Rapporto Italiani nel Mondo 2007: l'emigrazione italiana di ieri

Uno sguardo particolare.

4 ottobre 2007. - E' stato presentato oggia Roma, presso il Centro Convegni dell'Istituto Patristico Augustinianum, il Rapporto Italiani nel Mondo 2007, realizzato dalla Fondazione Migrantes, in collaborazione con il Comitato Promotore composto da Acli, Inas-Cisl, Mcl e Missionari Scalabriniani.

Il Rapporto si sofferma per uno sguardo particolare sull'emigrazione di ieri. La storia è indubbiamente fatta di grandi eventi e di grandi nomi, ma anche dalle umili vicende di milioni di italiani, senza soldi e senza cultura, un passato umile che talvolta si cerca di dimenticare.

Una volta si percorreva l'oceano sui ponti delle navi o in cameroni disagiati, o si attraversavano le Alpi con i piedi gonfi, gli occhi segnati e il cuore trepidante. Il secolo scorso vide l'abruzzese Salvatore Borsei percorrere a piedi l'Africa in due anni, affrontando mille peripezie, per poi lavorare nei cantieri del Sudafrica. Anche nell'ultimo dopoguerra molti sono così poveri da non potersi pagare il viaggio, e per questo approfittano dei programmi di "passaggi pagati" come quelli offerti dalle industrie di mattoni di Bedford, dove alla fine degli anni '70 sono oltre 8.000 gli italiani, il 10% della popolazione complessiva della città.

Sempre in Gran Bretagna, agli inizi dell'Ottocento, si emigra anche da zone come il Comasco, l'Appennino Tosco-Emiliano, la Liguria e la Ciociaria (che ha continuato i flussi anche dopo) per sistemarsi alla meno peggio (Little Italy di Holborn) e operare, specialmente a Londra, come piccoli artigiani, venditori ambulanti di statuette, arrotini, lavoratori di piastrelle e artisti di strada: insomma, girovaghi, saltimbanchi e suonatori di organetto, una sorta di lavavetri e "vu cumpra" ante litteram. A fine secolo troviamo anche i piccoli commercianti, soprattutto nel settore alimentare, con venditori itineranti di castagne d'inverno e gelatai d'estate. Non mancano gli anarchici e i rivoluzionari.

Nel secondo dopoguerra in Australia, gli italiani, arrivati dopo 4 o 5 settimane di navigazione, privi di professionalità e del tutto ignari della lingua, sono in grado di svolgere solo lavori manuali e non qualificati nel campo dell'industria pesante, delle costruzioni, dell'agricoltura, dove manca la manodopera. Comunque, si fanno apprezzare facilmente per impegno, resistenza, diligenza e curiosità nell'apprendere e con il tempo riusciranno ad emergere.

I nostri emigranti si collocano all'origine di piccole cittadine, come quella brasiliana di Cascalho, fondata alla fine dell'Ottocento, o della grande San Paolo, anch'essa a maggioranza italiana. Capitan Pastene (Cile) viene fondata all'inizio del Novecento da famiglie provenienti dall'Appennino modenese. Ancora un italiano dell'Appennino modenese, Felice Pedrone, partito nelle intenzioni alla ricerca dell'oro, fondò la città di Fairbanks in Alaska: sulle sue vicende è stato allestito uno spettacolo teatrale (Il mistero di Felix Pedro di Giorgio Comaschi). Protagonisti di questi flussi sono tanti piccoli comuni, come quello di Rocchetta Sant'Antonio in provincia di Foggia, che ha costituito il "Coordinamento nazionale piccoli comuni dell'Italia minore", sostenuto da più di 40 mila adesioni.

Non mancano le storie di disfatte che stanno all'origine dell'esodo. Nel 1891 i licenziamenti del Lanificio Rossi di Schio in provincia di Vicenza, sono all'origine dell'emigrazione di 300 famiglie in diversi Stati del Brasile, che a Rio Grande do Sul impiantano tra l'altro una cooperativa tessile tutt'ora operante.

L'Argentina è, forse, il Paese più ricco di impronte del lavoro italiano, che si ritrovano perfino nella Terra del Fuoco, in Patagonia, dove i nostri connazionali sono stati protagonisti dell'industria turistica. Ad essi, che numerosi e con un apporto notevole di fatica e impegno si sono dedicati allo sviluppo in loco, è riservato il video Migrantes italianos, realizzato dal regista argentino Ernesto Morales in collaborazione con la Regione Toscana e proiettato con successo in Italia.

Nel Rapporto si parla anche di casi di razzismo, di lavoratori diventati vecchi e rimasti soli, di ebrei sfuggiti alle leggi razziali durante il nazismo, di persone rimaste invischiate in qualche disavventura, gente in attività e pensionati.

Il 9 settembre 1917, a Milwaukee negli Stati Uniti, un gruppo di anarchici italiani si scontra con la polizia, due sono uccisi, gli altri arrestati e condannati a 25 anni di prigione "per cospirazione con la finalità di uccidere" in un processo caratterizzato da pregiudizi e annullato in appello: cinque di essi, anche se assolti, vengono costretti a rimpatriare, come ricorda il quaderno del Museo dell'emigrazione di Gualdo Tadino intitolato Milwaukee 1919, opera di Robert Tanzillo, un giovane italo-americano nato a Brooklyn.

Un capitolo, dedicato ai musei dell'emigrazione nel mondo, ricorda la grande e sofferta epopea di persone costrette a cercare "fortuna" altrove. Anche a quel tempo è diffusa la vendita di sogni, non di rado falliti già in occasione della prima selezione effettuata nei Paesi di destinazione. Il museo di Ellis Island ricorda tutti gli emigranti provenienti dall'Europa, mentre è dedicato solo agli italiani il Museo Meucci Garibaldi, promosso recentemente in Rosebank dall'OSIA-Order Sons of Italy in America.

Comportamenti anti-italiani si riscontrano anche in occasione della II guerra mondiale. In Gran Bretagna il forte sentimento di ostilità, accentuato dall'entrata in guerra di Mussolini, la stessa sera del 10 giugno 1940, porta piccole folle ad accalcarsi davanti ai negozi italiani, considerati ormai nemici, rompendo vetrine e saccheggiando. Gli episodi più violenti si verificano a Liverpool ed Edinburgo. Churchill dà il via a un programma di internamento e circa 4.000 italiani vengono arrestati e condotti nell'Isola di Man. Nei casi ritenuti più pericolosi, si dispone la deportazione in Canada, una misura sospesa dopo l'affondamento (2 luglio 1940) del transatlantico Arandora Star ad opera di un sottomarino tedesco, con la morte di 446 dei 717 italiani a bordo, assieme a 175 tra tedeschi ed austriaci. Vengono rilasciati solo gli internati disposti a intraprendere lavori "di importanza nazionale" e solo dopo la resa dell'Italia, nel settembre 1943, anche gli altri internati sono rimessi in libertà, con un comprensibile strascico di amarezza e di disillusione.

A vegliare sulle disavventure del passato e sulle attuali collettività vi sono i morti italiani in cimiteri sperduti, o conosciuti o recuperati, come quello sulla collina Delstern nella città di Hagen, nella Ruhr, dove è stata finalmente dedicata una tomba comune ai 52 italiani, morti il 2 dicembre 1944 nelle loro baracche sotto le bombe degli alleati.

 

(News Italia Press)