Aids, doppia sfida

È di moda denigrare le conferenze mondiali,
ma questa a Città del Messico è decisiva.

Aids 2008 a Città del Messico. Una conferenza decisiva.6 agosto 2008. - Il motto della 17ma conferenza internazionale sull’Aids che si è aperta domenica 3 agosto a Città del Messico è “agire per tutti, subito”. A fare gli onori di casa sono stati il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, l’ex presidente Bill Clinton e il presidente messicano Felipe Calderon.

Ma - come scrive Paul Benkimoun su Le Monde - è di moda denigrare le conferenze internazionali sull’Aids.

Non ci si aspettano grandi contenuti scientifici, gli attivisti - si sa - fanno le loro solite carrellate di protesta e i rappresentanti delle istituzioni internazionali si esercitano nella retorica. Sono delle kermesse grandi e inutili, è il commento di tanti che non ci mettono piede da anni.

Invece, oltre a essere luogo di scambio scientifico di alto livello e di dibattito insostituibile sulla strategia di ricerca, malgrado tutti i difetti che vi si possano trovare rappresentano un appuntamento democratico fondamentale: dove scienziati, medici, industriali, responsabili di istituzioni e politici vengono a rendere conto al pubblico dell’azione in corso nel loro campo contro un’epidemia che è catastrofica per il pianeta intero.

Non si giustifica, il silenzio dei media su un tema così importante. Soprattutto nel mese d’agosto, in cui notoriamente i giornali vanno a caccia disperata di notizie perché sono tutti in vacanza e succede poco o nulla.

A ventisette anni dai primi casi di Aids, e trenta milioni di morti più tardi, e con oltre trentatre milioni di sieropositivi che convivono con la malattia, è difficile dirsi soddisfatti dei progressi raggiunti in campo scientifico, medico e sociale contro l’epidemia. Sebbene di progressi se ne siano fatti tanti.

Per una persona infettata dall’Hiv che ha cominciato il trattamento a vent’anni, la speranza di vita è cresciuta di oltre tredici anni, secondo uno studio di The Lancet. Da sistematicamente mortale, l’infezione Hiv è diventata una malattia cronica, al prezzo della schiavitù e dei costi di un trattamento farmacologico a vita. E negli ultimi quattro anni nei paesi in via di sviluppo le persone che hanno accesso ai trattamenti si sono moltiplicate per sette: tre milioni di malati sono trattati oggi, ma ne avrebbero bisogno circa dieci milioni, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Soprattutto alla luce dei due milioni e settecentomila nuovi infetti nel mondo ogni anno.

Gli Usa sono il Paese che ha più contribuito a finanziare la lotta all’Aids, perché c’è consenso politico attorno alla questione. George Bush ha firmato il 30 luglio una legge che triplica il finanziamento del piano urgente presidenziale lanciato nel 2003. Nei prossimi cinque anni a partire dal 2009 ben 39 miliardi di dollari saranno devoluti alla lotta all’Aids e a questi si aggiungono i cinque miliardi di dollari contro il paludiamo e i quattro miliardi di dollari contro la tubercolosi, due malattie frequentemente associate all’infezione Hiv nel Terzo Mondo.

Ma non basta. La conferenza messicana si tiene in un momento decisivo perchè affronta una doppia sfida: rendere perenni i finanziamenti per garantire le cure a vita dei sieropositivi attuali e nel frattempo aumentare gli investimenti per far fronte al bisogno di prevenzione, informazione, ma anche educazione "sociale", perchè è allarme discriminazione. Un esempio? Ieri un testimone sieropositivo dal palco di Città del Messico denunciava di non poter viaggiare liberamente: gli stessi Usa non danno il visto a chi è contagiato dall'Hiv. Sebbene si sappia benissimo che non è una malattia che si trasmette "viaggiando". 

 

(La Stampa.it)