L'aspirina,
il farmaco che sconvolse il mondo

Di Claudio Bosio.

25 febbraio 2010. - Ogni anno ne vengono vendute, nel Mondo, approssimativamente 100 miliardi di compresse: unite una accanto all'altra, coprirebbero una distanza di circa un milione di chilometri, quasi tre volte il viaggio terra­luna.

Se ne consumano 16 compresse al minuto.

Si tratta senza dubbio del farmaco più popolare e più venduto: l'aspirina.

I dati statistici più aggiornati (2006) relativi agli USA indicano un uso annuale di:

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≈ 29 miliardi  di compresse

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≈ 11 miliardi  di compresse sintetizzate dalla Bayer solo per gli USA.

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≈ 50 milioni di compresse ingerite ogni giorno 

nonché

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≈ 16500 persone decedute per averne fatto uso scorretto

Quanto agli Italiani si può dire che:

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5 milioni ((≈ 8,3 %) ne fanno uso abituale

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3,6 milioni (≈ 6 %) ne fanno uso per proteggersi da infarto o ictus

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2,4 milioni (≈ 4 %) ne fanno uso nella terapia dopo l'infarto

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8 compresse pro capite sono il consumo annuo testatico

Il nome "aspirina", brevettato dalla Bayer il 6 marzo 1899, ha una «costruzione etimologica» particolare:

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a” sta per acetile

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spir” sta per spirsaure, dal fiore Spiraea, da cui si ricava l'acido spireico, ovvero l'acido salicilico.

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ina” è il suffisso classico che i chimici industriali usano per le sostanze che vengono scoperte o isolate in natura.

La Bayer perse tuttavia il diritto ad usare il proprio marchio in molte nazioni, dopo la Ia guerra mondiale, quando cioè gli Alleati ne occuparono e rivendettero le proprietà. Il diritto ad usare il marchio "Aspirina" negli USA fu acquistato nel 1918 dalla Sterling Drug Inc.. Già nel 1917, prima ancora che il brevetto scadesse, la Bayer non riuscì ad impedire che il nome e la formula del farmaco fossero impiegati da altri. Sul mercato apparvero quindi "Aspirine" prodotte da numerose diverse case farmaceutiche finché nel 1921 una sentenza della corte federale degli Stati Uniti fece di "aspirina" un nome generico non più soggetto a brevetto. In altre nazioni, tra cui l'Italia ed il Canada, il nome "Aspirina" è invece ancora un marchio registrato.

Questo farmaco, indubbiamente, è … stravecchio. Erodono (484-430 a.C.) nelle sue "Storie", narrava di un popolo che usava mangiare le foglie di salice e che per questo era più resistente alle comuni malattie; Ippocrate, “il padre della medicina”(460-377 a.C.) descrisse una polvere amara estratta dalla corteccia del salice, utile per alleviare il dolore ed abbassare la febbre. Anche i nativi americani pare la conoscessero  e la adoperassero per curare mal di testa, febbre, muscoli doloranti, reumatismi e brividi.

La sostanza attiva dell'estratto di corteccia del salice bianco (Salix alba), chiamato salicina([1]) fu isolato in cristalli, nel 1828, da un farmacista francese, Henri Leroux, e da Raffaele Piria, un chimico italiano. (Ognuno per … conto suo). Nel 1897 Felix Hoffmann, chimico della Friedrich Bayer & Co., “sostituì” il gruppo ossidrile (-OH) dell'acido salicilico con un gruppo acetile (-CH3CO), formando l'acido acetilsalicilico. Tale composto presentava gli stessi effetti terapeutici dell'acido salicilico, ma con minori effetti collaterali (acidità comparativamente più bassa e ridotta azione lesiva sulle pareti delo stomaco). Nacque così il primo farmaco sintetico cioè prodotto dai suoi elementi di base.

La prima sintesi chimica di acido salicilico fu realizzata, con rendimenti di reazione molto bassi, dal francese Charles Frédéríc Gerhardt, nel 1852. Senza entrare in dettaglio, si può dire che il procedimento di Gerhardt era estremamente complicato e inadatto quindi per una produzione su scala industriale. L’acetilazione della molecola di acido salicilico venne messa a punto da un chimico tedesco Félix Hoffmann, che operava presso la Bayer di Leverkusen, in Renania. La leggenda vuole che il padre di Félix, colpito da grave malattia reumatica, traesse grande giovamento dal salicilato di sodio, ma ne lamentasse con il figlio lo sgradevolissimo sapore.

Le sofferenze paterne, sempre secondo questa mitica ricostru­zione, sono state il motivo stimolante perché la ricerca del giovane Gerhardt. andasse a buon fine. Questi, a risultato acquisito, conferì con il suo Direttore, il dr. Heinrich Dreser (il “padre” dell’eroina!) che, per non sapere … né leggere, né scrivere, volle sperimentare il farmaco su se stesso. Era evidente infatti, com'egli scrisse, «che solo un composto in grado di scindersinon appena possibile nel sangue in acido salicilico ha efficacia terapeutica». L’aspirina, in altri termini, una volta ingerita, do­veva arrivare nello stomaco, essere assorbita sotto forma di acido acetilsalicilico e quindi, una volta nel sangue, dividersi, così da liberare acido salicilico, la sostanza realmente utile.

Dreser ingerì un grammo di acetilsalicilato di sodio e studiò cosa “gli” succedeva. Già dopo 22 mi­nuti le sue urine contenevano acido salicilico mentre mancava del tutto l'altra sostanza, l'acido acetilsalicilico; nelle 12 ore successive niente di nuovo si era verificato. L'unica conclusione possibile, pertanto, era che 1' acido acetilsalicilico, una volta assorbito, si scomponeva rapidamente e liberava acido salicilico ([2]). Il vero e proprio trionfo dell'aspirina venne in seguito, anche grazie alla produzione di nuove compresse più maneggevoli. I primi decenni del 900 conobbero la piena affermazione dell'aspirina presso 1'opinione pubblica. Erano anni in cui la farmacologia celebrava notevoli trionfi, dai primi anestetici, agli ipnotici come il Veronal o ad altri antidolorifici come il Piramidone. La gente, sempre di più, ricorreva all'aspirina. di propria iniziativa e, come spesso capita in questi casi, anche disinvoltamente.

Gli effetti collaterali non mancarono di verificarsi: a tutt’oggi ne sono stati clinicamente registrati più di 40!

Da allora sono stati fatti rapidi passi avanti nello studio dell'attività biologica dell’aspirina, che sembra soprattutto legata alla sua capacità di inibire la sintesi delle prostaglandine, un gruppo di sostanze naturali scoperte negli anni 30. Queste proteine sono presenti non soltanto nella prostata, come si credeva all'inizio, ma in moltissimi tessuti e soprattutto nel tratto gastrointestinale, nei bronchi, nell'utero, nel cervello e nel sistema cardiovascolare. Hanno una vita brevissima (da qualche secondo a 3 minuti) ma, rinnovandosi continuamente, influiscono su molte funzioni organiche (per esempio sull'apparato respiratorio, sulla secrezione gastrica, sulla pressione arteriosa, sull'aggregazione piastrinica, sulla permeabilità vascolare, ecc.

La loro quantità aumenta enormemente in caso di infezioni o lesioni: in queste circostanze un grande numero di prostaglandine dà il via ad una cascata di reazioni biologiche (per es. un maggior afflusso di sangue) che costituiscono i meccanismi con cui l'organismo reagisce alle più comuni emergenze. Nel 1971 è stato definitivamente dimostrato che l'acido acetilsalicilico riduce nell'organismo la produzione delle prostaglandine.

Sciolti nel sangue, i componenti dell'acido acetilsalicilico catturano infatti un enzima, la ciclossigenasi, che viene attivato da molte situazioni patologiche e che è comunque necessario per la sintesi organica delle prostaglandine: come giàindicato, l'attività anti-prostaglandine dura qualche ora e costituisce tuttora la spiegazione principale, anche se non l'unica, del fatto che il dolore, l'infiammazione e la febbre vengono attenuate dall'assunzione di acido acetilsalicilico. Per altro, alle prostaglandine noi tutti dobbiamo la sopravvivenza in caso di emorragia, perché questi composti promuovono la formazione di un sorta di tappo biologico, costituito dalle piastrine, particolari cellule del sangue che si accumulano proprio nel punto dell'emorragia. Somministrare aspirina significa ostacolare questo meccanismo salvifico.

Tra i primi a farne le spese, quan­do le informazioni a riguardo erano ancora lacunose, fu il figlio di Nicola II, ultimo zar di Russia, malato di emofilia, patologia che comporta pericolose forme di emorragia, dovute a insufficiente coagulazione del sangue. Il giovane veniva ripetutamente colpito da violenti dolori articolari dovuti a improvvise emorragie, proprio nelle articolazioni. Nel tentativo di alleviarne le sofferenze, i medici di Corte gli prescrivevano sistematicamente dell'aspirina. Ovvio che il rimedio fu peggiore del male. Nessuno dei medici curanti pensò mai ad una liaison fra somministrazione di aspirina e peggioramento del malato. Bastava solo un pò di intuito, dote che evidentemente non mancava al monaco Rasputin.

Secondo la leggen­da generata da queste vicende, Rasputin riuscì a convincere i genitori ad interrompere la terapia e a rivolgersi alla fede.

Una volta, poi, migliorati i sintomi grazie alla sospensione del far­maco, non gli fu difficile far attribuire il ristabilimento delle condizioni di salute del principe, alle sue pratiche sciamaniche.

Volendo specificare meglio il meccanismo d’azione dell’aspirina, si può dire che la stessa è un inibitore irreversibile delle COX cioè di quegli enzimi che danno inizio alla sintesi delle PG (prostaglandine) a partire dall’acido arachidonico (un acido grasso). L’aspirina va a bloccare le PG che, come già accennato, sono dei mediatori, cioè delle sostanze che vengono liberate quando si ha un infiammazione, la febbre e sono responsabile del dolore. (Quando siamo doloranti, noi percepiamo il dolore perché questo viene “trasportato” dalle PG).

Nel nostro organismo esistono due tipi di COX:

         Le COX 1, che sono fisiologicamente presenti nell’organismo e controllano le funzioni dello stesso, proteggendolo opportunamente (ad esempio proteggono la mucosa gastrica dalle secrezioni acide).

         Le COX 2, che intervengono solo quando si ha un processo patologico in corso.

Il legame del farmaco sulle COX (l’aspirina blocca sia le COX 1 che le COX 2, purtroppo!) è responsabile del emorragia a livello gastrico, perché in pratica vengono a mancare le difese sulla mucosa gastrica, perse dal blocco delle COX da parte del farmaco.

I più comuni usi clinici dell’aspirina, sono ormai conosciuti da tutti. Pertanto basterà accennare che l’aspirina è utile come:

         antidolorifico, è utile nei dolori muscolo scheletrici ed articolari, nel dolore post operatorio e post-partum, ma non è utile nei dolori viscerali come ad esempio una colica renale e simili. .

         antipiretico negli adulti, abbassa rapidamente la febbre grazie alla sua azione sul centro termoregolatore dell’ipotalamo, ma ovviamente l’effetto antipiretico è valido solo quando si ha la febbre, nel senso che se prendo un’aspirina per il mal di testa, non mi abbassa di certo la temperatura corporea.

         Antinfiammatorio, usato nell’artrite reumatoide e nella febbre reumatoide.

         Antiaggregante piastrinico, a bassissime dosi, nella prevenzione di patologie a carico dell’apparato cardiovascolare, infarto, ictus ecc… Questa attività è, ovviamente, in relazione con l'azione dell'acido acetilsalicilico sulle piastrine, le più piccole tra gli elementi corpuscolati del sangue. Le piastrine giocano un ruolo di straordinaria importanza nel processo di coagulazione del sangue (emostasi): sono loro, infatti, che in risposta a una ferita o a una lesione interna, si aggregano fino a formare un vero e proprio "tappo" capace di arrestare l'emorragia. L'aspirina, interferendo col metabolismo della ciclossigenasi (enzima che regola la produzione di fattori proaggreganti ed antiaggreganti piastrinici) modifica l'equilibrio dell'emostasi primaria con un prevalente effetto anticoagulante.

L'aspirina non va assunta in gravidanza, non va somministrata mai a pazienti emofiliaci (perché prolunga il tempo di sanguinamento) , a pazienti

fabici([3]) o gottosi (perché fa perdere di efficacia il Probenecid, farmaco antigottoso).

E’ controindicata nei bambini al di sotto dei 16 anni, infatti se somministrata ai bambini specie per la febbre scatenata da un virus, come quello influenzale o varicella, può causare una sindrome molto rara ma fatale , che è la sindrome di Reye. Nel 1963, il medico studioso australiano, Ralph Reye, descrisse una malattia sino ad allora sconosciuta. Colpiva prevalentemente i bambini non oltre il quindicesimo anno d'età, era mortale nel 50% dei casi e provocava gravissimi danni in vari organi (fegato, cervello e reni). Le ricerche condotte su que­sta malattia, da allora nota semplicemente come sindrome di Reye e per fortuna molto rara, hanno portato ad associarne l'insorgenza con malattie virali o con il precedente ricorso a dosi ec­cessive di salicilati.

Da moltissimo tempo l’aspirina è un topos, una nicchia della nostra cultura medico-farmaceutica.

Nel nostro immaginario l’aspirina è il prototipo del farmaco “fai-da-te”. Non abbiamo bisogno del medico per prenderla.

Tanto, di aspirina non si muore! E invece si, si può morire d’aspirina.

Per … schiattare d’aspirina occorrono dalle 20 alle 60 compresse.

Tuttavia si è verificato il caso per cui l’ingestione di 130 grammi di acido acetilsalicilico (≈269 pastiglie) non è stata letale. Così come sono citati casi di persone ipersensibili, decedute con 2-3 pastiglie soltanto.

L'aspirina, questo “acido centenario”, vecchio ma non decrepito, promette di rivelare ancora inaspettate sorprese:. Nonostante i suoi cento anni (festeggiati nel 1999), i farmacologi ancora oggi sono impegnatissimi nella ricerca di “novità” circa l’uso dell’aspirina.

Celebre, in questo senso, è rimasta l’affermazione del farmacologo inglese Harry Collier:

"Il futuro di questa molecola, si annuncia più promettente del suo passato".

 


([1]) La salicina è abbastanza acida quando viene sciolta in acqua (una sua soluzione satura ha pH 2,4), per questo venne ribattezzata acido salicilico. Il composto fu isolato anche dai fiori di olmaria (Spiraea ulmaria) da alcuni ricercatori tedeschi nel 1839.

([2]) A livello gastrointestinale l’aspirina viene in effetti scissa in acido acetico e salicilato, dalle esterasi, enzimi presenti nel sangue e nei tessuti

([3])  Il favismo è un difetto genetico, ereditario, ed è dovuto alla mancanza dell’enzima G6PD (glucosio-6-fosfato-deidrogenasi). Si manifesta come una grave forma di anemia provocata dall’ingestione di fave fresche o secche, crude o cotte o dall'assunzione di determinati farmaci. Alcune sostanze contenute nelle fave distruggono rapidamente i globuli rossi, causando, nel soggetto colpito, debolezza, impallidimento, urine rossastre, nausea, vomito e crisi emolitica grave, tutti sintomi correlati al favismo. Nei casi più gravi si determina un’anemia emolitica (che potrebbe anche causare la morte) ed il paziente deve essere sottoposto a trasfusioni di sangue per riprendersi.

Gli individui fabici devono assolutamente evitare di ingerire fave ed, inoltre, devono evitare di assumere alcuni farmaci e sostanze che possono determinare gravi crisi emolitiche. In alcuni casi si possono manifestare i sintomi del malessere anche esclusivamente nel respirare i pollini delle fave in fiore, con le medesime conseguenze dell'ingerimento. Nei comuni sardi, infatti, è vietata la coltivazione delle fave a meno di 15 km di distanza dal centro abitato.

 

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