Un killer silenzioso ed implacabile:
il plasmodium della malaria
Di Pietro Iovenitti.

Un killer silenzioso ed implacabile: il plasmodium della malaria.31 marzo 2009. - Già nei Pensieri n.12 ho avuto l’occasione di parlare del killer più sanguinoso che si aggira nella maggior parte dei paesi tropicali e subtropicali. Un killer silenzioso e difficile da evitare, implacabile e senza scrupoli. Per colpire utilizza un “vettore”, ossia un mezzo che possa trasportarlo sin dentro la sua vittima. Conosco solo pochissimi che vivendo nei paesi dove il killer imperversa sono riusciti ad evitarlo forse grazie una rarissima immunità congenita. Tutti gli altri, ricchi e poveri, donne e bambini, almeno una volta nella loro vita hanno incontrato il killer, sono caduti esausti ai suoi piedi e hanno potuto conoscere la sua violenza. Il killer di cui parlo è il famigerato parassita Plasmodium che “usa” la zanzara Anopheles per andarsene in giro e colpire chi capita.

In ogni ora del giorno e della notte, dovunque, anche se ben coperti, la zanzara trova l’occasione per colpire e se si tratta di quella infetta, una buona quantità di zuppa di plasmodi viene riversata nel nostro sangue. Dopo un periodo di incubazione di qualche giorno una serie di sintomi si impossessano del povero malcapitato. Ogni giorno incontro uomini e donne affetti dalla malaria, fiumi di farmaci vengono prescritti per sconfiggere la malattia e alcuni casi mal curati o alcune forme letali lasciano senza vita. A causa della mia specializzazione e del tipo di pazienti che curo (per lo più donne e spesso gravide), poche volte ho l’occasione di dover curare dei bambini malati di paludismo.

Il caso si presenta proprio la scorsa settimana quando una cara amica di etnia djoula si reca in ospedale con in braccio la sua figlioletta di undici mesi di nome Fanta. Si intravedono soltanto due occhioni neri e un ciuffo di riccioli folti che spuntano dal tessuto di stoffa colorata che avvolge la piccola. Da alcuni giorni una strana febbre si presenta a giorni alterni accompagnata da una diarrea spossante. La bambina non mangia nulla e beve solo qualche goccio d’acqua. Arrivata in ospedale non ha più la forza di muoversi. Le grandi risate e il suo continuo movimento sono un ricordo lontano. Il suo viso appare stanco e spento, gli occhi restano a fatica aperti e le labbra si sorreggono a vicenda. Può avere una gastroenterite virale, una febbre tifoide, oppure una forte malaria. La goccia spessa, ossia l’esame che individua visivamente la presenza del plasmodio, ci svela il mistero. Si tratta di malaria. La piccola Fanta ne è piena. A questo punto bisogna bloccare la replicazione del plasmodio nel sangue. Suggerisco alla madre di Fanta un opportuno ricovero che accetta senza esitare. Ne va della vita di sua figlia e bisogna al più presto scongiurare una forma cerebrale spesso mortale. La piccola viene adagiata in un lettino pediatrico con le sbarre alte e bianche e lei non oppone alcuna resistenza tanto la fatica ha avuto il sopravvento. Due infermiere si avvicinano e cercano una vena dove poter iniettare un potente antimalarico. Sfortunatamente non si trova alcun vaso né sulle braccia, né sulle mani e alla fine, accompagnati dalle strazianti grida di dolore della piccola, si riesce a trovare una vena sul dorso del piede sinistro. Per bloccare l’ago e non farlo uscire si fissa il deflussore al piedino con un pezzo di cartone ripiegato e si avvolge il tutto con una stretta garza. La febbre è a 40°C e immediatamente un antipiretico viene fatto passare in flebo. La madre di Fanta si siede accanto al lettino e attraverso le sbarre tiene stretta la mano della figlioletta che nel frattempo cade in un sonno profondo. Dopo circa sei ore la febbre scende, una profusa sudorazione ricopre la piccola che apre lentamente i suoi occhi accennando un timido sorriso. Il peggio è passato, la malattia è stata sconfitta, ma non bisogna abbassare la guardia e continuare la terapia. I movimenti della piccola fanno sfilare l’ago dal suo piede e si decide di somministrare l’antimalarico per via intramuscolare.

L’alba si annuncia verso le sei e trenta della mattina seguente trovando le due donne strette a vicenda e sconfitte dal sonno. Il rumore della porta della camera che un’infermiera apre bruscamente fa svegliare Fanta che resta immobile nel letto provata dagli effetti collaterali dei farmaci. Nausea, acufeni e cefalea hanno scosso la piccola bambina per ore intere.

Soltanto il terzo giorno sembra che tutto sia passato, la piccola inizia a muoversi con più energia, il sorriso torna sulle sue labbra e decidiamo che possa tornare a casa continuando con uno sciroppo antimalarico ancora per due giorni. Il pericolo è scampato, Fanta può tornare a giocare con la sorella più grande e sua madre ci ringrazia di poter tornare a casa con sua figlia in braccio. Un paio di chilometri lontano dall’ospedale un bambino di due anni muore nel suo letto dopo una settimana di febbre alta e vomito. La vicina di casa, una vecchia ostetrica del villaggio, aveva scambiato un accesso palustre per una banale febbre. La mancanza di una diagnosi immediata e di una terapia adeguata aveva spazzato via un’altra vittima innocente.

Dr. Pietro Iovenitti

Gynécologue et Obstétricien

Abidjan (Côte d’Ivoire)

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E-mail: piero.iove@yahoo.it

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