Ciao Italia:
il futuro è nella svolta italica

Un salto di qualità per i ristoranti italiani all'estero

19 dicembre 2007. - L’avevamo detto a poche ore dalla chiusura del sipario: il IX Congresso Mondiale di Ciao Italia -l'Associazione che raggruppa e rappresenta la rete mondiale dei ristoranti italiani sparsi nei 5 continenti- svoltosi a Roma dal 5 al 7 novembre 2007, ha segnato una svolta nella storia dell’Associazione e contestualmente nella proiezione della cultura gastronomica di radice italiana nel mondo, con il sollevamento costruttivo del problema culturale (Il Congresso della 'svolta' di Ciao Italia  News ITALIA PRESS N° 210 dell'8 novembre 2007).

Il fondatore e Presidente Mondo, l’Onorevole Bartolo Ciccardini, ha elaborato la svolta italica di questo formidabile network, e, come non bastasse, è riuscito a fare in modo che le istituzioni italiane –dal Governo al Parlamento- metabolizzassero perfettamente questo salto di qualità e si rendessero conto che tale balzo in avanti è esattamente quanto alSistema Italiaserve per potersi muovere sullo scenario internazionale.

E lo scorso 9 novembre con decreto n. 3388 il Ministro delle Politiche Agricole, Paolo De Castro, ha reso noto la composizione della Commissione ministeriale per la ristorazione italiana all'estero. La Commissione ministeriale per la ristorazione italiana all'estero, è presieduta dal Capo Dipartimento delle Politiche di Sviluppo delle Politiche Agricole e Forestali, Giuseppe Ambrosio; Vicepresidente vicario della Commissione proprio Bartolo Ciccardini. La Commissione è composta da: Senatrice Antonella Rebuzzi; Senatore Edoardo Pollastri; Emilio De Piazza, Presidente Buonitalia; Enzo Lino Stoppani, Presidente Fipe; Giuseppe Ferrarini, in rappresentanza di Ciao Italia; Massimo Bigiali, Presidente ORPI; Giuseppe Dell'Osso, Presidente dell'Accademia Italiana della Cucina; Gabriele Gasparro, esperto
La Commissione: propone l'istituzione di un segno di riconoscimento del vero Ristorante Italiano; stabilisce i principi per la sua concessione; assegna e revoca il riconoscimento di Ristorante Italiano; istituisce un Albo d'Onore dei ristoranti italiani selezionati per il riconoscimento; predispone un progetto operativo per la promozione, la realizzazione e la comunicazione di ogni iniziativa atta a promuovere la qualità della ristorazione italiana all'estero.

 

Presidente Ciccardini, il numero 9 Le ha detto bene, forse tanto quanto pochi, davvero pochi, si sarebbero aspettati. Dietro ci sono anni di ‘passione’ in tutti i sensi.

Il IX Congresso di Ciao Italia è stato un Congresso storico. Dopo il Congresso di Palermo (che era stato il VI della nostra storia), che aveva aperto grandi prospettive e grandi speranze, si era avuto un periodo veramente difficile.

Dal 14 al 21 Gennaio del 2001 il Dottor Gioacchino Gabbuti, direttore generale dell’Ice, dava alla crociera Convention Fipe questo annuncio: “In questo momento, tutto quello che è italiano tira. E tira molto bene. Anche per rispondere al trend positivo, con Sergio Billè, abbiamo pensato di creare una società per la ristorazione italiana nel mondo, una società a capitale pubblico e privato, che serva per certificare, promuovere ed incentivare il consumo di prodotti italiani e cucina vera italiana. all’idea stiamo lavorando da u paio di mesi, registrando un certo interesse. Tra l’altro, siamo riusciti a far sì che coloro che avevano inventato alcune associazione che concedevano targhe, se ne stiano un po’ fermi. Cerchiamo di riabilitare la vera cucina italiana”.

E’ un annuncio gravissimo, falso e disonesto.

Innanzitutto esisteva già un’iniziativa per certificare i ristoranti del Ministero dell’Agricoltura, della quale faceva parte anche l’ICE, che in questa maniera veniva sabotata a soppressa, senza alcuna ragione. Il proposito di costituire una società a capitale pubblico e privato per certificare è chiaramente un atto legittimo per trarre profitto da una difficoltà di soggetti terzi, in questo caso, i ristoranti italiani all’estero, che della certificazione avevano bisogno.

Lo scopo vero dell’iniziativa è contenuto nella frase “far sì che coloro che avevano inventato alcune associazione che concedevano targhe, se ne stiano un po’ fermi”.

Affermazione falsa e disonesta, di cui il direttore Gabbuti e l’ICE dovrebbero rispondere. L’Insegna veniva concessa da una Commissione composta da Ministeri, Enti (fra cui l’ICE stessa) e la selezione era fatta dalle Ambasciate, secondo una direttiva dello stesso Ministro degli esteri pro-tempore.

Per “alcune associazioni che concedevano targhe” si intendeva chiaramente Ciao Italia che portava il peso, con il suo lavoro gratuito, della organizzazione della Insegna, che veniva consegnata alla presenza del Presidente della Repubblica in Quirinale. Il succo prepotente e fazioso delle intenzioni del direttore generale Gabbuti è tutto nella frase sprezzante rivolta a noi: “se ne stiano un pò fermi”.

Il Ministro Alemanno decise di fare una Società per la promozione del prodotto agricolo italiano.

L’iniziativa era giusta. Quando propose che questa società (a capitale tutto pubblico) si occupasse della Certificazione, chiese a Ciao Italia di partecipare, dando il dovuto peso che Ciao Italia meritava.

Ciao Italia aveva i suoi rappresentanti nella Commissione Ministeriale. Il Ministro chiese anche di trattare con un solo organismo federativo e chiese a Ciao Italia di parteciparvi. Ciao Italia credette nelle intenzioni e nella buona fede del Ministro, che propose a Ciccardini di essere il Vicepresidente della federazione di associazioni, che si chiamò Ardi.

Ma lo spirito con cui si tentò di fare la Certificazione non fu quello amichevole di Alemanno, ma quello ingiusto e sprezzante del programma Gabbuti. Ciao Italia non fu ascoltata e subì molte ingiustizie ed umiliazioni.

Nel Congresso di Roma, che è stato il nostro VII Congresso (ed il primo di Ardi), predominò questo atteggiamento. Quando uscimmo da Ardi facemmo il Congresso di Barletta, l’VIII della nostra storia, in cui ratificammo la decisione di uscire da Ardi e di riprendere la nostra strada. Ma ricordiamo bene che fu un Congresso difficile, fatto di amarezza e di preoccupazione, ma anche di coraggio e di speranza. Il IX Congresso fu deciso quando ancora esistevano tutte le difficoltà del passato ed era diffusa una grande inspiegabile ostilità nei confronti di Ciao Italia. Ma, nonostante tutto, il Congresso è stato una prova di forza. Senza avere aiuti da parte di nessuno, solo con il contributo dei soci, si sono ritrovati vecchi e nuovi amici, la vecchia radice si è rivelata fortissima, i nuovi tralci erano rigogliosi, ed autorità, enti, associazioni, amici e nemici, hanno dovuto riconoscere che Ciao Italia c’è, che non è la più grande associazione dei ristoranti italiani all’estero, ma è l’unica. Ora sta a tutti noi realizzare i programmi che abbiamo discusso e deciso in questo Congresso, che possiamo considerare storico.

 

Il Governo italiano ha capito, e il Ministro dell’Agricoltura ha chiesto a Ciao Italia di accettare un ruolo forte, decisamente sfidante

Basta citare il discorso congressuale del Ministro De Castro in Quirinale al Presidente della Repubblica: “Intendiamo dare risalto all’operato di questi ristoratori, che già si sono distinti all’interno del loro mercato e la cui qualità viene innanzitutto riconosciuta dai loro clienti. Per questo ho il piacere oggi di annunciare l’attivazione di quel Comitato Tecnico per la Valorizzazione delle produzioni agroalimentari di qualità nella Ristorazione Italiana all’estero.

In questo Comitato saranno dati nuovi e chiari obiettivi in coerenza con l’indirizzo dato in materia ed anche con la collaborazione di Buonitalia, che è la società di promozione dell’agroalimentare italiano. A sostegno di questo indirizzo, ed in attesa che il Comitato riavvii le sue attività, la stessa Buonitalia ha avviato la fase pilota di un’iniziativa promozionale negli Stati Uniti, uno dei mercati di grande riferimento della cucina italiana nel mondo, e sta per essere pubblicata una guida (lo dico proprio come esempio delle iniziative che potremmo fare), dei primi mille ristoranti italiani, in 45 città del Nord America, realizzata con una delle più illustri guide statunitensi del settore, la Zagat. Una guida, Signor Presidente, che si basa esclusivamente sulla valutazione dei clienti dei ristoranti. A questi ristoranti italiani verrà presentato un progetto complessivo di promozione ed ottimizzazione dei risultati in termini economici e di immagine, che questi hanno ottenuto fino ad oggi. L’obiettivo è quello di creare una rete di eccellenza Ciao Italia, attraverso la quale promuovere i prodotti italiani utilizzando il primo canale di conoscenza che l’Italia ha nel mondo: i suoi ristoranti. Questo permetterà, inoltre, ai ristoratori italiani all’estero di essere aggiornati sulle tendenze del momento espresse nel paese e mantenere inalterata la loro rappresentatività della realtà culinaria italiana. Abbiamo certamente i numeri, in termini di qualità produttiva, e dobbiamo lavorare su questo versante, ma abbiamo bisogno di strategie diversificate in base ai mercati che vogliamo raggiungere ed il Ministero vuole ideare e promuovere progetti insieme a voi”.

Ritengo che questi progetti annunciati dal Ministro siano importantissimi e spero che vengano realizzati nel più breve tempo possibile.

 

Una delle istanze emerse è quella relativa alla formazione. Esigenza che, per altro, è direttamente connessa alla nuova fase che il sistema della ristorazione di matrice italiana nel mondo sta vivendo dal punto di vista culturale.

E’ evidente che il problema della formazione è così vasto ed urgente che non bastano le forze della nostra associazione. Ci vuole un’iniziativa, un piano, un progetto che parta dall’Amministrazione centrale, come il Ministero del Lavoro o il Ministero dell’Agricoltura, che coinvolga Regioni, competenti per materia di Istruzione Professionale, scuole ed Istituti esistenti. E’ assolutamente necessario impostare il progetto di una politica di informazione educativa e di corsi di formazione professionale per migliorare la qualità professionale di tutti i ristoratori. Cercare la collaborazione delle scuole italiane per affrontare il problema della qualificazione del personale. Predisporre i ristoranti ad essere “maestri d’arte” per ospitare stagisti e borse di studio per operatori della ristorazione al fine di fare esperienza pratica ed apprendimento di lingue presso i nostri ristoranti.

Pensare ad un progetto pilota di una scuola regionale preposta a svolgere questo lavoro in collaborazione coi ristoranti italiani all’estero. L‘Assessore alla istruzione Professionale del Lazio, la Onorevole Silvia Costa, ha interpellato un nostro socio fondatore, Stefano Orsini, che opera con grande successo a Los Angeles, perchè collabori al progetto di ricostruzione della scuola Enaoli che serviva alla preparazione del personale dei ristoranti. Dovrebbe diventare una scuola pilota per sperimentare strumenti educativi applicabili ai ristoranti all’estero, che siano la centrale di corsi nei nostri ristoranti, trasformati in “Maestri d’Arte” e che sperimenti anche nuovi contenuti di formazione, come i corsi per manager di ristoranti, o i corsi per operatori di franchising nella ristorazione. Noi siamo pronti a collaborare, ma non possiamo sostituire la iniziativa educativa dell’Amministrazione pubblica, che debbo ricordare, è la primissima funzione di uno Stato civile.

 

Autenticità, tracciabilità dei prodotti, difesa dalla contraffazione. Temi che hanno appassionato i ristoratori congressisti e che idealmente vi hanno fatto condividere la settimana livornese che pochi giorni dopo ha visto protagoniste le Camere di Commercio Italiane all’Estero, riunite per la loro XVI Convention Mondiale.

L’Italia ha, per suo merito, per fortuna e per caso, il grande scrigno dei prodotti doc, dop ed igp, riconosciuti in Italia ed in Europa. Come nessun altro Paese. Aggiungiamo a questi anche i prodotti di cui l’Italia è ricchissima, che sono coltivati con attenzione biologica. Come far conoscere ai clienti del mercato globale il significato e la funzione di questi marchi, di queste certificazioni, di queste garanzie? Io vedo una grande funzione nei Ristoranti, che siano a loro volta preparati per saper spiegare, mostrare, indicare e proporre la qualità unica di questi prodotti. Non basta avere buoni prodotti. Bisogna saperli presentare e saperli proporre in tavola.

 

In questa Conferenza per la prima volta è emerso chiaramente il tema dell’italicità dei ristoranti italiani nel mondo, che da una parte sentono la responsabilità di essere autenticamente italiani, e però dall’altra parte non possono fare a meno di farsi “contaminare” dalla cultura dei Paesi di residenza.

Il Presidente della Camera dei Deputati, l’Onorevole Fausto Bertinotti, che certamente non è uno ‘stupido’, ha fatto un discorso molto interessante. Ha detto che gli arroccamenti che avvengono nella difesa della tradizione sono, nella storia, valori che possono dar luogo ad una grande rivoluzione. Lascio a voi il compito di fare riferimento ad esperienze politiche passate o in corso. Per quanto ci riguarda riconosciamo in questa intuizione la nostra storia: di fronte alla omologazione ed alla riproduzione massiccia del prodotto industrializzato, l’Italia ha reagito arroccandosi sui valori alimentari tipici del territorio e della tradizione, che hanno dato luogo alla rivoluzione globale della cucina italiana.

Si arriverà certamente ad una cultura gastronomica comune, ma non sarà quella dei Mc Donald’s. Sarà una cucina dove confluiranno apporti della cucina italiana, della cucina francese, della cucina cinese e delle altre cucine etniche e locali. Quello che stiamo facendo noi oggi servirà a stabilire se noi, nella cucina globale futura, saremo il 20% o il 40%, senza rinunciare a sperare di essere il 60%, se non ci imbarbariremo in Italia e se non ci annacqueremo all’estero. Con tutto il rispetto di tutti abbiamo più bisogno di approfondire la cucina tradizionale, che non di coltivare la cucina innovativa.

 

I prodotti italiani sempre più stanno diventando il core business di grandi aziende non italiane. E’ il Made by Italics che avanza?!

Se devo rispondere da italiano, allora dico che registriamo una serie di sconfitte. Se devo rispondere da italico, allora si, è il Made by Italics che avanza. Vorrei fare il discorso da italiano. Abbiamo perduto la battaglia della pizza, sia perché le grandi catene della pizza non sono italiane e non fanno pizza italiana, anche se adoperano il nome e la figura fisica di quella che era la nostra pizza. Ora rischiamo di perdere i nostri caffè.

I produttori di caffè hanno capito che conveniva più vendere la tazzina di caffè a 5 dollari che non un kilo di caffè a 5 centesimi. Ed hanno copiato il bar italiano dove si vende il caffè ottenuto con la pressione del vapore che gli italiani chiamano “espresso”. Naturalmente non sono riusciti a riprodurre la qualità dell’espresso italiano, che come tutti sanno è una miscela di chicchi di caffè di qualità di specie diverse, tostate con tecniche particolari e mescolate secondo diverse sensibilità e tecniche.

Del resto, il mercato che cercava il caffè espresso italiano per moda, non era poi così preparato a riconoscere il sapore del “vero” caffè italiano. La Starbuck è diventata la più grande catena di caffè italiani copiata perfino in Cina. Intelligentemente la Starbuck ha eseguito un progetto di qualità, dedicato al 5% della sua rete dove ha fatto in via sperimentale il tentativo, di per sé lodevolissimo, di arrivare alla qualità italiana. Ha comprato i tipi migliori dalle migliori coltivazioni di caffè, li ha tostati con le migliori tecniche italiane, ha affinato la qualità dei suoi addetti alla miscela e dei suoi addetti alla esecuzione. Con solo questo programma parziale ha messo in crisi le grandi ditte italiane, perché ha reso più difficile la ricerca dei migliori tipi di caffè ed ha superato nella vendita del prodotto macinato la esportazione totale del caffè tostato all’italiana prodotto dalle industrie italiane.

Stiamo perdendo la battaglia dell’espresso come abbiamo perso la battaglia della pizza. E pensare che dieci anni fa avevamo proposto ad Illy di fare un caffè italiano in ogni ristorante italiano all’estero!
Ma la cultura della catena non è ancora esplosa nel nostro Paese. Gli stessi ristoranti sono in pericolo. Oggi le catene di ristoranti italiani, abbastanza buoni ed abbastanza veri (come “Bice”), non partono dall’Italia, ma partono dal Nord America.

La risposta italiana potrebbe essere quella di incentivare e mettere in condizione 500 buoni ristoranti italiani a fare con il franchising dieci clonazioni del loro ristorante all’estero (alcuni già lo fanno, come il “Barolo” di Genova, clonato a New York). Avremmo in questa maniera cinquemila ristoranti altamente garantiti che non avrebbero alcun timore delle catene altrui.

 

Perché il modello culturale italiano non riesce a diventare un modello di business?

Il passaggio da artigiano a imprenditore, il passaggio da bottegaio a commerciante, il passaggio da “Maestro di Cucina” a manager della produzione gastronomica, non è facile. Anche l’indirizzo delle grandi scuole italiane punta più alla formazione di chef solitari che alla formazione di una classe imprenditoriale della presentazione del prodotto alimentare. Se a questo aggiungiamo l’inefficienza dell’amministrazione e la decadenza profonda della nostra rappresentanza all’estero (stranamente ICE ed Istituti Italiani della Cultura non riescono a nascondere il loro ribrezzo aristocratico nei confronti del “plebeo” ristorante italiano!), capiamo il perché di certe difficoltà.

 

Possiamo dire che la rete dei ristoranti italiani nel mondo è il primo vero esempio di soft economy italiana nel mondo?

Non lo so. So per certo che un terzo della popolazione italiana è stata allontanata con la violenza da questo Paese. E’ stato un genocidio per quanto riguarda la collettività residente in Italia ed una diaspora dolorosissima per quelli che hanno dovuto affrontare questa avventura. Nella diaspora i valori si esaltano e l’unico valore che avevano nel cuore e nelle mani quei disperati era la nostalgia della cucina familiare, era la celebrazione quotidiana del rito sacro etnico della tavola apparecchiata.
La cucina italiana per la diaspora è stata una religione. Questa religione ha fatto un miracolo che ancora ci stupisce e ci commuove. Gli italiani, diceva Giustino Fortunato, non hanno mai capito cosa devono ad “una larga striscia d’oro”, frutto del lavoro degli italiani all’estero.
Non credo che gli imprenditori italiani egoisti, gli chef famosi e saccenti, i professionisti della critica gastronomica fatti ricchi dalle guide e dalla pubblicità, abbiano cuore per capire il miracolo della cucina italiana adottata dalla comunità mondiale.
 

(Maria Margherita Peracchino/News ITALIA PRESS)