Il nostro virus contro i tumori
Una cura italiana contro il cancro.

19 maggio 2009. - Si comincia con l’essere un po’ intontiti e con il pensare che, forse, non si avrebbe mai dovuto trascinarsi sin lì, all’umido, invece di starsene a casa, magari a letto, dopo essersi imbottirsi di aspirine e aver trangugiato un paio di tazze di ributtevole brodo di pollo concentrato. Invece si continua a "tirar su" energicamente con il naso, mentre gli occhi si son fatti di lacrimosi e arrossati. Si sta covando un bel raffreddore. L’indizio sicuro è quell’infrenabile, violenta, involontaria espirazione che certi contadini delle regioni settentrionali dell'Europa, all'epoca della peste bubbonica, chiamavano con orrore «pfnusen», e che noi, aggiornando il termine, chiamiamo starnuto ([1]). Quando cadiamo vittime di un raffreddore, dobbiamo sapere che la nostra gola ed il nostro naso sono invasi da miriadi di "esserini" estremamente minuti, chiamati virus, (termine che in latino significa "veleno" ed incorpora il concetto di "forza" (vir) per significare "forza negativa") che sono microrganismi acellulari, parassiti obbligati, scoperti nel 1892 dallo scienziato russo Dmitrij Iosifovic Ivanovskij.

Inizialmente si pensava che fossero esseri viventi primitivi, poi si è pensato a batteri semplificati e specializzati per il parassitismo. Oggi molti studiosi mettono persino in discussione la loro natura di organismo vivente.  I virus sono infatti molto piccoli (circa 18-20 milionesimi di millimetro) e semplici: sono formati da una capsula proteica protettiva che contiene il loro acido nucleico (DNA o RNA); non possiedono metabolismo e, come dei parassiti, per vivere e replicarsi devono infettare le cellule dell'organismo ospite.

I virus vengono trasportati passivamente finché non trovano una cellula da infettare. Quindi inseriscono il loro DNA o RNA nella cellula ospite e ne assumono il controllo. L'acido nucleico virale viene poi replicato insieme alla cellula stessa, dando origine a nuovi virus. I virus devono essere trasmessi da persona a persona. Molti, come quelli responsabili del raffreddore, sono trasmessi attraverso le goccioline di saliva emesse nell'aria con starnuti e colpi di tosse. In realtà bisogna fare una piccola distinzione: la particella virale, quando si trova in sede extracellulare, è detta virione (da non confondersi con vibrione, termine riferito ai batteri del genere Vibrio, tra cui il colera) è chiamata propriamente virus quando invece si trova in una fase di attiva replicazione endocellulare.

I virioni, dunque, si trovano un po' dappertutto, nell'aria, negli alimenti e nell'ambiente, mentre i virus sono confinati all'interno delle cellule, animali, vegetali o batteriche, che li ospitano. Le dimensioni delle particelle virali, come già accennato, variano da poche decine a poche centinaia di nanometri (milionesimi di centimetro); per questo motivo i virus non sono visibili al microscopio ottico, ma solamente a quello elettronico, dove mostrano ampie escursioni non solo nelle dimensioni, ma anche nella forma, che può essere sferica, simile ad un "veicolo per l'atterraggio lunare", a bastoncino ecc. Il comune raffreddore o rinite è un’infezione dovuta ad almeno 250 tipi di virus (la categoria maggiore, i rinovirus, ne ha più di 120). Ad ogni buon conto, è stato accertato che, nel corso delle normali attività quotidiane, quando siamo raffreddati contagiamo con i nostri virus circa il 35% delle superfici che tocchiamo. È quanto risulta da una ricerca coordinata dall’Università della Virginia (2007). Da notare, per di più, che i rinovirus così "abbandonati", inoltre, sono in grado di infettare un’altra persona che tocchi la superficie incriminata anche a 18 ore di distanza. Le superfici più frequentemente contaminate risultano essere le maniglie, le penne per scrivere e, a scendere, interruttori della luce, telecomandi, rubinetti e telefoni. A sorprendere i ricercatori è stato il fatto che fra le superfici meno contaminate vi erano quelle della toilette. Lo studio è stato svolto chiedendo la collaborazione dei clienti, ai quali all’ingresso dell’albergo veniva chiesto di sottoporsi a un tampone per l’identificazione dell’eventuale infezione da rinovirus. Successivamente, alla partenza della persona venivano controllate minuziosamente le stanze di un albergo trasformato per l’occasione in laboratorio conteggiando, dall’esterno, il numero di volte che veniva accesa la luce, usato il telecomando e via discorrendo. La ricerca era stata sollecitata dalle autorità sanitarie statunitensi, dopo aver constatato che per le banali malattie da raffreddamento negli Stati Uniti vengono ogni anno persi 20 milioni di giornate lavorative e 21 milioni di giorni di scuola. (Fra gli sponsor, estremamente interessata, si annoverava una delle più importanti case produttrici di salviette disinfettanti). é la presenza dei virus nel nostro naso a provocare lo starnuto: stando a quanto affermano i microbiologi, l'intero processo si in­nesca perché i virus sviluppano, sulla loro superficie ester­na, speciali proteine irritanti, il cui scopo è, per l'appunto, quello di provocare uno starnuto potentissimo, capace di proiettar ì microscopici esserini verso nuovi terreni di coltura ossia verso nuovi ospiti umani. In genere, tentando di arginare il danno, facciamo  ricorso ad un fazzolettino di carta, premendolo sulle narici. Ma, di questa nostra barriera, lo starnuto se ne fa, come si dice, un baffo: lo starnuto «si sposta» con una velocità media dell’ordine di 70 km/ora (paragonabile a quella di un vento di 8° della scala Beaufort, cioè "vento di burrasca. È impossibile camminare contro vento") con punte massime di più di 150 km/ora. Normalmente, quando respiriamo, l’aria esce dalle narici alla velocità di 8-10 Km/ora(circa il 2° Beaufort, cioè "vento che si sente sulla pelle nuda, e che fa frusciare le foglie"). Ora, in queste condizioni  … temporalesche, il fazzolettino di carta può garantire soltanto, quando lo strofiniamo sul naso, un  tocco morbido, ma non è stato progettato per contrastare lo starnuto, che è letteralmente sparato fuori dalle narici. Per di più un fazzolettino "usato" è, per così dire, umidiccio e quando un prodotto a base di pasta di legno (come appunto il fazzolettino) viene inzuppato, la sua capacità di resistenza si riduce sensibilmente, sino al 70%. E poi c’è il problema dei buchi. Un fazzolettino di carta è fatto più che altro da buchi. Per questo è così morbido: le sue fibre sono opportunamente distanziate le une dalle altre. Si potrebbe pensare di fare in modo che queste fibre fossero più fitte, più vicine una all’altra, ma il tessuto (senz’altro più igienico) assumerebbe una consistenza comparabile a quella di un foglio di plastica. Comunque il vento di particelle catapultate fuori dal naso, attraversa, senza soverchi problemi, i buchi del nostro morbido fazzolettino: il fatto è che i virus si annidano proprio in queste particelle! È dimostrabile che 1 secondo dopo lo starnuto, le molecole cariche di virus si sono già allontanate dal naso di 30-40 cm. Nel frattempo queste soffici molecole liquide, lanciate ormai a 70 km/h, si sono, per così dire, prosciugate a causa dell’attrito dell’aria. Quel che di loro è rimasto è un insieme di residui di muco a forma di freccia che funge da vettore rinsecchito ai virus. In questo modo, i virus viaggiano coprendo distanze ragguardevoli (circa 2 m/sec) e si mantengono vivi e vegeti per tutto il "trasporto". La corsa di questi veri e propri dardi infestanti, ovviamente decresce con gradualità; ovvio altresì che eventuali ostacoli nel loro tragitto rettilineo sono destinati a subire una doccia infestante, un vero bombardamento a tappeto.  Fra i sintomi antipatici del raffreddore, c’è, spesso, la febbre, non un febbrone da cavallo ma, comunque, una febbriciattola indisponente In questa evenienza, dovremmo ricordarci che la febbre in realtà è uno dei più efficaci meccanismi di difesa dell’organismo contro le infezioni. E’ una reazione comune a tutti gli uomini e agli animali superiori, che la selezione naturale ha mantenuto nel corso di milioni di anni di evoluzione proprio per il suo valore. Infatti un aumento di temperatura da 37 a 38° C può provocare una diminuzione della moltiplicazione dei virus di oltre 90%, e per la maggior parte di loro un ulteriore aumento arresta del tutto la moltiplicazione. Anche i virus più virulenti sono bloccati da temperature di oltre 39°C che durino abbastanza a lungo. (Per di più la febbre facilita la guarigione anche nella maggior parte delle infezioni da batteri, perché esalta l’efficienza di tutti i componenti del sistema immunitario). I virus del raffreddore hanno una temperatura ottimale di moltiplicazione attorno ai 33-34°C. Questa temperatura si trova solo nelle mucose del naso dove passa la corrente d’aria respirata, e dove questi virus possono proliferare. Ma essi sono incapaci di diffondersi in zone più profonde, dove la temperatura è di 37°C. Durante il raffreddore la congestione nasale non lascia passare l’aria, così la temperatura nasale sale, la quantità di virus diminuisce rapidamente e la guarigione è accelerata.  Se poi il nostro naso si è fatto rosso arrubinato, con rigonfiamento delle mucose, poco male: un altro generale meccanismo di difesa dalle infezioni è proprio l’infiammazione, la quale provoca, a livello locale, condizioni fisiche (aumento della temperatura!) chimiche e biologiche (ad es.: grande afflusso di globuli bianchi, le "milizie" del sangue) che si potenziano a vicenda nel combattere le infezioni.

Per inciso, i "numeri" del raffreddore sono quanto mai interessanti:

    250 e più sono i virus che possono provocare il raffreddore;

    160 km orari è la velocità massima (misurata) con cui viaggia lo starnuto e con lui il virus

       del raffreddore;

    2-5 raffreddori l’anno infastidiscono in media un adulto;

    7-10 volte l’anno un bambino in età scolare è colpito da un raffreddore;

    un uomo di 75 anni probabilmente ha avuto una circa 200 raffreddori nella sua vita, ciò significa

      che ha passato più o   meno 3 anni della sua vita starnutendo e tossendo.

Non meno interessanti sono certi "miti" che riguardano il raffreddore e che vale la pena di sfatare:

La maggior parte dei raffreddori si prendono d’inverno.

Falso: la maggior parte dei raffreddori si prendono in primavera/estate! Questo è dovuto al fatto che il virus

diventa molto più attivo in quelle stagioni mentre in inverno sembra andare quasi in letargo.

Bere latte, quando si ha il raffreddore, provoca un aumento della produzione di muco.

Falso: Il latte non è in alcun modo collegato con l’aumento della produzione di muco.

Se si bacia una persona "raffreddata", si rimane contagiati

Falso: La quantità di virus presente sulle labbra e nella bocca sono minuscole; per infettarsi serve una dose

molto più consistente.

Il freddo fa venire il raffreddore.

(Si potrebbe scommettere che alla maggior parte di noi è stato detto di non uscire con capelli bagnati o

umidi, o di coprirsi bene prima di uscire per evitare di prendervi un bel raffreddore).

Falso: In realtà la temperatura corporea e la temperatura ambientale non giocano nessun ruolo

nell’ammalarsi di raffreddore. Si prende il raffreddore per contatto con un virus specifico del raffreddore

D’altra parte, con le temperature che si abbassano e il clima invernale imperante, la tentazione di un

bicchierino, che possa riscaldarci, può essere più forte. Ma fino a che punto un "cicchetto" può aiutare ad alleviare i sintomi di un forte raffreddore? Vin cotto, vin brulé, rhum intiepidito, whisky e acqua calda, latte e cognac, caffé corretto con grappa: di fronte ad un naso che cola o al freddo che mette in ginocchio l’organismo ognuno ha i propri rimedi. A evidenziare gli effetti del "goccetto" ci hanno pensato i ricercatori dell’Università di Cardiff, in Galles, per i quali, a dosi moderate, è un toccasana contro i mali di stagione, cioè raffreddore, tosse e mal di gola. In realtà i ricercatori britannici hanno testato una modica quantità di cordiale alla frutta (mela e ribes nero, secondo i discutibili gusti d’oltremanica) semiriscaldato, che secondo gli studiosi è stato in grado di fornire un pronto soccorso semplice ed efficace contro starnuti e articolazioni doloranti. L’esperimento condotto su 30 volontari, tutti molto raffreddati, ha dato risultati positivi tanto da meritare la pubblicazione sulla rivista Rhinology. Purtroppo, la stessa equipe medica ha altresì evidenziato che un pò d’alcol può dare soltanto una passeggera sensazione di benessere ma non ha nessuna proprietà curativa nei confronti del raffreddore. Gli effetti a breve termine di una modica quantità d’alcol possono offrire un rapido beneficio in quanto viene metabolizzato più rapidamente dello zucchero e fornisce un contributo calorico immediato all’organismo. Negli stati di minor ossigenazione dovuti all’ostruzione delle vie aeree, l’azione vasodilatatrice dell’alcol genera, per altro, la sensazione di respirare più facilmente. A dar retta a questi studiosi, il bicchierino è un conforto da concedersi una volta ogni tanto e con la moderazione dovuta,, al chiuso e al caldo, e certamente non prima di mettersi alla guida.

Anche il caffé corretto, preso magari al mattino, con sambuca o grappa dovrebbe rappresentare l’eccezionee non la norma perché l’alcol è un solo un espediente per riscaldarsi, un consumo voluttuario ma a rischio, perché l’abitudine può diventare "cronica".

Chi se ne intende (medici esperti di raffreddore ma di certo … astemi!) consiglia come prima scelta per riprendere calore di scegliere "un ambiente riscaldato". Quindi via libera, secondo loro, nella sera più fredda d’inverno, ad una tazza di buon (si fa per dire) latte caldo con una goccia di miele e una di cognac. Ma non più di "una " goccia, mi raccomando!

Per concludere, una notazione igienico-storica. Per noi, così fortunati da vivere in zone densamente popolate, i virus dispersi nell'ambiente a bordo delle goccioline di saliva e muco non rappresentano una temibile minaccia. Prima o poi, infatti, tutti quanti i nostri co-abitanti sono destinati ad infettarsi, e ciò indirettamente fa sì che tutti, o quasi, diventino relativamente immuni a gran parte dei minuscoli aggressori.

Per gli individui che vivono nelle regioni meno densamente popolate (poverini!), il problema è, invece, più grave. I conquistadores spagnoli che sbarcarono nell'America centromeridionale agli inizi del XVI secolo, e fecero strage delle grandi civiltà che avevano dominato la regione per secoli, riuscirono ad avere la meglio sulle popolazioni locali non soltanto per via della loro superiorità di armamento, ma anche, se non (addirittura) specialmente, perché, ad ogni starnuto, liberavano quantità mastodontiche di microscopici dardi contaminati da virus contro i quali né gli Aztechi né i Maya avevano sviluppato alcuna difesa immunitaria.

Se si fosse verificato l'opposto, cioè se gli "americani" fossero vissuti in aree urbane più densamente popolate (e più cariche di virus) di quanto non lo fossero le città europee, con molta probabilità i conquistadores non sarebbero stati neppure menzionati nei libri di storia o, al massimo, sarebbero stati citati solo marginalmente come i miserevoli invasori, le cui navi e mappe geografiche, stupidamente lasciate alla mercé di chiunque, avrebbero permesso agli, Aztechi e … compagnia bella, di invadere l'Europa occidentale e conquistarla.

A rifletterci bene, dunque, dobbiamo, la nostra sopravvivenza allo starnuto di un conquistador che s’era preso un bel raffreddore nel Nuovo Mondo!


([1])  Presso gli antichi lo starnuto era considerato come un evento fuori dal comune, di cui si ignorava la causa e che veniva perciò spiegato come una manifestazione spontanea dell'anima divina che abitava l'uomo. Così, quando qualcuno starnutiva, gli si rivolgeva d'abitudine un inchino, in onore della parte più sacra dell'uomo, la sua testa. Lo starnuto poteva avere un significato profetico, ma anche indicare un disturbo dell'anima vitale, sicché, per un greco, era usuale pronunciare la formula "Zeus, salvami!" dopo uno starnuto. Gli ebrei recitavano una preghiera per la vita di chi starnutiva, gli indù esclamavano "Viva" e lo stesso facevano i romani dicendo un "Salve", salute, in uso ancor oggi. Varrebbe forse la pena di ricordare che l'aggettivo "geniale", era un parente stretto, anzi strettissimo, dello starnuto. Per i latini, infatti, era il genius lo spirito vitale che abitava la testa, e con lo starnuto esprimeva il proprio assenso o dissenso circa il pensiero o l'azione dell'uomo.