Il Metro:

nato in Polonia da padre Italiano

Di Claudi bosio.

 

19 giugno 2010. - Oggi non ce ne rendiamo proprio conto, ma sino ai primi anni dell’800 era praticamente  impossibile effettuare una "misura" esatta.

In pieno '700, il "secolo dell’Illuminismo", che perseguiva l’emancipazione dell’uomo e il progresso della scienza sotto la guida dei "lumi" della ragione, la confusione circa le unità di misura, era indescrivibile. Praticamente, ogni città usava misure diverse, con inevitabili complicazioni nelle comunicazioni e nelle operazioni commerciali.

Al mercato di Vienna, ad esempio, per la compra-vendita dei tessuti  e del pane, si era ricorsi ad un espediente. Dato che il mercato sorgeva di fronte al Duomo di Santo Stefano (Stephansdom), sul muro della chiesa furono infisse due sbarre: la più lunga era l'unità di misura della lunghezza per le stoffe meno pregiate, la più corta per quelle più pregiate (rispettivamente 92,4 cm ed 81,8 cm). Per quanto riguarda il pane, furono invece segnate due forme circolari: la più grande per la forma di pane più grossa, la seconda per le pagnotte più piccole.

Ma fuori da Vienna? C’era il caos!

A Torino, l'unità di misura di lunghezza era il braccio, corrispondente a un terzo dell'impronta del corpo di Cristo sulla Sindone, a Londra era la yarda, il cui valore era pari alla distanza tra la punta del naso e il pollice della mano di Enrico I. Per misure comparativamente più grandi, si usava ancora il miglio romano, che corrispondeva a mille passi di una legione in marcia o la giornata, pari all'estensione di un campo arato da una coppia di buoi in un giorno. Soltanto a Parigi, esistevano circa 800 diverse unità di misura che sovente, sotto lo stesso nome, nascondevano valori molto diversi creando, nel loro folclore, una confusione inimmaginabile. Roberto Vacca, nel suo libretto «Anche tu  fisico», ricostruisce un divertente bisticcio che avrebbe potuto verificarsi in un tribunale del 1700, a causa della mancanza di unità di misura  universalmente accettate.

«Durand mi ha  imbrogliato, signor Giudice! Mi ha venduto un terreno di un acro (cioè un quadrato con il lato di 90 passi) e poi mi ha consegnato un quadrato con il  lato di 65 passi!» - urlava Dupont.

«No, signor Giudice! Gli ho venduto un arpent de Paris, perché io sono parigino e l’arpent ha un lato di 65 passi»- replicava Durant.

Il Giudice, alla fine sentenziò in questo modo:« [] l’accordo fra  le parti è impossibile. Quindi l’area del terreno dovrà essere di 1 jugero militare d’ordinanza, cioè intermedia  fra l’acro di Normandia e  l’arpent de Paris

Sempre per dare un’idea della confusione esistente in materia di misure, le stoffe si compravano ad aune, un'antica misura corrispondente a circa un metro e 20 centimetri, ma già solo a Parigi c'erano tre diverse aune, per misurare i diversi tipi di stoffa e, per complicare ulteriormente le cose, c'erano aune più lunghe per comprare all'ingrosso, più corte per la vendita al dettaglio. Gli speziali usavano la libbra come unità di peso, ma la libbra dei fornai era più leggera di quella dei commercianti di ferramenta. Il sale si vendeva al moggio ([1]) la calce al poinçon, il gesso a sacchi, i minerali alla raziera, l'avena a profenda, corrispondente alla razione giornaliera di biada (o altro cibo) per gli animali di stalla

La ricostruzione della storia delle unità di misura ci riporterebbe molto indietro nel tempo.

Le prime unità di misura codificate di cui si ha testimonianza risalgono al 5000 a.C. riguardavano le misure di lunghezza, di peso e di capacità. Esse erano strettamente legate all’attività allora prevalente, cioè l’agricoltura, e si basavano su campioni, per così dire, a dimensione umana: per la lunghezza le unità erano il pollice, il pugno, il piede, il cubito (la distanza tra il gomito e la punta dell’indice). Tuttavia, la stessa unità di misura non solo differiva tra un Paese e l’altro, ma spesso anche all’interno di una stessa popolazione: per esempio, il cubito per gli egiziani (51 cm) era diverso da quello greco (46 cm) e assai maggiore di quello romano (22 cm).. Lo stesso criterio valeva per il "piede", che per Assiri e Babilonesi misurava 32 cm, mentre per gli Egizi era più lungo (34,9 cm). In realtà, sin dall’antichità esistevano centinaia di unità di misura diverse per la stessa grandezza, e questo rendeva molto complicati gli scambi commerciali e culturali. Nonostante due tentativi di unificazione delle unità (durante l’Impero Romano e quello di Carlo Magno), questa situazione divenne ancora più confusa dal Medioevo in poi; La situazione in Italia, suddivisa com’era in una miriade di comuni, repubbliche, signorie, staterelli vari, le unità di misura erano tanto numerose e diverse come gli …. ideogrammi della scrittura cinese! Se in Piemonte, ad esempio, per le misure itinerarie si usava il miglio che valeva 2467 metri, in Lombardia il miglio, corrispondente a 3000 braccia, valeva 1785 metri. Il caos aumentava passando in Veneto dove, ad esempio, per misurare capacità e volumi di merce secca, si usava il moggio veneto (333,3 litri), mentre i liquidi avevano come unità di misura il mastello (75,12 litri); in Piemonte invece i volumi di merce secca venivano espressi in sacchi (115,3 litri) e i liquidi in pinte. La cosa diventava addirittura ingovernabile scendendo lungo la Penisola: pertiche, tornature, carri, quartaroli, corbe da grano o da vino, boccali, imbuti, some e fiaschi erano solo alcune delle unità che si trovavano spostandosi dalla pianura Padana verso la Sicilia. 

Pertanto, all’inizio del 1700, in Europa, ogni Paese, e addirittura ogni regione, adottava proprie unità di misura. Per rimanere in Italia, le superfici agrarie venivano misurate in "ettari" e "ordini" a Bari, in "tomolate" a Cosenza, in "tavole" a Perugina, in "campi" e "quartieri" a Padova. E, spesso, perfino in località vicine, con lo stesso nome si indicavano unità di misura diverse: così a Bari l’"aratro" corrispondeva a 3150 metri quadrati, mentre a Modugno (un paese distante pochi chilometri dal capoluogo pugliese) esso valeva 3889 metri quadrati.

E’ facile immaginare quale confusione ne derivasse.

Come già accennato, un primo tentativo di mettere ordine, con scarso successo, era stato compiuto da Carlo Magno il quale aveva fatto distribuire in tutto l'impero campioni del pied du roi, il piede reale, corrispondente alla lunghezza del suo augusto piede. Il momento più favorevole per far accettare un'idea destinata a rivoluzionare le abitudini di tutte le persone, con la creazione di un sistema di misurazione unico e omogeneo arrivò alla fine del ‘700, nel clima della Rivoluzione francese. Nel 1790, Talleyrand presentò all'Assemblea nazionale francese la sua proposta, appoggiata da tutti gli scienziati, di trovare una nuova unità di misura tratta dalla natura, tale da superare gli interessi particolari di ogni nazione e passare, come disse, dall'era dei "due pesi e due misure", simbolo stesso di disuguaglianza, al mondo dell'unità e dell'uguaglianza.

Dal dibattito che ne seguì, emersero tre possibilità:

    prendere come base la lunghezza di un pendolo che battesse esattamente il secondo alla latitudine di 45°

    fare riferimento al quarto di circonferenza dell'equatore terrestre

    riferirsi al quarto di circonferenza del meridiano terrestre.

La prima soluzione venne scartata per le difficoltà di misurare esattamente un secondo e per la variazione dell'intensità della gravità da luogo a luogo.

La seconda per le estreme difficoltà di accesso alle zone equatoriali.

L'Accademia delle Scienze di Parigi alla fine optò per il metro, pari alla decimilionesima parte dell'arco del "meridiano di Parigi", il meridiano terrestre che collega il Polo Nord con l'Equatore, passando vicinissimo a Parigi.

Nel 1792, con la Monarchia al tramonto e all'alba della Rivoluzione, l'Assemblea legislativa incaricò due astronomi, Pierre Méchain (1744-1804) et Jean-Baptiste Delambre (1749-1822), di procedere alla misura di quello che venne battezzato il Meridiano, nella parte che correva tra Dunkerque e Barcellona. I due scienziati, con i loro assistenti, partirono nelle due direzioni opposte, Méchain verso il Sud e Delambre a Nord. Tempo sette mesi, dichiararono fiduciosi, e sarebbero tornati con le misure esatte, necessarie per determinare la lunghezza del metro. Ma i due scienziati non avevano fatto i conti con la Rivoluzione e il loro viaggio in realtà durò sette anni. Divenne un viaggio nella storia, con avventure di ogni genere. Le misurazioni che dovevano eseguire, con il metodo delle "triangolazioni", prevedevano la realizzazione di stazioni di rilevamento, poste in luoghi elevati. Dovettero quindi arrampicarsi su campanili, castelli, torri e, se questi non esistevano, furono costretti a costruire alte piattaforme, sulle quali sistemare i loro delicati strumenti. Dal metro vennero poi derivate le unità di misura di altre grandezze: per esempio, il metro quadrato per le superfici e il metro cubo per i volumi. Anche l’unità di misura delle masse venne legata indirettamente all’unità di lunghezza: si decise, infatti, di definire come massa unitaria (il grammo) quella di un centimetri cubi di acqua pura, alla temperatura di 4 °C. Dal metro e dal grammo furono definiti multipli ( il decametro, l’ettometro, il chilometro per le lunghezze; il decagrammo, l’ettogrammo, il chilogrammo per le masse) e sottomultipli (il decimetro, il centimetro, il millimetro per le lunghezze; il decigrammo, il centigrammo, il milligrammo per le masse). Per poter disporre di campioni concreti delle unità di misura fondamentali, furono costruiti e depositati all’Ufficio di Pesi e Misure di Sèvres (Parigi) un metro e un chilogrammo campione di platino (il metallo più inalterabile allora conosciuto)([2]).

Non tutti sanno che il  metro è stato "inventato" da un eminente scienziato italiano: Tito Livio Burattini (Agordo, 8 marzo 1617 – Vilna, 17 novembre 1681) esimio matematico ed apprezzato cartografo.

Nato da un'antica famiglia della nobiltà rurale, di Tito Livo Burattini non si conoscono bene le vicende legate ai suoi studi giovanili.

Alla fine del 1637 andò in Egitto, ove rimase fino al 1641, svolgendo l'attività di disegnatore e cartografo e in cui studiò e riprodusse i principali monumenti di Eliopoli,  Alessandria ecc.

Dopo un viaggio per l'Europa si stabilì nel 1642 in Polonia. Qui conobbe Stanislaw Pudlowski, un allievo di Galileo (1564-1642), e Girolamo Pinocci, un patrizio di origine italiana, con i quali compì esperimenti ottici e contribuì alla scoperta di irregolarità paragonabili a quelle lunari sulla superficie di Venere.

Raggiunse notevole reputazione anche come costruttore di lenti per microscopi e telescopi, alcune delle quali inviò in dono al cardinale Leopoldo de' Medici (1617-1675).

Nel 1645 pubblicò la Bilancia Sincera che proponeva un perfezionamento della bilancia idrostatica illustrata da Galileo nella Bilancetta.

Nel 1648 progettò una macchina per volare che tuttavia non realizzò. In un'opera del 1675 (Misura universale) propose come unità di misura lineare la lunghezza del pendolo battente il minuto secondo.

La sua realizzazione più interessante rimane però la macchina calcolatrice nota come "macchina di Burattini".Completa di custodia di legno, questa macchina calcolatrice è costituita da una sottile lastra di ottone, che porta, nella parte superiore, 6 dischi numerati da 0 a 9, e, nella parte inferiore, 3 dischi numerati rispettivamente da 9 a 19, da 1 a 12 e da 1 a 7. Il dispositivo presenta una combinazione delle soluzioni adottate nella macchina calcolatrice di Blaise Pascal e dell'idea dei bastoncini di Nepero. Fu donata (si dice) da Tito Livio Burattini a Ferdinando II de' Medici.

Ebbe la stima della regina di Polonia Maria Luigia Gonzaga, che gli affidò incarichi diplomatici per l'Europa. Si sposò con una nobile e ricca polacca divenendo cittadino polacco. Nonostante i gravosi impegni, le sue indagini scientifiche proseguirono: nella città di Vilna fu stampata la sua opera "Misura Universale" nel 1675.

La morte lo colse povero e sofferente il 17 novembre 1681.

Fu lui, comunque, a coniare, nel 1675, sempre nella sua opera "Misura Universale", il termine «metro» (dal greco «misuro») sostenendo la necessità di una misura universale di lunghezza che possa mettere ordine nella babele di unità di misura che spesso variano non soltanto tra le diverse nazioni, ma anche da città a città.

Burattini afferma che il metro «dovrà essere in tutti i luoghi il medesimo, inalterabile e perpetuo fin tanto che durerà il mondo».

Propone inoltre che questo sia pari alla lunghezza del pendolo che batte il secondo. La proposta di Burattini cade nell'oblio e sarà riscoperta dai francesi che fisseranno definitivamente il concetto e il valore del metro nel 1791. «Dunque li pendoli saranno la base dell'opera mia, e da quelli cavarò prima il mio Metro Cattolico, cioè misura universale, che così mi pare di nominarla in lingua Greca, e poi da questa cavarò un Peso Cattolico »

Per finire, una curiosità: quale unità di misura usarono Delambre e Méchain per le loro rilevazioni, visto che il metro non esisteva ancora?

La "tesa del Perù ", un regolo di ferro che si conserva tuttora nel Museo Astronomico dell'Osservatorio di Parigi.

I due scienziati viaggiavano a bordo di due carrozze ramate speciali, con i sedili che si potevano trasformare in un letto a due piazze, le pareti disseminate di nicchie in cui si trovavano termometri, orologi a pendolo, igrometri, compassi, cannocchiali e altri strumenti il cui funzionamento era noto soltanto ai due scienziati.

Inoltre affermavano di voler misurare la Terra, anzi di voler trovare una misura, il metro, che non esisteva nella realtà, ma soltanto nei loro pensieri e questo insospettiva ovviamente gli abitanti delle cittadine in cui si fermavano, procurando parecchi guai. Le loro carte vennero distrutte, furono incarcerati, presi a botte, inseguiti da contadini che, eccitati dal clima rivoluzionario, avrebbero voluto vederli alla ghigliottina.

Nel 1799, dopo tante disavventure, tra guerre e rivoluzioni, i due astronomi consegnarono all'Assemblea i risultati del loro lavoro, in base al quale venne costruito un regolo in platino, della lunghezza prestabilita, denominato successivamente metro legale.

Napoleone dichiarò: "Le conquiste militari vanno e vengono, ma questo lavoro durerà per sempre". Si sbagliava: il nuovo sistema suscitò una profonda diffidenza e Napoleone fu costretto a restituire ai francesi le unità di misura dell'Ancien Régime.

Fu soltanto verso la metà dell'Ottocento che la Francia e via via le altre nazioni, compresa l'Italia, passarono al sistema decimale, ma i vecchi sistemi resistettero per parecchi anni, praticamente per tutto il ventesimo secolo, creando ancora notevoli disagi.

Ne sanno qualcosa gli americani che hanno pagato caro il ritardo nell'adozione del sistema metrico decimale. Solo pochi anni fa (1999), per un errore di calcolo nel passaggio dalle loro misure al sistema metrico decimale, la traiettoria del satellite artificiale Mars Climate Orbiter venne calcolata con un errore fatale.

Il Mars Climate Orbiter venne distrutto quando, invece di posizionarsi ad una altezza di 140-150 km dalla superficie di Marte, si inserì nell'atmosfera marziana ad una altezza di soli 57 km.

La sonda venne sfasciata dagli stress causati dall'attrito presente a quella altezza con l'atmosfera.

Si scoprì che alcuni dati erano stati calcolati a Terra in base all'unità di misura del sistema imperiale (libbra-forza/secondi), e riferiti al team di navigazione che invece si aspettava i dati espressi in unità di misura del Sistema metrico decimale (newton/secondi).

La sonda non era in grado di effettuare conversioni tra le due unità di misura.

La perdita di questo sofisticato satellite, dovuta ad un banale errore di utilizzo delle unità di misura, causò alla NASA un danno di 125 milioni di dollari.

 


([1]) Il termine moggio deriva etimologicamente dal latino módius, che era usato per la misura del grano, ma più spesso come unità di misura della capacità (corrispondeva a ~ 8.666 litri), Dall'epoca romana generalmente la sua misura era cresciuta, insieme con quella del suo principale sottomultiplo (lo staio, dal latino sextarius). A Milano corrispondeva ad esempio a 225,1 litri, a Como a 153,9, a Venezia a 333,27. A Ginevra, il moggio era anticamente chiamato boiseau ed equivaleva a circa 9,9 litri. Nel tempo a questo significato si è sovrapposto quello di superficie necessaria a seminare un moggio di grano e di conseguenza era anche un'unità di misura agraria. Quest'uso non mancava nell'Italia settentrionale (per esempio ad Alessandria si usava il moggio, pari a 8 staia superficiali (circa 4.716 m2). Era però soprattutto al sud, specialmente a Napoli nel Regno delle Due Sicilie, che il moggio era estremamente diffuso come misura agraria. A Napoli corrispondeva a 3.364,86 m2. Variava però da diocesi a diocesi e in alcuni casi cambiava anche da comune a comune. Per esempio, nel dipartimento, poi provincia, di Terra di Lavoro, variava dai 3.387,36 m2 di Caserta ai 3.333 m2 di Teano e Capua, che si divideva in 30 passi, suoi sottomultipli, i quali, a loro volta, si suddividevano in 30 passitielli, loro sottomultipli. Il moggio di Aversa corrispondeva a 4.259 m2 e si divideva in 10 quarte, suoi sottomultipli.

 ([2]) Oggi il metro è definito come la lunghezza del tragitto percorso nel vuoto dalla luce in un intervallo di tempo ari alla frazione 1/299.792.458 di un secondo -

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