilícitos de un tal Antonino Mazzeo, corredor de cítricos«. Sin embargo, "Mazzeo" no es su apellido y este también es objeto de controversias. Se le conoce como Giuseppa Bolognari (por el apellido de la enfermera a la cual fue encargada en edad temprana), y también como Giuseppa Calcagno (ya que fue entregada en la Congregación de beneficiencia a una mujer llamada María Calcagno, "enfermera de huérfanos").

También existe gran incertidumbre acerca de su profesión. Tal vez era ayudante en un hostal de Catania y, después, asistente en un establo que rentaba carrozas.

De ella lo único seguro es el nombre: Giuseppa. O, más bien, Peppa.

Dicen que era muy fea, a causa de su cara marcada por la viruela, y que era bastante "de cascos ligeros": "A pesar de que como mujer virtuosa no era muy respetada" según los informes de sus biógrafos ... sureños.

Las malas lenguas, por otro lado, la trataron con la debida consideración: en un principio fue acusada de tener relaciones sexuales con un chico más joven que ella (Vanni) y luego de frecuentar cantinas y locales poco apropiados para una mujer, a los que acudía vestida de hombre fumando puros, bebiendo y jugando cartas. Más allá de las feroces críticas, Peppa sin duda se convirtió en un símbolo de la participación popular y espontánea en la insurrección contra los Borbones, la respuesta más instintiva de la venganza contra los cobradores, recaudadores de impuestos, jueces parciales y corruptos. Todo lo que los historiadores llamaron, pomposamente, la "tiranía de los Borbones".

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Giocando a carte nell’osteria
e con indosso vesti maschili,
Peppa ricorda con nostalgia
le sue passate gesta virili;
col viso sfatto per il vaiolo,
ella una rozza pipa di legno
fuma e ripete con voce fiera
sempre un racconto, sempre uno solo:
perché si chiami “la Cannoniera”
dacché l’Italia divenne un regno.

 Marco Tullio Messina