Tutto lascia una traccia

Impronte digitali e DNA: i metodi della Polizia.
Di Claudio Bosio

 

The little things are infinitely the most important
Le piccole cose sono infinitamente le pù importanti

Sherlock Holmes

 

7 luglio 2010. - Una impronta digitale (più correttamente detta dermatoglifo) è una struttura alternata di creste e valli che si possono rilevare sulla superficie delle dita, in particolar modo sull'ultima falange.

Le creste variano in ampiezza da 100 ai 300 micron (0,1 a 0,3 mm), mentre il periodo cresta/valle corrisponde all'incirca ai 500 micron (0,5 mm).

Lo schema di creste/valli, nel suo insieme, mostra una o più regioni caratterizzate da una forma particolare, dette "regioni singolari". La presenza di tali regioni determina la classificazione dell'intera impronta in una delle 5 classi definite da Sir Edward Henry, in India, nei primi anni del XX secolo.

Queste classi sono ancor oggi così denominate:

  1. Arco (Arch): le linee vanno come le onde da un lato all'altro

  2. Arco a tenda (Tented Arch): come l'arco ma con un bastone crescente nel mezzo;

  3. Cappio (Loop): le linee partono da un lato e rientrano nel mezzo dello stesso lato;

  4. Doppio cappio (Double Loop): come il cappio ma con due cappi interni che vanno in direzioni opposte;

  5. Spirale (Whorl): le linee formano una spirale;

 

 

A livello locale invece, le discontinuità delle creste vengono chiamate minuzie, (o "dettagli di Galton"), in onore del primo studioso che ne approfondì lo studio. Esse possono essere fatte corrispondere semplicisticamente alle terminazioni o alle biforcazioni delle creste; nella figura qui annessa il il cerchio evidenzia una terminazione e il quadrato, una biforcazione.

 

 

Minuzie di tipo biforcazione  e terminazione

 

È risaputo che le impronte digitali sono, da tempo, largamente utilizzate per l’identificazione degli esseri umani in generale, e per poterne inoltre rilevare la presenza su oggetti collegati ad eventi criminosi. I reperti, antichissimi!, di impronte digitali, si rifanno a tavolette Babilonesi risalenti al 500 a.C. Si tratta, in genere, di transazioni commerciali, recanti impronte digitali calcate sulla loro superficie come “firma” personale sul documento.

Lo studio vero e proprio delle impronte digitali, che va sotto il nome di «dattiloscopia», (che in greco significa “osservazione delle dita”) si è evoluto molto di recente, cioè alla fine del XVII secolo d.C.

La validità di questa procedura (in inglese fingerprint) risiede nel fatto che le cosiddette creste cutanee papillari delle dita sono:

  1. diverse in ogni essere umano

  2. persistenti, non cambiano attraverso il tempo

  3. individuali , sono uniche da individuo a individuo.

Le impronte si formano già nel feto al settimo mese di gravidanza e non cambiano per tutta la vita. In caso di graffi o tagli, la pelle dei polpastrelli ricresce con le stesse caratteristiche. Modificarle chirurgicamente poi è quasi impossibile: un medico riconoscerebbe a occhio nudo che la cresta originaria è stata sostituita da una cicatrice.

Il rilevamento delle impronte, come comunemente effettuato nel corso di indagini di polizia, può avvenire

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in modo diretto, su persone alle quali si fanno imprimere su carta le impronte dei polpastrelli macchiati di inchiostro

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in modo indiretto, attraverso particolari procedure che permettono di rendere visibili le impronte presenti, ad esempio, nel luogo in cui è stato commesso un crimine.

In quest’ultimo caso, la procedura più usata consiste nell’applicare sulle superfici da analizzare, una polvere a base di alluminio, di carbone o di sostanze fluorescenti, capace di aderire alle tracce di sebo eventualmente presenti e, quindi, di evidenziare le impronte. Nel caso di tessuti o di superfici porose, risultano più indicati trattamenti chimici a base di ninidrina e vapore di iodio. Come già accennato, un'impronta digitale è costituita da un insieme di linee, dette ridge lines o creste, che scorrono per lo più in fasci paralleli, che a volte si interrompono e a volte si intersecano, formando un disegno denominato ridge pattern. L'andamento delle ridge lines può essere efficacemente descritto dalla immagine direzionale, una matrice i cui elementi denotano l'orientazione della tangente alle ridge line in corrispondenza dei nodi di una griglia a maglia quadrata sovrapposta all'immagine dell'impronta.

Archivi cartacei ed elettronici permettono di schedare le impronte rilevate ad un numero impressionante di individui: sistemi ottici di comparazione fra impronte-in-archivio e impronte-in-osservazione consentono il riconoscimento delle persone con una percentuale d’errore praticamente nulla.

Nel corso degli ultimi 20 anni l’identificazione per­sonale in criminologia e nelle indagini sulla paternità contro­versa, ha fatto un crescente uso di una nuova procedura: è infatti ora possibile identificare, con un alto grado di probabilità, qualsiasi individuo semplicemente analizzandone il DNA, estraibile da reperti biologici, quali una traccia di sangue, di liquido seminale, di saliva ecc.

Questa analisi, chiamata «test del DNA» oppure, all'anglosas­sone «DNA fingerprinting» (per analogia con le impronte digitali, fingerprint), si basa sulla caratterizzazione di alcune regioni del DNA variabili da individuo a individuo e definite polimorfiche. Il risultato dell'analisi di circa 20 di queste regioni del DNA con­sente di costruire una sorta di codice genetico unico ed identifi­cativo della persona che può essere paragonabile, per maggiore comprensione, al codice a barre presente sulla confezione di molti prodotti commerciali.

In sostanza, ognuno di noi è identificabile da un particolare e peculiare codice a barre genetico, alla cui costituzione concorrono, in parti uguali, entrambi i genitori. Quest'ultima considerazione è il presupposto scientifico fon­damentale per poter correttamente interpretare i risultati delle analisi genetiche per l'accertamento della paternità biologica. Nel caso in cui, dal confronto delle caratteristiche genetiche (corredo genetico) del figlio con quelle del presunto padre e della madre, non fossero riscontrabili le caratte­ristiche genetiche del padre putativo, la paternità è da ritenersi esclusa. Nel caso opposto, viene condotta una complessa analisi statistica dei risultati che permette di formulare, nel caso di paternità accer­tata, una probabilità di attribuzione tale da ritenere la paternità come «praticamente provata».

In pratica, il metodo di identificazione dna finger-printing consiste nel comparare frammenti di acido deossiribonucleico (DNA) provenienti da diversi individui. Il Dna (come meglio descritto nel capitolo 7.2) è il materiale genetico contenuto nel nucleo delle cellule di tutti gli esseri viventi. Se si potesse srotolare, il filamento di DNA di una singola cellula sarebbe lungo 2 metri: nei mammiferi  i filamenti di Dna  sono raggruppati in strutture chiamate cromosomi. (Con l'eccezione dei gemelli omozigoti identici, il DNA di ogni individuo è unico).

A proposito del DNA, in estrema sintesi, si può evidenziare quanto segue:

a. DNA è composto da due filamenti che formano una struttura definita "a doppia elica". Una molecola di DNA ha la forma di una scala a pioli elicoidale, in cui i montanti sono costituiti da zuccheri e fosfati, e i pioli da coppie di quattro diverse basi azotate: adenina (A), timina (T), citosina (C) e guanina (G). Una determinata sequenza di coppie di basi azotate costituisce un gene; I geni regolano la sintesi delle proteine.

b. Il DNA non è vivo. È una molecola chimica, anzi, è «una  delle molecole più inerti del mondo vivente» (parola del genetista Richard Lewontin). E’ presente in tutti gli organismi viventi (eccetto in alcuni virus). Il DNA dell'uomo e dello scimpanzé sono identici al 98 %; Il DNA di due persone sono identici al 99,9 per cento. La differenza fra il DNA di due individui è quindi di appena una “lettera” su mille.

c.  Le funzioni del DNA sono essenzialmente due:

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replicare se stesso

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sovrintendere la costruzione di proteine

d.  Il DNA è costituito da due frazioni ben distinte, definite come:

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sequenze codificanti, porzioni contenenti informazioni specifiche che le cellule utilizzano come “ricette” per costruire le proteine.

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sequenze non codificanti porzioni definite come DNA spazzatura perché prive di funzionalità.

I geni (cioè quei tratti di DNA che codificano una proteina) non sono mai disposti in ordine sulla doppia elica. Anzi: in alcuni punti se ne trovano centinaia tutti in fila e poi per lunghi tratti sul filamento non c’è più nulla. Gli studi hanno infatti dimostrato che ben il 95-97% della catena DNA è sembra cioè non contenere istruzioni per la cellula, cioè è inutile, (ecco perché è comunemente detto “DNA spazzatura”).

In realtà, il DNA spazzatura a qualcosa serve: è la porzione di genoma utilizzata per il test del dna finger-printing.

Le sequenze non codificanti, sono particolarmente variabili tra individui diversi.

Questa variabilità è così elevata da essere caratteristica per ogni individuo.

Queste porzioni sono generalmente composte dalla ripetizione di una particolare sequenza di DNA. Come già accennato, il DNA è costituito dalla successione di quattro molecole chimiche chiamate “basi” (adenina, timina, guanina e citosina, indicate e con le lettere A, T, G, C.) La successione di queste basi su un filamento di DNA è definito sequenza (un esempio di sequenza è ATGCGTAGGGACT...). Le sequenze ripetute possono essere di lunghezza diversa e presenti in un numero variabile di ripetizioni (anche 10.000!).

Nelle prime tecniche di analisi, ancora oggi utilizzate in alcuni casi, si prendevano in considerazione le sequenze ripetute note come VNTR (acronimo inglese per Variable Number of Tandem Repeats), ripetizioni consecutive, in numero variabile e quindi polimorfe, di sequenze uguali, presenti nel genoma umano. Nella procedura analitica del dna finger-printing , queste sequenze, si ottengono dal campione di DNA mediante suddivisione enzimatica. Le sequenze VNTR, cioè, vengono “tagliate” con enzimi di restrizione, che sono proteine particolari che tagliano il DNA in punti specifici. In natura gli enzimi[1] di restrizione sono in larga parte ottenuti da batteri, i quali li utilizzano per tagliare il DNA dei virus che tentano di infettarli. Esistono diversi enzimi di restrizioni, ciascuno specifico per una sequenza di DNA. I nomi degli enzimi di restrizione sono composti da tre lettere che derivano dall'iniziale del batterio da cui sono stati estratti la prima volta: per esempio, l'enzima Eco RI, deriva dal batterio Esperidia coli. Gli enzimi di restrizione utilizzati per l'analisi dei VNTR hanno nomi come Hinf I, Hind III e Hae III.

 

 

In soggetti diversi questo tipo di taglio produce frammenti di DNA di lunghezza diversa, che può essere misurata mediante una tecnica chiamata elettroforesi su gel: frammenti di lunghezza minore sono meno ostacolati nella loro corsa attraverso le maglie del gel, quindi si troveranno nella parte bassa di quest'ultimo, mentre i frammenti più grossi si troveranno localizzati nella parte prossima ai pozzetti di caricamento. Grazie alla presenza dei gruppi fosfato (PO43-) il DNA è carico negativamente e migrerà quindi verso il polo positivo.

La maggior parte delle separazioni elettroforetiche di campioni di DNA viene eseguita su gel di agarosio.

La presenza dei frammenti (sinora non identificabili tra il resto delle molecole di DNA) è quindi evidenziata con l'aiuto di molecole particolari chiamate sonde che si legano in modo specifico al DNA di interesse. In questa procedura di analisi vengono registrate su pellicola (mediante l’uso complementare di molecole fluorescenti) le “macchie” corrispondenti alle emissioni luminose delle varie porzioni di DNA presenti nel campione analizzato.

Le sonde ad alta specificità sono utilizzate principalmente per l'analisi di paternità. Un metodo standard di analisi utilizza cinque sonde che riconoscono ad alta specificità cinque diverse sequenze ripetute presenti nel genoma.

Prendiamo il caso, ad esempio, di una coppia con 4 figli. Uno dei maschi è adottato, mentre una delle figlie è nata da un precedente matrimonio della madre. La figura qui sotto fornisce un profilo di bande caratteristico per il padre (DAD) e per la madre (MOM): la comparazione delle macchie consente di trarre le seguenti conclusioni:

 

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D2, D1, S1:     sono tutti figli di MOM

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D1, S1:            sono figli di MOM e DAD

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D2:                  è nata dal precedente matrimonio di MOM

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S2:                  è stato adottato dalla coppia

 

Le potenzialità di utilizzo del test del DNA a fini identifi­cativi sono enormi. Ogni substrato biologico contenente o costi­tuito da cellule può fornire il DNA necessario per effettuare l'a­nalisi. Un esempio per tutti è rappresentato dalla possibilità di identificare una persona dalla saliva che questa ha lasciato, per esempio, sul dorso di un francobollo, sul filtro di una sigaretta o su di un chewing-gum. Particolarmente interessanti sono, inoltre, le possibilità di ricostruire, attraverso l'analisi genetica contestuale dei congiunti prossimi, l'identità di persone scomparse, anche da lungo tempo, in seguito ad eventi delittuosi (si pensi, per esempio, ai «despa­recidos» argentini e cileni), o cadute nel corso di eventi bellici (soldati americani in Vietnam, vittime del recente conflitto nel­l'area balcanica) ovvero, infine, vittime di disastri aerei.

Il caso più clamoroso in questo ambito è stato, comunque, quello che ha portato all'identificazione positiva dei resti sche­letrici dello Zar Nicola II Romanoff e dei componenti della sua famiglia, uccisi nel 1917 nel corso della rivoluzione bolscevica.

Il test del DNA fornisce, in conclusione, agli investigatori uno strumento estremamente potente nell'identificazione dei colpevoli di reati, come dimostrano i numerosi casi di cronaca anche recente, in cui l'impiego di questa metodica è risultato fondamentale per la risoluzione del caso giudiziario.

Uno studio condotto presso la Forensic Science Service di Birmingham ha dimostrato che la probabilità di trovare la stessa impronta di DNA in due individui diversi è di 1 su 10 milioni di miliardi.

Considerando che la popolazione umana è attualmente di circa 6 miliardi, questo rapporto permette di affermare che, se l'impronta del DNA corrisponde (fatta eccezione per i gemelli identici), è statisticamente improbabile che il reperto trovato non appartenga ad una determinata persona.


[1] La parola "enzima" viene dal greco en zumh (letteralmente "nel levito"), e venne usata per la prima volta nel 1878 dal biochimico Kuhne per contrapporre i "fermenti organizzati", cioè i microorganismi interi, ai fermenti presenti in estratti di microorganismi, in particolare nel lievito di birra. Chimicamente, gli enzimi sono proteine che svolgono il ruolo di catalizzatori, cioè sostanze che rendono più efficienti, o addirittura possibili, determinate reazioni chimiche. Queste reazioni, nel caso degli enzimi, avvengono all’interno della cellula; Più in particolare, l’enzima di restrizione è in grado di riconoscere specifiche sequenze di basi lungo il filamento di Dna, e di "tagliare" esattamente in corrispondenza di queste sequenze. La caratteristica che rende così preziosi gli enzimi per lo studio del DNA è che ognuno di essi riconosce, lega e taglia il DNA in una sequenza ben precisa.

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