Intrecciare possibilità

Di Alejandra Daguerre.

 

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3 settembre 2011. - Ogni tanto mi ricordo di Doña Luisa, una donna di grande temperamento, che lavorava sempre a maglia.

La lana e gli aghi facevano parte della sua Gestalt. Ogni anno raddoppiava lo sforzo e trovava una buona scusa per conservare la sua passione. D’inverno —diceva— perché aiuta a passare il tempo e d’estate per prepararsi per l’arrivo del clima rigido.

Senza usare riviste né giornali di moda, Doña Luisa ce la metteva tutta per produrre ciò che le chiedevano: maglioni, scarpette, berretti, sciarpe, golfini per bambini ... ognuno con il punto corrispondente e utilizzando solo la lana necessaria. Un giorno —con ciò che le avanzava— di sicuro si sarebbe potuta fare una bella coperta colorata da mettere ai piedi del letto.

Ricordo in particolare un inverno durante il quale Luisa filava un gomitolo di lana color bordeaux per fare un gilet a Don Coco, suo marito. Era un uomo di campo, con la pelle conciata dal vento, robusto e col dorso più ampio di un fisico-culturista.

Doña Luisa ci lavorava nel pomeriggio guardando la TV, dal parrucchiere mentre la pettinavano, nella sala d'attesa del dottore mentre aspettava il suo turno, a casa di sua sorella durante le visite di cortesia e quando sua figlia andava a ballare la aspettava sferruzzando fino a tardi.

Quanti commenti si fecero sul gilet di don Coco e quante cose si tramarono attorno a quell’indumento ...

E poi Luisa trovava sempre qualcuno con cui parlare del panciotto: «sarà troppo stretto?», «ho paura che questo filato sia pruriginoso»,«se ti piace, ne faccio uno anche per te», «il punto riso non va bene», «quest'anno i maglioni si usano più lunghi, no?» ...

Si dice che ogni lavoratrice a maglia produce punti con una tensione particolare, ed è proprio questo che la distingue dalle altre.

Ovviamente succede lo stesso anche in altri ambiti.

Tra gomitoli e punti, Doña Luisa stava creando possibilità di riconoscimento e ciò che sembrava solo un hobby era in realtà molto di più:  "per lei, la lavorazione a maglia era lo strumento per affacciarsi al mondo".

Ferri, uncinetti e coste erano gli elementi fondamentali della trama che lei intrecciava per sentirsi utile e valorizzata, per nutrire i suoi affetti, per sorprendere il pubblico con la sua creatività, e per ottenere il punto con la  tensione esatta lavorando dal suo rifugio.

Speriamo di riuscire ad intrecciare i fili della nostra storia per coprirci e proteggerci. Speriamo che ognuno di noi possa partecipare con il suo talento nel tessuto sociale e sentirsi apprezzato e riconosciuto. Speriamo di poter tessere con attenzione e amore le nostre possibilità ... proprio come Doña Luisa.

In un’altra occasione vi parlerò dell’importanza di mettere i punti.

 

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Di Alejandra Daguerre.

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*Alejandra Daguerre è nata a Buenos Aires, dove vive e lavora. Laureatasi in Psicologia nel 1990 all’Università del Salvador nella capitale argentina, ha dapprima lavorato nella Fondazione Argentina per la Lotta contro il Mal di Chagas, nel dipartimento di Psicologia, poi per tre anni presso il Ministero del Lavoro e della Sicurezza sociale (interviste di preselezione, programmi di reinserimento lavorativo e tecniche di selezione del personale), poi dal 1994 al 1999 nella selezione del personale per l’Università di Buenos Aires.

Dal 2003 al 2009 ha lavorato presso l’Istituto di Estetica e Riabilitazione Fisica “Fisiocorp”, dipartimento di Psicologia, nel trattamento psicologico di pazienti con malattie croniche e pazienti in riabilitazione fisica a lungo termine. Dal 1991 opera in attività libero-professionale nel campo della psicologia clínica, per adolescenti e adulti, con metodiche di psicoanalisi e con ricorso all’arte-terapia e terapia occupazionale, utilizzando l'arte come elemento di catarsi terapeutica.

 

(alejandra daguerre / puntodincontro)

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3 de septiembre de 2011. - Cada tanto me viene el recuerdo de doña Luisa, una mujer de gran temperamento, que siempre se mostraba con un tejido en mano.

Lanas y agujas eran parte de su “Gestalt”. Cada año redoblaba la apuesta, y solía encontrar una buena excusa para conservar “el arte de tejer”: en invierno porque entretiene, y en verano porque hay que prepararse para la llegada del frío.

Sin revistas ni figurines de moda, doña Luisa “se daba maña” para hacer lo que le pidas: pulóveres, escarpines, gorros, bufandas, ajuares para bebé … cada uno con su punto correspondiente y usando solo la lana necesaria; algún día con todos los restos se tejería una colorida mantita para los pies de la cama.

Recuerdo especialmente un invierno donde Luisa ovillaba lana bordó para tejerle un chaleco a don Coco, su marido. Hombre de campo, curtido por el viento, fornido, y con la espalda más ancha que un fisicoculturista.

Doña Luisa tejía a la tarde mientras miraba la novela; tejía en la peluquería mientras los ruleros ondulaban su cabello; tejía en la sala de espera del doctor, mientras le llegaba el turno; tejía en casa de su hermana mientras hacía la visita de cortesía y tejía cada madrugada hasta que sus hijas llegaban del baile.

Qué comentado fue el chaleco de Don Coco!

Cuánto se tejió a su alrededor…

Tan solo había pasado el elástico y Luisa siempre encontraba un interlocutor para conversar del tejido. “Estará muy apretado?”; “Yo tengo miedo que esta lana le pique”; “si te gusta como queda, te voy a tejer uno igualito para vos”; “el punto arroz no estiliza”; “este año me parece que se usan larguitos, no?”...

Dicen que cada tejedora trabaja con un punto de tensión particular, y que es justamente esto lo que la distingue. Claramente sucede lo mismo fuera del tejido.

Entre ovillos y lazadas, doña Luisa iba tejiendo posibilidades de reconocimiento; y algo que parecía ser un hobbie era mucho más que eso: “El tejido era su instrumento para salir al mundo”.

Texturas, ganchillos, trencillas y mohair eran partes fundamentales de la trama que ella podía tejer para sentirse hacedora y valorada; para nutrir a sus afectos, para maravillar al entorno desde su creatividad, y para canalizar su punto de tensión desde el lugar del abrigo.

Ojalá que cada uno pueda entrelazar los hilos de su propia historia para darse cobijo. Ojalá que cada tejedor pueda entrelazar sus talentos en la trama social y sentirse valorado y reconocido. Ojalá que todos podamos tejer con calidez nuestras posibilidades … como doña Luisa!

PD: Otro día les cuento “La importancia de saber poner los puntos!”

 

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De Alejandra Daguerre.

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*Alejandra Daguerre Nació en Buenos Aires, donde vive y trabaja. Se graduó en Psicología en 1990 en la Universidad del Salvador de Ciudad de Buenos Aires (Argentina).

Trabajó en la Fundación Argentina de Lucha contra el Mal de Chagas, en el Departamento de Psicología y durante tres años en el Ministerio del Trabajo y Seguridad Social (entrevistas de preselección, programas de reinserción laboral y selección del personal), Desde 1994 hasta 1999 se desempeño en el Departamento de Graduados de la Universidad de Buenos Aires, en areas de RRHH y Capacitación.

De 2003 a 2009 trabajó en el Instituto de Estética y Rehabilitación Física "Fisiocorp", en el tratamiento psicológico de pacientes con enfermedades crónicas y en pacientes de rehabilitación física a largo plazo. Desde 1991 trabaja por cuenta propia en el campo de la psicología clínica para adolescentes y adultos, con métodos psicoanalíticos, y de arte-terapia.

 

(alejandra daguerre / puntodincontro)