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Francesco Hayez. Cristina di Belgioioso. Ritratto del 1830.


10 dicembre 2011. - Una leggenda milanese vuole, che nelle notti di nebbia, nelle viuzze adiacenti alla Scala, sia possibile incontrare il fantasma di una donna, magnificamente vestita di pizzo bianco, dalla carnagione tendente al verdastro, colorito certamente conferitole dall'abuso di datura stramonium, un rimedio contro l'asma assai usato nell’800.

Si tratta di una Principessa, famosissima in vita per la sua ricchezza, la bellezza, il coraggio, l’anticonformismo e il suo apporto alla causa del Risorgimento, ma, oggigiorno, quasi sconosciuta: Cristina Trivulzio Barbiano di Belgioioso (1808-1871).

In casa, veniva più semplicemente chiamata "Cristinetta", ma alla fonte battesimale le avevano affibbiato una caterva di nomi: Maria, Cristina, Beatrice, Teresa, Barbara, Leopolda, Clotilde, Melchiora, Camilla, Giulia, Margherita, Laura [1]. Il padre Gerolamo passò a miglior vita a soli 32 anni, quando lei ne aveva 4. L’età, comunque, non le impedì di essere designata come unico erede del lascito paterno (don Gerolamo, facoltosissimo, era rinomato in Milano per la sua spilorcia taccagneria) comprendente palazzi e terre: uno dei più ricchi possedimenti patrimoniali della Lombardia, pari a qualche miliardo di euro attuali. Cristinetta venne "educata" in conformità alle usanze del tempo: alle ragazze della nobiltà non si richiedeva d’essere delle … enciclopedie; doti acquisite come il cantare, il suonare, il dipingere, il sacro francese, la piacevolezza nella conversazione, bastavano e avanzavano.

E poi, a sedici anni, arrivò lui. Emilio Barbiano principe di Belgioioso (1800-1858) avvenente libertino e avventuroso sciupafemmine (scorrazzava in città con un’enorme carrozza, già di Lord Byron, arredata con due letti!). Il loro matrimonio durò solo poche notti, quelle che bastarono alla giovane (divenuta, per nozze, Principessa) per rendersi conto che l'amato marito aveva abitudini sessuali troppo poco conformi al suoi gusti, e per farsi lasciare in dono la sifilide [2]. La goccia che, come si dice, fece traboccare il vaso fu la richiesta del Principe-consorte di un ménage a trois con la sua ultima amante, la procace Margherita Ruga.

Cristina prese drastiche decisioni: onorò "cash" i notevoli debiti del marito e si appartò nella sua villa di Affori, lasciandosi dietro i pettegolezzi e le maldicenze di Milano e sottoponendosi, contro l’acquisito mal venereo, alla cosiddetta terapia mercuriale (uso delle mutande antiveneree, spalmate di mercurio, del liquore di Van Swieten, una soluzione alcolica di sublimato corrosivo cioè di cloruro mercurico ecc. ).

Cristina si ritrovò "signorina", giovane, bella, molto ricca e anche molto colta. La madre, Vittoria Gherardini, (una splendida Dama, più … vecchia di appena 16 anni rispetto alla figlia!) l'aveva educata non alle belle maniere, ma anche agli ideali di patria e di libertà. L'unica cosa che sembrava mancarle era la salute. Oltre all'asma e alla sifilide, soffriva di frequenti attacchi epilettici. Ma la cosa non la disturbava, anzi dava un tono modaiolo al suo modo di essere.

Con l'appoggio del patrigno, il marchese Alessandro Visconti d’Aragona (patriota-dilettante, che passò 18 mesi in gattabuia in quanto adepto del Partito Italico), iniziò a frequentare il mondo sotterraneo della Carboneria. Divenne così amica dei più importanti rivoluzionari della prima metà dell'Ottocento e l'incubo del conte Harting, capo della polizia segreta austriaca, che la inseguì, con astio e testardaggine, per tutta l'Europa. L'unico espediente che gli Austriaci riuscirono ad escogitare fu quello di sequestrarle tutti i beni.

Cristina, malata, indebolita, senza un ghello e con il morale sotto i tacchi, affrontò risolutamente una serie di spostamenti in Italia: Genova, Firenze, Roma, Napoli Ischia…

Nel corso di questo suo peregrinare, fece nuove (e durature) amicizie: a Genova,  ad esempio, frequentò la marchesa Adelaide Zoagli Lomellini mameli, madre di Goffredo (1827-1849) l’autore del nostro Inno nazionale, che sarebbe morto (a 22 anni) durante la difesa di Roma, per l’infezione di una ferita causatagli con un colpo fortuito di baionetta da parte di un commilitone. Sempre a Genova, frequentò la marchesa Anna Schiaffino Giustiniani (1807-1841), la nobildonna che si sarebbe suicidata per amore di un giovane tenentino, di nome Camillo Benso, conte di Cavour.

Ovvio che, per questi viaggi … all’estero, avesse bisogno del passaporto. Non era una cosa semplice ottenerlo. Il pretesto ufficiale delle reticenti Autorità austriache era quello di evitare che i sudditi di "Cecco Beppe" andassero a sperperare soldi oltre confine. In realtà si intendeva contrastare "eversivi contatti politici con fuoriusciti" da parte dei viaggiatori. Cristina, per evitare lungaggini e ostruzionismi burocratici, si rivolse direttamente al governatore di Milano Giulio Cesare Strassoldo, il quale consentì il rilascio immediato del documento. Con il risultato, però, di far inviperire il capo della polizia meneghina, il solerte Carlo Giusto Torresani di Lanzfeld, barone di Camponero (1779-1852), le cui spie avrebbero seguito la … fuggiasca, "in ogni tempo e luogo".

La bella Principessa, comunque, si diede a girare l'Europa raccogliendo fondi per la causa risorgimentale.

E scivolando da un letto all'altro.

Spesso in quelli di personaggi di un certo spicco, come Vincenzo Bellini o Franz Liszt.

Nel frattempo si guadagnava da vivere dipingendo ventagli o facendo la giornalista-attivista della causa risorgimentale italiana. Collaborò, ad esempio, per Le Naturaliste e per la Gazzetta Italiana , stampata all’estero per essere diffusa in Italia.

Intanto, nel 1838, cioè a 30 anni, a Versailles, mise al mondo una bambina, Maria Gerolama.

Questa nascita rimane un evento se non misterioso certamente poco chiaro. Fatto sta che la Principessa, dopo una lunga battaglia legale, riuscì a farla riconoscere come figlia dell’antico … marito sifilopatico, Emilio Barbiano di Belgioioso, con il quale, all'epoca della nascita della bambina, dimostrò di "coabitare more uxorio". In verità, i due coniugi-non coniugi vissero, a Parigi, una vita solo apparentemente comune ma reciprocamente indipendente.

A Parigi, conobbe e ospitò i grandi e i grandissimi del Risorgimento, dal subdolo e geniale Cavour, all’introverso e utopico Giuseppe Mazzini, dal pesarese Terenzio Mamiani della Rovere (cugino di Leopardi), all'audace Federico Confalonieri compagno di prigionia di Silvio Pellico, a Giuseppe Garibaldi che le sarà sempre e in ogni occasione amico sincero. Non così Mazzini e Mamiani che, quando Cristina li invitò a scrivere per l’Ausonio, il giornale da lei fondato e guidato, convennero concordemente che "sarebbe stata un'ignominia scrivere su un giornale diretto da una donna!!!".

Intanto, nel 1840 la Principessa riebbe il possesso dei suoi beni e fece quindi rientro nel castello di Locate. Giusto in tempo per conoscere quello che sarebbe divenuto l'amore della sua vita: Gaetano Stelzi, un suo giovane (aveva 22 anni, 13 meno di lei) e fedele segretario. Era biondo, bellissimo, colto, inesorabilmente ammalato di tubercolosi e ricco di quella vitalità febbrile propria delle persone che sentono la vita sfuggire in fretta. Fu una passione intensa, un amore vorace e feroce, completo e appagante, destinato purtroppo a durare, per dirla con François de Malherbe, ce que vivent les roses: l’éspace d'un matin. (… quel che vivono le rose: lo spazio d'un mattino…).

E vennero le famose 5 giornate di Milano (17-23 marzo). Cristina non poteva non parteciparvi: Sempre entusiasta e non aliena da iniziative spettacolari, raccolse in fretta a Napoli (dove si trovava, avendovi trasferito la sede dell’Ausonio)   un piccolo corpo di volontari dei quali si pose a capo, inalberando un grande cappello piumato. Da non crederci: una piccola truppa di "terroni" si batte alla morte per Milano!

La libertà di Milano durò poco, il 5 agosto la città venne riconsegnata all'Austria da un incerto Carlo Alberto che se n’era andato via alla chetichella, di notte. All’insuccesso della rivolta antiaustriaca, si aggiunse per Cristina il dolore per la morte di Gaetano Stelzi avvenuta nella giornata del 15 giugno del 1848.

La sua disperazione per questa perdita assunse aspetti paradossali: Cristina fece imbalsamare il corpo dell’amato per tenerlo in una stanzetta accanto alla sua camera da letto! La bara, inumata a Locate, conteneva un grosso ramo.

Il ritorno degli austriaci spinse Cristina a fuggire ancora verso Parigi, e da lì a seguire la via dell'Oriente, come le aveva indicato la bizzarra Miss Parker, governante inglese della figlia Gerolama, durante una seduta spiritica.

Nel frattempo la sua casa venne perquisita dagli austriaci, che trovarono il cadavere mummificato di Gaetano, vestito con eleganza, seduto a un tavolo a fare un solitario. Al momento di "seppellire nuovamente" la salma, questa volta al suo posto, la popolazione cominciò a farneticare di fantasmi e messe nere legate al castello della Principessa, dicerie che non sarebbero cessate mai.

Cristina, Miss Parker e la piccola Maria Gerolama attraversarono Turchia, Siria e Iran. Si fermarono in Cappadocia, dove la Principessa acquistò una valle per fondare la colonia agricola di Ciaq-Mag-Oglan, in cui mise a frutto tutti i suoi studi di economia. La colonia falli perché il nuovo segretario di Cristina, tale Lorenzoni, si innamorò di lei. Sentendosi rifiutato, il Lorenzoni la pugnalò alla gola. Cristina fortunatamente si salvò, ma rimase con il collo storto per tutto il resto della sua vita. Dopo la spiacevole esperienza la Principessa riprese a vagabondare. In quegli anni girò quasi tutto il Medio Oriente.

Quando poté rientrare a Milano, lo fece come una sultana da Le mille e una notte, accompagnata da scimmie, cammelli e schiavi turchi.

E fumando il narghilè.

Una volta rientrata in Italia,  sì faceva mandare le foglie di tombeky da un commerciante svizzero in affari con l'impero ottomano. Un giorno la informarono che l'atteso pacchetto era stato bloccato alla dogana di Arona. Dopo inutili tentativi di ottenerlo, pensò di rivolgersi direttamente a Cavour. Gli spiegò che il fumo di quelle foglie era l'unico sollievo alle sue nevralgie, sottolineando che per lei era quasi un medicinale. Il Conte si fece scrupolo di intervenire presso il direttore della dogana. Ma compì il suo atto di cortesia accompagnandolo con irrisioni da caserma. […È certo che la Principessa non trovando più chi sia disposto a inebriarla di carezze, passa la sua vita a fumare non so quale narcotico orientale, al quale ella mesce forti dosi di oppio. Privarla di questo passatempo nella sua vecchiaia sarebbe una crudeltà …. ].

Ma non solo i cinici come Cavour irridono alla bellezza prematuramente appassita di Cristina di Belgioioso, che da giovane ha stregato gli uomini più affascinanti d'Europa. Le donne sono anche più corrosive, specialmente le coetanee, che le hanno invidiato amanti e ricchezza. La scrittrice francese Louise Colet è tra le più feroci. Giocando sul titolo di Princesse ruinée («Principessa rovinata») che accompagna la giovinezza «rivoluzionaria» di Cristina, la definisce adesso Princesse en ruine («Principessa in rovina», cadente) come dovrebbe confermare una descrizione orripilante: «La Princesse en ruine ci passò davanti. Il suo corpo, curvo sotto le pieghe cadenti della sua veste bianca, era orribile a vedersi. La vertebra sporgeva fuori dal collo. La spina dorsale si curvava in modo prominente sotto la pelle simile a pergamena; una bocca sdentata, invidiosa e sinistra sorrideva».

La Belgioioso aveva da poco superato la cinquantina, ma era vero che non rimaneva assolutamente più nulla della bellezza eburnea dipinta da Hayez nel 1830, quando di anni ne ha soltanto ventidue.

Cristina passò i suoi ultimi anni vivendo da reclusa nel suo castello.

Se ne andò una sera di luglio del 1871 vestita con un elegante abito di pizzo e fumando l'ormai inseparabile narghilè. Certa che l'Italia era definitivamente unita e libera.

Negli anni Venti si decise di controllare se il suo corpo riposasse effettivamente nel mausoleo di marmo bianco fatto erigere per lei a Locate. Ovviamente la sepoltura fu trovata vuota. Un timido guardiano di cimitero disse agli studiosi di provare a controllare in una tomba senza nome che si trovava accanto a quella di Gaetano Stelzi. All'apertura dell'anonima sepoltura, cosi vuole la leggenda, fu trovato il corpo incorrotto della Principessa di Belgioioso.

Al contatto con l'aria questo si dissolse: un mucchietto di cenere che volò, libera, nel vento.

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[1] Era pressappoco della stessa età dei cosiddetti "Padri della Patria": Mazzini (1805), Garibaldi (1807) Cavour (1810).

[2] A lungo la storiografia europea ha accusato la popolazione americana di avere trasmesso la malattia al vecchio continente, attraverso i marinai di Cristoforo Colombo. Tuttavia, scavi recenti presso il monastero agostiniano di Kingston-upon-Hull, in Inghilterra hanno portato alla luce scheletri di persone decedute prima del 1492, ma con evidenti segni della terza fase della malattia: uno studio dell'Università di Oxford, attraverso il metodo del radiocarbonio, ha stabilito una datazione intorno al 1340. Nel mondo classico la malattia era conosciuta (cfr. le ulcerazioni genitali descritte da Plinio il Giovane, il "mal campano" descritto da Orazio ecc.) ma era probabilmente presente in forma poco virulenta. La prima epidemia di sifilide sembra sia scoppiata a Napoli nel 1495, a seguito della calata del re francese Carlo VIII. Lo stesso Carlo VIII restò colpito dalla malattia e i suoi mercenari, di ritorno nei loro paesi, diffusero il nuovo male. In tutta Europa La Francia fu il primo paese ad esserne invasa e i francesi lo chiamarono "vérole", ma nel resto d’Europa continuò ad essere chiamato “mal francese o morbo gallico”.. La malattia venne quindi conosciuta in quasi tutta Europa con il nome di mal francese, tranne in Francia dove prese il nome di mal napolitain. La teoria americanista sull'origine della malattia è stata formulata dal medico spagnolo Ruy Diaz de Isla che nel 1539 scrisse il Tractado contra el mal serpentino que vulgarmente en España es llamado bubas, in riferimento alle cure da lui effettuate a Barcellona, nel 1493, ad alcuni marinai di Colombo affetti da una nuova malattia che identificò con la sifilide. Il nome sifilide si deve al medico e scienziato veronese Girolamo Fracastoro, autore, nel 1530,  del trattato Syphilis sive morbus gallicus ("Sifilide o il mal francese").

 

(rclaudio bosio / puntodincontro)

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10 de diciembre de 2011. - Según una leyenda de Milán, en las noches de niebla, en las calles adyacentes a La Scala, es posible encontrarse con el fantasma de una mujer, elegantemente vestida en encaje blanco, de tez ligeramente verdosa, colorido que seguramente le provocó el abuso de datura stramonium, un remedio muy utilizado para el asma en el siglo XIX.

Se trata de una princesa, muy famosa por su riqueza, su belleza, su valentía, su anticonformismo y su contribución a la causa del Resurgimiento, pero —hoy en día— casi olvidada: Cristina Trivulzio Barbiano di Belgioioso (1808-1871).

En su casa, se le llamaba simplemente "Cristinetta", pero en la pila bautismal le habían registrado una serie de nombres: María, Cristina, Beatriz, Teresa, Bárbara Leopolda, Clotilde, Melchora, Camila, Julia, Margarita, Laura [1]. Su padre, Jerónimo, falleció a tan sólo 32 años, cuando ella tenía 4. La edad, sin embargo, no impidió que fuese designada como la única heredera de la fortuna de su padre (Don Jerónimo, un hombre muy acaudalado, en Milán fue famoso por su extrema tacañería), incluyendo edificios y terrenos: una de las más grandes acumulaciones de riqueza de la Lombardía de aquella época, correspondiente a unos cuantos miles de millones de euros en la actualidad. Cristinetta fue "educada", de acuerdo con las costumbres de aquél entonces: las chicas de la nobleza no estaban obligadas a ser unas ... enciclopedias: habilidades adquiridas tales como cantar, tocar un instrumento, pintar, el sagrado francés y una conversación agradable eran más que suficientes.

Y luego, a los dieciséis años, llegó él. El Príncipe Emilio Barbiano de Belgioioso (1800-1858), apuesto aventurero, libertino y seductor (paseaba por la ciudad con un gran carruaje, anteriormente propiedad de Lord Byron, amueblada con dos camas). Su matrimonio duró sólo unas cuantas noches, las suficientes para que la joven (que se había convertido después de la boda en princesa) se diera cuenta de que el amado esposo tenía hábitos sexuales muy diferentes a sus gustos, y para recibir como regalo la sífilis.

La gota que, como dicen, derramó el vaso fue la petición del príncipe consorte de un menage a trois con su última amante, Margherita Ruga.

Cristina tomó decisiones drásticas: pagó "en efectivo" las considerables deudas de su marido y se retiró en su mansión de Affori, dejando atrás los chismes y las calumnias de Milán, sometiéndose —para curar la enfermedad venérea adquirida— a la llamada terapia del mercurio (el uso de ropa interior impregnada con mercurio o con licor de Van Swieten, una solución alcohólica de sublimado corrosivo a base de cloruro de mercurio).

Cristina volvió a ser "señorita", joven, hermosa, rica y muy culta. Su madre, Victoria Gherardini, (una bella dama, ... sólo 16 años más grande que su hija) no se había limitado a educarla según las buenas costumbres, sino también infundiéndole ideales de patriotismo y libertad. La única cosa que parecía hacerle falta era la salud. Además de asma y sífilis, sufría de ataques frecuentes de epilepsia. Pero no se incomodaba por esta situación, es más, sentía que este conjunto de malestares agregaba un tono a la moda a su forma de ser.

Con el apoyo de su padrastro, el marqués Alejandro Visconti d'Aragona (patriota-aficionado, que pasó 18 meses en la cárcel por ser un seguidor del Partido Itálico), empezó a frecuentar el ambiente clandestino de los Carbonarios. Se convirtió en amiga de los revolucionarios más importantes de la primera mitad del siglo XIX y en la pesadilla del conde Harting, jefe de la policía secreta de Austria, quien la persiguió con odio y terquedad, por toda Europa. Lo único que los austriacos fueron capaces de hacer fue confiscarle todos los bienes.

Cristina —enferma, débil, sin dinero y deprimida— enfrentó con decisión una serie de viajes en Italia: Génova, Florencia, Roma, Nápoles, Ischia ...

Durante este periodo de peregrinaje, hizo nuevos (y duraderas) amistades: en Génova, por ejemplo, frecuentó a la marquesa Adelaide Zoagli Lomellini Mameli, madre de Goffredo (1827-1849), el autor de nuestro himno nacional que murió (a los 22 años) durante la defensa de Roma, debido a la infección que le provocó una herida que tuvo origen en un golpe de bayoneta accidental de un compañero. También en Génova, fue cercana a la marquesa Anna Schiaffino Giustiniani (1807-1841), la mujer de la nobleza que se suicidaría por amor de un joven teniente, llamado Camillo Benso, conde de Cavour.

Obviamente, para estos viajes ... al extranjero, se necesitaba un pasaporte. No era fácil obtenerlo. El pretexto oficial de las autoridades austriacas era evitar que los súbditos de Francisco José malgastaran dinero más allá de las fronteras. En realidad, se pretendían evitar "contactos políticos subversivos con los exiliados" de los viajeros. Cristina, para evitar retrasos y el obstruccionismo burocrático, se dirigió directamente al gobernador de Milán Giulio Cesare Strassoldo, quien ordenó la emisión inmediata del documento. El resultado, sin embargo, fue que el jefe de policía de Milán —Carlo Giusto Torresani di Lanzfeld, barón de Camponero (1779-1852)— se enfureció, y sus espías empezaron a seguir a la fugitiva ... "en todo momento y lugar".

La bella princesa, sin embargo, comenzó a viajar por Europa para recaudar fondos a favor de la causa del Resurgimiento. Para esto, se deslizaba de una cama a otra, incluyendo —a menudo— las de algunas personalidades prominentes, como Vincenzo Bellini y Franz Liszt.

Mientras tanto, se ganaba la vida pintando accesorios y como periodista y activista de los movimientos independentistas italianos. Trabajó, por ejemplo, para "Le Naturaliste" y para "La Gazzetta Italiana", impresos en el extranjero para ser distribuidos en Italia.

Mientras tanto, en 1838, es decir a los 30 años, dio a luz en Versalles, a una niña: Maria Gerolama.
Este nacimiento es un acontecimiento si no misterioso, ciertamente poco claro. El hecho es que la princesa, después de una larga batalla legal, logró que fuese reconocida como hija del antiguo marido enfermo de sífilis, Emilio Barbiano de Belgioioso, con el que, en el momento del nacimiento de la niña, demostró vivir "como marido y mujer". En realidad, los dos "cónyuges" vivieron en París una vida aparentemente común, pero en forma totalmente independiente.

En París, conoció y hospedó a los grandes personajes del Resurgimiento, el tortuoso e ingenioso Cavour, el introvertido y utópico Mazzini, Terenzio Mamiani della Rovere (originario de Pesaro y primo de Giacomo Leopardi), el audaz Federico Confalonieri que fue compañero de prisión de Silvio Pellico y Giuseppe Garibaldi, quien siempre sería para ella un verdadero amigo. No así Mazzini y Mamiani quienes —cuando Cristina les pidió que escribieran para el Ausonio, el periódico que fundó y dirigió— estuvieron de acuerdo en rechazar la solicitud argumentando "hubiese sido una vergüenza escribir para un periódico dirigido por una mujer".

Mientras tanto, en 1840 la princesa recuperó la posesión de sus bienes, y regresó al castillo de Locate. Justo a tiempo para conocer a la persona que se convertiría en el amor de su vida: Gaetano Stelzi, un joven (tenía 22 años, 13 menos que ella) que trabajaba para ella como secretario. Era rubio, guapo, preparado y enfermo de tuberculosis. Lleno de la vitalidad típica de las personas que se sienten que sus ajetreadas vidas se escapan rápidamente. Fue una pasión intensa, un amor voraz y feroz, pleno y gratificante, destinado por desgracia a durar —citando a François de Malherbe—, "ce que vivent les roses: l’éspace d'un matin" (... lo que viven las rosas: el espacio de una mañana ...).

Y así llegaron las famosas cinco jornadas de Milán (17-23 de marzo). Cristina no podía faltar: siempre entusiasta y cercana a las iniciativas espectaculares, reunió a toda prisa a Nápoles (donde se encontraba, desde que trasladó ahí la sede de L'Ausonio) un pequeño grupo de voluntarios, a los cuales guiaba llevando puesto un gran sombrero con plumas. Resulta casi increíble: ¡Una pequeña tropa de "sureños" luchando a muerte para liberar Milán!

La libertad duró poco en Milán, el 5 de agosto la ciudad fue devuelta a Austria por un inseguro Carlo Alberto que había huido a escondidas, por la noche. Al fracaso de la insurrección anti-austríaca, para Cristina se juntó el dolor por la muerte de Gaetano Stelzi que tuvo lugar el día 15 de junio de 1848. Su desesperación por esta pérdida tomó aspectos paradójicos: Cristina hizo embalsamar el cuerpo de su amado para guardarlo en una pequeña habitación junto a su recamara. El ataúd, enterrado en Locate, sólo contenía una gran rama de un árbol.

El regreso de los austriacos llevó a Cristina a huir de nuevo a París, y desde allí a seguir el camino hacia el Oriente, como había predicho la extraña Miss Parker, nana inglés de su hija Gerolama, durante una sesión de espiritismo.

Mientras tanto, su casa fue allanada por los austriacos, que encontraron el cadáver momificado de Gaetano, elegantemente vestido, sentado en una mesa jugando solitario. Cuando el cuerpo fue "nuevamente enterrado", esta vez en el lugar adecuado, empezaron a circular rumores acerca de fantasmas y misas negras en el castillo de la princesa, y estas versiones nunca dejaron de ser transmitidas y comentadas.

Cristina, la señorita Parker y la pequeña María Gerolama cruzaron Turquía, Siria e Irán. Se detuvieron en Capadocia, donde la princesa adquirió un valle para fundar la colonia agrícola de Ciaq-May-Oglan, en la que puso en práctica todos sus estudios de economía. La colonia no prosperó porque el nuevo secretario de Cristina, Lorenzoni, se enamoró de ella. Al sentirse rechazado, Lorenzoni la apuñaló en la garganta. Cristina, afortunadamente, sobrevivió, pero se quedó con el cuello chueco por el resto de su vida. Después de la desagradable experiencia, la princesa siguió viajando. Durante esos años recorrió gran parte del Oriente Medio.

Cuando pudo volver a Milán, lo hizo como una sultana de las Mil y una noches, acompañada por chimpancés, camellos y esclavos turcos.

Y fumando un narguile.

Después de regresar de Italia, hacía que un comerciante suizo que tenía tratos comerciales con el Imperio Otomano le enviara hojas de tombeki. Un día le informaron que el esperado paquete había sido retenido en la aduana de Arona. Después de vanos intentos para conseguir que se lo enviaran, se dirigió directamente a Cavour. Explicó que el fumar esas hojas era el único alivio a su neuralgia, haciendo hincapié en que para ella se trataba prácticamente de una necesidad terapéutica. El conde intervino ante el Director de Aduanas. Sin embargo, llevó a cabo su acto de bondad acompañándolo con burlas poco respetuosas. [... Lo cierto es que la princesa, no pudiendo encontrar más personas dispuesta a intoxicarla con caricias, se pasa la vida fumando algún tipo de narcótico oriental, al que añade grandes dosis de opio. Privarla de este pasatiempo en su vejez sería cruel ...].

Pero no sólo los cínicos como Cavour se burlaban de la belleza prematuramente marchita de Cristina de Belgioioso, que de joven hechizó a los hombres más fascinantes de Europa. Las mujeres fueron aún más hirientes, especialmente las de su misma edad, que le envidiaron los amantes y la riqueza. La escritora francesa Louise Colet fue una de las más feroces. Jugando con el título de Princesse ruinée («Princesa arruinada») que acompañó la juventud "revolucionaria" de Cristina, la definió más tarde Princesse en ruine ("Princesa en ruinas", echada a perder), utilizando la siguiente descripción horripilante: "La Princesse en ruine pasó en frente de nosotros. Su cuerpo, doblegado bajo los pliegues de su túnica blanca, era horrible a la vista. La vértebra sobresalía del cuello. La columna vertebral se doblaba prominentemente bajo su piel de pergamino, y sonreía, envidiosa y siniestra, con su boca sin dentadura".

Belgioioso tenía poco más de cincuenta años, pero era cierto que nada quedaba de la belleza retratada por Hayez en 1830, cuando sólo tenía veintidós años.

Cristina pasó sus últimos años viviendo como un ermitaño en su castillo.

Murió una noche de julio de 1871 con un elegante vestido de encaje y fumando el acostumbrado narguile. Estaba tranquila, segura que Italia ya se encontraba por fin unida y libre.

En los años veinte, se decidió revisar si realmente su cuerpo descansaba en el mausoleo de mármol blanco construido para ella para en Locate. Obviamente, la tumba fue encontrada vacía. Un tímido cuidador del cementerio sugirió a los investigadores que abrieran en un sepulcro sin nombre que estaba cerca del lugar donde se encontraba Gaetano Stelzi. Según la leyenda, ahí fue encontrado el cuerpo intacto de la Princesa de Belgioioso.

A contacto con el aire, éste se disolvió, transformándose en un montón de cenizas que volaron, libres, en el viento.

 

(claudio bosio / puntodincontro)