Una gara di solidarietà per difendere la storia, la bellezza, la tradizione.
Articolo di Gianni Letta pubblicato su Il Messaggero di domenica 31 maggio 2009.

2 giugno 2009. - Alberto Savinio descrive l’Abruzzo come un paese «pesante e assieme leggerissimo, nordico e assieme greco; intorno è una tempesta rappresa di monti e avvallamenti; in cima a ogni onda è posto un paesino con la gobba della sua chiesona e il dito eretto del suo campanile». Queste frasi mi sono tornate in mente quando, subito dopo il terremoto di poco meno di due mesi fa, fui chiamato a dire il mio stato d’animo.

Pensai alla mia giovinezza. «Sono nato ad Avezzano, scrissi a caldo, e fin da bambino ho sentito raccontare la terribile “favola” del terremoto. Con essa sono cresciuto. Le parole dei vecchi, sobrie e terribili, forse più impressionanti delle immagini, ricordavano il 13 gennaio 1915, giorno in cui la città fu distrutta. Il terremoto è tornato, e quella “favola” mi raggiunge di nuovo. Mi sento, più che mai, abruzzese. Giornalista alle prime armi, riordinai e trascrissi le testimonianze degli anziani sul sisma del 1915. Una visione dominava sulle altre: la casetta nei pressi della ferrovia che, sola, era rimasta in piedi».

A quasi cent’anni di distanza, la terra è tornata a tremare. Sono a mia volta testimone oculare della rovina. Città, paesi, borghi antichi, monumenti, chiese e conventi recano i segni della catastrofe, le ferite che un sussulto della terra ha provocato, nel silenzio notturno. I danni maggiori li ha subiti l’antica città-simbolo della Regione, L’Aquila bella e amatissima. La gente d’Abruzzo ha reagito da par suo, si è meritata una volta di più - non mi stanco di ripeterlo - l’ormai popolare definizione del giornalista e diplomatico Primo Levi, nato a Ferrara nel 1853 e morto a Roma nel 1917. Il quale la coniò come titolo di un suo racconto di viaggio, pubblicato nel 1882 con lo pseudonimo di Primo: forte e gentile. Forte di fronte al dolore e alla sofferenza; gentile nella solidarietà e nello slancio verso chi ha bisogno. È un insieme di sentimenti che Giuseppe Capogrossi coglie felicemente: «... l’amore infinito e l’accesa anima piena di sommessa gioia e di arte che i figli della montagna hanno».

L’Arte. Il terremoto che ha colpito L’Aquila ha provocato danni molto gravi al patrimonio culturale della città. Il museo nazionale d’Abruzzo, la cinquecentesca Fortezza spagnola, i più bei monumenti medievali sono pressoché tutti danneggiati. È in parte crollato il campanile della chiesa di Sant’Agostino. Colpiti il campanile e l’abside della basilica di San Bernardino, il transetto della basilica di Collemaggio, la chiesa delle Anime Sante in piazza Duomo, rimasta senza cupola. La Curia ha subito lesioni impressionanti. Sono crollati pezzi interi della cattedrale e il tetto della sede della Caritas. E tanto altro. I tecnici della Soprintendenza hanno considerato miracoloso il ritrovamento di una statua quattrocentesca di Madonna con il Bambino, intatta, sotto le macerie della Chiesa di San Marco, a un passo dalla Prefettura.

Mentre la vita sta riprendendo, sia pure nella fatica, nel lavoro, nelle difficoltà, assume un valore simbolico e insieme sostanziale proprio l’elenco dei quarantaquattro monumenti “da salvare” stilato dai tecnici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Chiese, chiostri, palazzi, musei, complessi interi, fra i quali la Torre Civica di Santo Stefano, il Teatro Comunale e la Fortezza, possono essere adottati dai Paesi stranieri disponibili a finanziarne la ricostruzione.

Mi auguro che l’Abruzzo trovi riscontri degni della sua storia e dei suoi meriti. La terra dove sono nato ha ispirato scrittori, poeti, artisti. Si fa amare perché non pietisce d’essere amata. Ti lega a sé con la forza di un paesaggio che purtroppo il terremoto ha troppe volte oltraggiato. Dice bene Pascal D’Angelo: «...la mia mente era una forra popolata di rose selvatiche, gorgogliante di fresche acque azzurrine. E la montagna attendeva una risposta dall’impassibile cielo».

 

(Il Messaggero)