23 giugno 2012 -  Vivo in una città aperta, in un Paese cosmopolita; strana mescolanza culturale tipica di una terra nuova che durante la storia ha cresciuto la sua gente ed ha accolto e protetto cittadini provenienti da diverse parti del mondo.

Sono nipote di migranti, di quelli che nel primo novecento si imbarcarono con pochi bagagli e molte illusioni in cerca di un nuovo e migliore futuro. Con le loro lacrime bagnarono la terra —infinite distese avide di mani laboriose— e con enorme sforzo aprirono strade, allevarono figli e orgogliosamente difesero le radici della loro cultura lontani dalla Patria.

Parlavano italiano, oltre al loro dialetto, e diedero vita a una nuova lingua locale (una specie di italiano mescolato con parole e accenti spagnoli: l'“itagnolo”) e ci insegnarono poco a poco come si potevano amalgamare idiosincrasie il cui fattore integrante era, senza dubbio, l’affetto.

Mi piace anche l’arte, in tutte le sue espressioni. Ammiro profondamente le persone che l'hanno fatta diventare naturalmente parte della loro vita: pensano creativamente, creano senza sforzo soluzioni estetiche, cantano mentre svolgono le loro attività quotidiane, si dilettano trasformando, riciclando, ballando, ecc.

Tempo fa rimasi affascinata da una bambino di 9 anni che suonava la chitarra nella metropolitana. Le sue mani si muovevano con abilità e il suo strumento produceva un suono impressionante aiutato dall'acustica del tunnel.
 


Non aveva mai studiato musica, perché non aveva i mezzi per farlo, ma la usava assieme all'istinto melodico che con amore trasferiva alle corde della sua umile chitarra. Aveva inaugurato così un nuovo linguaggio con cui si comunicava con il mondo ... si faceva capire e apprezzare e l'agente comunicatore era sicuramente la trasmissione del suo affetto...

Non sono una persona sportiva (dev'essere un difetto del mio codice genetico), ma riesco comunque a capire il piacere con cui migliaia di dilettanti si affacciano tutti i giorni alla vita correndo o svolgendo serie prestabilite di esercizi in palestra prima di colazione e l'entisiasmo con cui altri programmano gli orari delle loro attività aerobiche al club.

La mia amica Inés fin da piccola voleva diventare tennista e sognava di avere molte racchette. Si allenava continuamente e, anche se andava al club solo due volte la settimana, gli altri giorni trasformava (con l'immaginazione) il cortile di casa sua in un campo d'argilla dove apparivano sempre avversari contro cui provare la potenza del servizio e l'efficacia del rovescio. Andava a lezione di tennis da un insegnante dilettante, ma —imbevuta di passione per lo sport— riusciva a trasformare quella timida istruzione in un momento meraviglioso che veniva poi potenziato dall'assiduo allenamento e dallo studio minuzioso del regolamento.

Erano tali l'entusiasmo e l'emozione che provava quando giocava, che —sebbene non sia mai apparsa in nessuna classifica— riuscì a costruire un linguaggio sul quale appoggiare la propria crescita. Imparò a sentirsi esausta e a non desistere sulla strada verso il traguardo, a adattarsi alle circostanze e da lì guardare il futuro e capì che lo spirito sportivo è un modo per comunicare la sua capacità di "fair play" alla società che la circonda. Il corpo e la passone per lo sport erano diventati il collegamento giusto con il mondo ...

Sono convinta che il linguaggio formale rappresenta solo una piccola parte della nostra capacità comunicativa; ciò che realmente ci permette di raggiungere gli altri è la nostra forza emozionale. Potremmo chiamarlo "linguaggio informale" perché non ha parole né accenti, ma è in sé uno strumento sofisticato ed efficiente per quanto riguarda la capacità di trasferimento dei messaggi.

La buona notizia? Non c'è bisogno di iscriversi a corsi specialistici; non sono necessari studi sofisticati e non si tratta di un privilegio per pochi. Tutti hanno ricevuto il dono e sono in grado di realizzare comunicazioni virtuose. Svegliamoci, dunque... colleghiamoci ... connettiamoci con amore ... L'inglese è la lingua che collega il mondo, ma è l'affetto la vera lingua universale!

 

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Di Alejandra Daguerre.

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*Alejandra Daguerre è nata a Buenos Aires, dove vive e lavora. Laureatasi in Psicologia nel 1990 all’Università del Salvador nella capitale argentina, ha dapprima lavorato nella Fondazione Argentina per la Lotta contro il Mal di Chagas, nel dipartimento di Psicologia, poi per tre anni presso il Ministero del Lavoro e della Sicurezza sociale (interviste di preselezione, programmi di reinserimento lavorativo e tecniche di selezione del personale), poi dal 1994 al 1999 nella selezione del personale per l’Università di Buenos Aires.

Dal 2003 al 2009 ha lavorato presso l’Istituto di Estetica e Riabilitazione Fisica “Fisiocorp”, dipartimento di Psicologia, nel trattamento psicologico di pazienti con malattie croniche e pazienti in riabilitazione fisica a lungo termine. Dal 1991 opera in attività libero-professionale nel campo della psicologia clínica, per adolescenti e adulti, con metodiche di psicoanalisi e con ricorso all’arte-terapia e terapia occupazionale, utilizzando l'arte come elemento di catarsi terapeutica.

 

(alejandra daguerre / puntodincontro)

 

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23 de junio de 2012 - Vivo en una ciudad “receptiva” dentro de un país cosmopolita; extraña mezcla cultural propia de una tierra nueva, que junto con su historia hizo crecer a su gente nativa, y le dio cobijo a ciudadanos de distintas partes del mundo.

Soy nieta de inmigrantes; de esos que a comienzos del siglo pasado partieron en un barco con pocas valijas y muchas ilusiones, buscando un nuevo y prometedor horizonte. Con sus lágrimas regaron la tierra…extensos territorios ávidos de manos laboriosas; con su esfuerzo labraron caminos e hicieron crecer a sus hijos; y con gran orgullo defendieron los bastiones de su cultura viviendo en otra patria.

Hablaban italiano; hablaban su dialecto; construyeron otro dialecto más territorial (una especie de italiano mezclada con términos y acentuación española “ital-gnolo”); y nos fueron enseñando como se integraban los usos y costumbres en un todo…El agente integrador era sin duda el afecto…

También me gusta el arte, en sus distintas expresiones. Admiro profundamente a quienes lo incorporan naturalmente en sus vidas: piensan creativamente, generan sin esfuerzos soluciones estéticas, cantan mientras hacen sus rutinas, disfrutan haciendo, transformando, reciclando, bailando, etc.

Hace un tiempo quedé cautivada con un niño de 9 años, que tocaba la guitarra en el subte; sus manos se movían con maestría, su guitarra tenía un sonido tan envolvente que dentro de los túneles sonaba con impresionante acústica.

Él nunca había estudiado música, porque no estaba dentro de sus posibilidades; pero a través de ella y del enorme amor con el que afinaba su oído para luego ponerlo en las cuerdas de su humilde guitarra, había inaugurado un nuevo idioma que le servía para comunicarse con el mundo…y lograba con eficacia ser escuchado y valorado…el agente comunicador era sin duda la transmisión de este afecto…

Si bien no soy deportista (creo que no vino en mi genética!), puedo descubrir el placer con que miles de amateurs salen trotando a la vida, veo como otros despiertan al alba para hacer la rutina del gimnasio antes del desayuno, o simplemente agendan con gran entusiasmo los horarios de actividades aeróbicas del club.

Mi amiga Inés desde muy chica quería ser tenista, y soñaba con tener muchas raquetas. Practicaba todos los días y aunque solo iba al club dos veces por semana, el resto del tiempo transformaba (con gran imaginación) el patio de su casa en una cancha. Allí siempre encontraba improvisados contrincantes para practicar la potencia de sus saques y voleos.

Tomaba clases de tenis con un profesor aficionado, pero como ella llevaba inscripta a la pasión por el deporte, hacía de esa tímida instrucción un maravilloso momento que luego se potenciaría con entrenamiento y el minucioso estudio el reglamento.

Tanto era su entusiasmo y la emoción que sentía al jugar, que si bien no llegó a estar posicionada en ningún ranking, armó su propio lenguaje con el que auto-asistió su crecimiento. Supo lo que era estar exhausta y seguir adelante por el objetivo; supo lo que era acomodarse a las condiciones y desde allí mirar al futuro; supo que su espíritu deportivo era un modo de comunicarse “fair-play” con la sociedad…el cuerpo y la pasión sentidas al practicar deporte eran la conexión exacta para salir al mundo…

Estoy convencida que el LENGUAJE FORMAL es solo una pequeña parte de nuestra comunicación; pero lo que de verdad transmite y nos conecta es el condimento emocional. Podríamos llamarlo “LENGUAJE INFORMAL” porque no tiene palabra ni pronunciación; pero es en sí mismo un idioma absolutamente rico en lo que refiere a la transferencia del mensaje.

¿La buena noticia? No hay que ir a ninguna academia; no se requieren estudios especiales, ni es apto para unos pocos. Todos tenemos el don, y todos podemos lograr comunicaciones virtuosas.

Despertemos… conectemos… transmitamos con amor…

El inglés es el idioma que conecta al mundo, pero el afecto es el lenguaje universal!

 

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De Alejandra Daguerre.

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*Alejandra Daguerre Nació en Buenos Aires, donde vive y trabaja. Se graduó en Psicología en 1990 en la Universidad del Salvador de Ciudad de Buenos Aires (Argentina).

Trabajó en la Fundación Argentina de Lucha contra el Mal de Chagas, en el Departamento de Psicología y durante tres años en el Ministerio del Trabajo y Seguridad Social (entrevistas de preselección, programas de reinserción laboral y selección del personal), Desde 1994 hasta 1999 se desempeño en el Departamento de Graduados de la Universidad de Buenos Aires, en areas de RRHH y Capacitación.

De 2003 a 2009 trabajó en el Instituto de Estética y Rehabilitación Física "Fisiocorp", en el tratamiento psicológico de pacientes con enfermedades crónicas y en pacientes de rehabilitación física a largo plazo. Desde 1991 trabaja por cuenta propia en el campo de la psicología clínica para adolescentes y adultos, con métodos psicoanalíticos, y de arte-terapia.

 

(alejandra daguerre / puntodincontro)