La salmonella ora combatte i tumori
Il batterio arriverebbe dove non può la chemioterapia

10 settembre 2009. - La salmonella è un'infezione batterica molto conosciuta e fastidiosa che si contrae, in genere, con gli alimenti.

Ora, questo antipatico batterio potrebbe invece rivelarsi utile nella lotta ai tumori. Questo, secondo uno studio condotto da ricercatori tedeschi dell'Helmholtz Centre for Infection Research (HZI) di Braunschweig.

Gli scienziati hanno scoperto come i batteri possano migrare nei tumori attraverso un processo che fino ad oggi non era possibile neanche ai trattamenti chemioterapici che non possono arrivare dove non c'è afflusso di sangue.

Il dr. Siegfried Weiss e la dr.ssa Sara Bartels affermano che c'è una sostanza messaggera del sistema immunitario che rende i vasi sanguigni del tumore permeabili. Tutto ciò consentirebbe ai batteri di raggiungere il tumore e distruggerlo. Il flusso di sangue arriva nel tessuto canceroso e si sviluppa una sorta di necrosi e il tumore muore.

Le cellule immunitarie quando riconoscono la salmonella producono TNF-alfa, il messaggero chimico che allerta le altre cellule immunitarie. Questa sostanza, secondo i ricercatori, anche se presente in piccole quantità è sufficiente a sciogliere le pareti dei vasi sanguigni nel tumore e consentire il flusso di sangue nel tessuto canceroso.

Il passo successivo è quello di riuscire a modificare il batterio in modo che possa migrare specificatamente nel tumore in modo da causare la sua morte. Tra i vari batteri è stata scelta la salmonella perché questi può vivere anche in tessuti mal raggiunti dal sangue, come i tessuti tumorali.

«Abbiamo ottenuto un importante segnale su come i batteri migrano nei tumori. Ora possiamo provare a manipolare questi batteri da usare nella terapia contro il cancro, senza causare infezioni mortali» ha dichiarato la dr.ssa Sara Bartels.

I test per ora sono stati eseguiti unicamente sui topi e in laboratorio. La speranza è che in un futuro prossimo si possa passare a una sperimentazione sull'uomo.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica "PLoS ONE".

 

(La Stampa- lm&sdp)