28 aprile 2012 C’è un momento nella vita in cui ci sentiamo pronti a prendere il mare. Abbiamo la capacità di mantenerci a galla, le nostre vele desiderose di vento, le nostre emozioni esaltate, forti e potenti. Ci sentiamo i capitani della nostra imbarcazione (e con il tempo finiremo per scoprire che ne saremo anche i marinai…).

1… 2... 3… salpiamo!

La sensazione di navigare è meravigliosa: disegniamo e interpretiamo le mappe, seguendo la nostra rotta. Ci piace sentirci liberi, senza limiti in mezzo a tanta immensità, con tutto da esplorare, ma… saremo capaci di sopportare tanta autonomia?

Ho paura che sia negli affetti dove questa dualità influisce di più. Partiamo disposti a percorrere migliaia di miglia, a liberarci da qualsiasi legame, ma quando ci piace un posto —anche solo un po’— senza rendercene conto cominciamo a gettare l’ancora. I naviganti dicono che ancorarsi non è un compito facile; che per assicurare l’imbarcazione bisogna valutare le condizioni generali del vento, la forza delle maree, il tipo di fondale, la profondità, ecc. Solo così l’imbarcazione non soffrirà e non andrà alla deriva.

Faremo lo stesso con i nostri affetti? Valuteremo attentamente la situazione? Ci attaccheremo a necessità quasi egoiste? Taglieremo le cime bruscamente per continuare il viaggio? Ci attaccheremo alla prima circostanza per paura di una solitudine esagerata? Ci rifugeremo in ciò che crediamo possa essere amore?

Sarebbe bene che ogni capitano ogni tanto desse un’occhiata alle sue carte nautiche, che identificasse i punti difficili e valutasse le zone di ancoraggio dato che si tratta di informazioni importanti per futuri cambi. Sarebbe bene che ognuno di noi come capitano della propria imbarcazione capisse che un rifugio è solo questo, un posto per proteggerci, ma se cambiano certe circostanze, nessuno vorrebbe essere sempre rifugiato. Ed ecco una nuova sfida, è tempo di salpare e anche questo ci sembra difficile.

Abbiamo percorso mari agitati, abbiamo goduto della loro calma e resistito le tempeste. Iniziare il ritiro in buona forma sembra difficile come ancorarsi. Facciamo sforzi smisurati (lottando con le nostre ancore); difficilmente ci comportiamo cortesemente e la cosa peggiore è che la maggior parte delle volte roviniamo tutto, compreso il famoso incrociarsi di catene di altre ancore.

Pronti per partire, è ora di continuare, l’imbarcazione è pronta, l’equipaggio è a bordo e la rotta la segna il nostro proprio orizzonte. Ed è lì dove scopro che navigare liberamente non è lo stesso che navigare senza meta o alla deriva. E scopro anche che amare liberamente vuol dire gettare e levare l’ancora con precisione e saggezza.

 

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Di Alejandra Daguerre.

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*Alejandra Daguerre è nata a Buenos Aires, dove vive e lavora. Laureatasi in Psicologia nel 1990 all’Università del Salvador nella capitale argentina, ha dapprima lavorato nella Fondazione Argentina per la Lotta contro il Mal di Chagas, nel dipartimento di Psicologia, poi per tre anni presso il Ministero del Lavoro e della Sicurezza sociale (interviste di preselezione, programmi di reinserimento lavorativo e tecniche di selezione del personale), poi dal 1994 al 1999 nella selezione del personale per l’Università di Buenos Aires.

Dal 2003 al 2009 ha lavorato presso l’Istituto di Estetica e Riabilitazione Fisica “Fisiocorp”, dipartimento di Psicologia, nel trattamento psicologico di pazienti con malattie croniche e pazienti in riabilitazione fisica a lungo termine. Dal 1991 opera in attività libero-professionale nel campo della psicologia clínica, per adolescenti e adulti, con metodiche di psicoanalisi e con ricorso all’arte-terapia e terapia occupazionale, utilizzando l'arte come elemento di catarsi terapeutica.

 

(alejandra daguerre / puntodincontro)

 

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28 de abril de 2012 … Hay un momento en la vida donde nos sentimos en condiciones de “echarnos a la mar”. Tenemos capacidad para mantenernos a flote, nuestras velas están ávidas de buenos vientos, nuestras emociones exaltadas, fuertes, potentes, y nos sentimos capitanes de nuestro propio barco (con el tiempo descubriremos que también seremos los marineros…)

1…2…3…Barco al agua!!!

Es increíble la sensación de navegar, diseñando e interpretando los mapas y siguiendo el propio rumbo. Nos encanta sentirnos libres, sin límites entre tanta inmensidad, con todo por explorar; pero soportamos tanta autonomía?

Temo que en los afectos es donde más nos cuesta esta dualidad.

Partimos dispuestos a recorrer millas y millas, a liberarnos de cualquier atadura, pero en cuanto me gusta un lugar –aunque sea un poquito- casi sin registrarlo empezamos a “ECHAR ANCLAS”.

Los navegantes dicen que anclar no es una tarea sencilla; que para fondear una embarcación hay que evaluar las condiciones generales del viento, la fuerza de la marea, el tipo de fondo, la profundidad, etc. Solo así lograremos que la embarcación no sufra ni quede a la deriva.

Haremos lo mismo con nuestros afectos? Evaluaremos cuidadosamente la situación?, Nos aferraremos a necesidades casi egoístas? Cortaremos lazos bruscamente para seguir viaje? Nos amarraremos a la primera circunstancia por temor a la exagerada soledad? Nos refugiamos en supuestos amores?

Sería bueno que cada capitán de un vistazo a sus cartas de navegación cada tanto; identifique sus puntos de dificultad, y evalúe sus “anclajes”; ya que será una información de suma importancia para generar futuros cambios.

Sería bueno que cada uno de nosotros, como Capitanes de nuestros propios barcos, identifiquemos que un refugio es solo eso; es un sitio donde encontramos cierto amparo, pero que en cuanto cambien algunas circunstancias no querremos ser “siempre refugiados”.

Ahí viene el otro desafío, es hora de “LEVAR ANCLAS”, y también nos cuesta.

Venimos de transitar mares turbulentos, hemos disfrutado de su calma y soportado sus tormentas. Emprender el retiro “en buena forma” suele ser una tarea tan difícil como fondear. Hacemos esfuerzos desmedidos (luchando con nuestros propios anclajes); difícilmente tratamos con cortesía, y lo peor es que la mayoría de las veces arrasamos con todo, incluso con el famoso cruce de cadenas con otros anclajes.

Listos para zarpar? Es hora de seguir. La embarcación está lista, los tripulantes a bordo, y el rumbo lo marca mi propio horizonte.

Es ahí donde descubro que andar libremente no es andar al garete o a la deriva; que amar libremente es anclar con calidad y levar anclas con sabiduría.

 

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De Alejandra Daguerre.

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*Alejandra Daguerre Nació en Buenos Aires, donde vive y trabaja. Se graduó en Psicología en 1990 en la Universidad del Salvador de Ciudad de Buenos Aires (Argentina).

Trabajó en la Fundación Argentina de Lucha contra el Mal de Chagas, en el Departamento de Psicología y durante tres años en el Ministerio del Trabajo y Seguridad Social (entrevistas de preselección, programas de reinserción laboral y selección del personal), Desde 1994 hasta 1999 se desempeño en el Departamento de Graduados de la Universidad de Buenos Aires, en areas de RRHH y Capacitación.

De 2003 a 2009 trabajó en el Instituto de Estética y Rehabilitación Física "Fisiocorp", en el tratamiento psicológico de pacientes con enfermedades crónicas y en pacientes de rehabilitación física a largo plazo. Desde 1991 trabaja por cuenta propia en el campo de la psicología clínica para adolescentes y adultos, con métodos psicoanalíticos, y de arte-terapia.

 

(alejandra daguerre / puntodincontro)