4 maggio 2012 - La lingua italiana ha una ricchezza lessicale e fraseologica che in buona parte è dovuta all’uso di eufemismi (dal verbo greco ευφημί,  euphemì, «dire parole bene auguranti»).

Le funzioni fisiologiche, le malattie gravi o vergognose, l’amore, il sesso, la morte, certe parti del corpo, mestieri o attività umili (anche se non riprovevoli) ecc. ci inducono spesso a indicare l’oggetto del nostro discorso con una perifrasi, con un vocabolo allusivo, eludendo termini che giudichiamo "sconvenienti" in quanto lesivi della sensibilità dell’interlocutore.

Ognuno di noi, per i più disparati motivi, quali l’educazione, l’ambiente, la cultura, le circostanze ecc. considera alcune parole dei "tabu" cioè termini il cui impiego è disdicevole perché sconci, indecenti, sgarbati, maleducati, crudi ecc. Questi meccanismi di interdizione sono una specie di "auto-censura" che pratichiamo per evitarci un indubbio disagio, sensazione che può avere cause assai diverse: può derivare dal timore reverenziale (interdizione religiosa) o dal pudore (interdizione sessuale) o dal disgusto fisico (interdizione scatologica) o dalla ripugnanza morale (vizi, difetti) o da un senso di inferiorità sociale (mestieri di bassa levatura).

Per ovvie esigenze di spazio, limiteremo la ricerca soltanto ad alcune esemplificazioni.

Fonte inesauribile di eufemismi sono i giornali.

Ad esempio, nella pagina dei (costosissimi!) annunci mortuari è categoricamente bandito il termine morte. In una sorta di trasfigurazione per cui la morte viene smaterializzata nella prospettiva di una vita ultraterrena, essa diventa trapasso, dipartita, decesso, perdita, scomparsa ecc. In questo contesto, la malattia del defunto (il caro estinto o il compianto) diventa il morbo fatale. Un tempo il mal sottile era una circonlocuzione con cui si definiva la tubercolosi (detta anche tbc), malattia tornata a diffondersi negli ultimi anni. Oggigiorno la patologia più temuta è il cancro, ormai per eccellenza il brutto male. Il sinonimo tumore, che significa "gonfiore" (dal lat. tumere essere gonfio) è, invece, meno interdetto. Per il cancro le normali perifrasi usate sono del tipo il male inesorabile, terribile, crudele, che non perdona, implacabile, spietato …

Altre forme di eufemismo riguardano le cosiddette malattie sessuali, che colpiscono cioè gli organi da sempre circondati da un senso di vergogna misto a pudore. Nella stampa queste malattie vanno generalmente sotto il mitico nome di veneree; fra queste quella cui si allude come una vergognosa malattia è la lue (dal latino lues, pestilenza) detta comunemente sifilide, termine di origine dotta. Sifilide, infatti, deriva dal nome del pastore Syphilus, personaggio del poemetto del medico veronese Girolamo Fracastoro (1478-1553)[1] Syphilus sive de morbo gallico, da cui le perifrasi morbo gallico, mal francese, malattia celtica.

A proposito delle malattie, alcune sono eufemisticamente chiamate con il nome di un santo.

È noto che, a differenza del mondo islamico, in quello cristiano la medicina fu a lungo riservata ai religiosi, i quali ricoveravano gli ammalati in appositi ospizi e somministravano i loro farmaci con riti e preghiere. Sappiamo inoltre che, secondo la tradizione astrologica classica, ogni parte del corpo umano sarebbe stata ricollegabile ad un segno zodiacale: dal primo segno, l’Ariete, che simboleggia la testa, sino all’ultimo, i Pesci, che simboleggiano i piedi. Esistevano poi peculiari collegamenti tra i segni dello zodiaco e i pianeti, che indicavano le cause e le nature delle varie malattie. Fu così che, grazie alla medicina praticata dai monaci, i segni dello Zodiaco, che nella tradizione presiedevano ai vari organi, vennero spodestati dalla protezione di santi: San Biagio per la gola, Santa Apollonia per i denti, Santa Lucia per la vista, ecc. Ulteriormente, forse per riceverne riparo e rimedio, alcune malattie furono connotate con il nome di un santo. È questo, ad esempio, il caso del ballo di San Vito (còrea, dal greco corea, danza, patologia con gravi disturbi cognitivi e comportamentali) o del fuoco di Sant'Antonio (Herpes Zoster, ossia il serpente di fuoco, patologia a carico della cute causata dal virus della varicella infantile).

Magari ci fosse anche un santo per proteggerci dai tanti eufemismi che, purtroppo, scolorano la nostra lingua! ("Dio, gigantesco eufemismo" scriveva Gesualdo Bufalino, 1920–1996).

Egar Quinet (1803-1875) diceva (a metà ´800): « [..] questo è un mondo che ha messo le parole al posto delle cose». Si sbagliava. Oggi si pensa che le parole possano cambiare la realtà delle cose. È l’orgia dell’eufemismo.

Chiamare un cieco "non vedente" e "meno abbiente" un povero o "diversamente abile" un disabile o, ancora, "audioleso" un sordo, cosa cambia in realtà? Un morto resta morto anche se lo chiamassimo "diversamente vivo"!

Purtroppo gli unspeakeable, che in epoca vittoriana attenevano agli organi sessuali e agli indumenti ad essi … vicini (mutande, calzoni ..) oggi riguardano i difetti fisici e le disuguaglianze sociali, valgano ad esempio i cosiddetti "minorati psichici" e i "Paesi in via di sviluppo".

Spacciare tutte queste denominazioni per riguardosa delicatezza, è una colossale menzogna.

Il linguaggio della politica, quanto ad eufemismi, meriterebbe una trattazione a parte.

Se non si ha il coraggio di dire pane al pane e cieco al cieco, è naturale che la disoccupazione sia chiamata "manodopera disponibile", e che i milioni di euro gettati nel colabrodo della spesa pubblica siano spacciati per "ricapitalizzazione progettuale", cullando noi cittadini nell’illusione di vivere ancora in un Paese … capitalista.

Aveva ragione Longanesi quando affermava che da noi le rivoluzioni sono soltanto lessicali. Che cosa fa la società odierna per le persone inabili al lavoro? Poco o nulla. Però sono stati chiamati "portatori di handicap", locuzione gelidamente burocratica con cui si è messa a tacere la coscienza civile. L’Italia, a questo riguardo, è il Paese del socialismo verbale. Non potendo migliorare le condizioni economiche di alcune categorie, si è nobilitate quelle lessicali. Il bidello (dal franc. ant. bedel, usciere) ha cambiato qualifica: "operatore scolastico non docente". Il rappresentante di medicinali è stato elevato al grado di "informatore scientifico", titolo gratificante che lo presenta come un seguace di Einstein, momentaneamente rassegnato a propagandare sciroppi. Lo spazzino (detto anche netturbino) è diventato "operatore ecologico", l’infermiere "paramedico", la domestica "collaboratrice famigliare (=COLF)", il secondino "agente di custodia". E così via.

Soltanto l’arbitro delle partite di calcio non benefica di questa colata di vaselina: non si è mai sentito alcun tifoso apostrofarlo dalle gradinate come "figlio di una operatrice sessuale"!


[1] A Verona, in piazza dei Signori, c’è una sua statua, in cui è raffigurato con in mano il globo terrestre, ribattezzato dal popolino come la bala de Fracastoro. (bala = palla). Dalla piazza si accedeva al tribunale e ai palazzi del potere di quel tempo. La bala è legata ad una profezia: "Cadrà sulla testa del primo galantuomo che passerà sotto". Finora non è mai successo!

 

(claudio bosio / puntodincontro)

 

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4 de mayo de 2012. - La lengua italiana tiene un vocabulario muy extenso y una gran variedad fraseológica, en buena parte debido al uso de eufemismos (del verbo griego ευφημί, euphemì, es decir: "pronunciar palabras de buena suerte").

Las funciones fisiológicas, las enfermedades graves o penosas, el amor, el sexo, la muerte, ciertas partes del cuerpo, ocupaciones o actividades humildes (aunque perfectamente legales), etc. a menudo nos llevan a indicar el objeto de nuestra exposición con una paráfrasis, con una palabra sugerente, evitando términos que consideramos "inapropiados" ya que son considerados perjudiciales para la sensibilidad del interlocutor.

Cada uno de nosotros, por muchas razones diferentes, tales como la educación, el medio ambiente, la cultura, las circunstancias, etc. considera que algunas palabras son "tabú", es decir, son términos cuyo uso es desaconsejado en cuanto obsceno, grosero, crudo, etc. Estos mecanismos de interdicción son una especie de "autocensura" que usamos para evitarnos malestares, y constituyen la expresión de sentimientos que pueden tener causas muy diferentes: el "temor de Diós" (prohibición religiosa), la vergüenza (prohibición sexual), el rechazo físico (prohibición escatológica), la repugnancia moral (vicios, defectos) o un sentimiento de inferioridad social (oficios humildes).

Por obvias razones de espacio, limitaremos nuestra búsqueda a sólo unos pocos ejemplos.

Los periódicos son una fuente inagotable de eufemismos.

Por ejemplo, en la página de los (costosísimos) obituarios, está categóricamente prohibida la palabra "muerte". En una especie de transfiguración en la que la muerte se desmaterializa en la perspectiva de una vida futura, ella se convierte en fallecimiento, pérdida, partida, etc. En este contexto, la enfermedad del difunto se convierte en el "fatal padecimiento". Una vez el "mal sutil" era una perífrasis con la que la gente se refería a la tuberculosis (también conocida como TBC), enfermedad que ha vuelto a extenderse en los últimos años. Hoy en día, el padecimiento más temido es el cáncer, ya conocido como "la enfermedad" (después de una larga enfermedad ...). El sinónimo "tumor", que significa "inflamación" (del latín "tumere", o sea, inflar) es, en cambio, menos rechazado. Para el cáncer las perífrasis más utilizadas son "mal terrible, implacable, cruel, despiadado", etc.

Otras formas de eufemismo se refieren a las llamadas enfermedades sexuales, que afectan a los órganos que desde siempre han sido rodeados por un sentimiento de vergüenza mezclado con pudor. En la prensa estas enfermedades se identifican por lo general bajo el legendario nombre de "venéreas" y —entre éstas— se hace describe como una enfermedad vergonzosa la lúes (del latín lues, pestilencia), comúnmente conocida como sífilis, un término de origen culto. Sífilis, de hecho, deriva del nombre del pastor Syphilus, personaje del poema del médico Veronés Jerónimo Fracastoro (1478-1553) [2] "Syphilus sive de morbo galico", del cual se derivan las paráfrasis mal francés y enfermedad celta.

Hablando de enfermedades, algunas de ellas llevan, eufemísticamente, el nombre de un santo.

Se sabe que, a diferencia de lo que sucedía en el mundo islámico, la medicina cristiana fue reservada durante mucho tiempo a los religiosos, que internaban a sus pacientes en centros de cuidados paliativos donde les suministraban medicamentos entre ritos y oraciones.

También sabemos que, según la tradición astrológica clásica, todas las partes del cuerpo humano podían relacionarse con un signo zodiacal: desde el primer signo, Aries, que simboliza la cabeza, hasta el último, Piscis, que simboliza los pies. Asimismo, existían conexiones peculiares entre los signos del zodíaco y los planetas, que indicaban las causas y la naturaleza de las diferentes enfermedades.

Y así, gracias a la medicina practicada por los monjes, los signos del Zodíaco, que según la tradición controlaban los diversos órganos, fueron reemplazados por la protección de los santos: San Blas para la garganta, Santa Apolonia para los dientes y las muelas, Santa Lucía para la vista, etc.

Además, tal vez para facilitar la obtención de la cura, algunas enfermedades fueron directamente identificadas con el nombre de un santo. Este es, por ejemplo, el caso de la danza de San Vito (corea, de la misma palabra griega que significa danza, una patología caracterizada por severos déficits cognitivos y de comportamiento) o el fuego de San Antonio (Herpes Zoster, enfermedad de la piel provocada por el virus de la varicela).

¡Ojalá y también hubiese un santo para protegernos de tantos eufemismos que, por desgracia, desvirtúan nuestro idioma! ("Dios, gigantesco eufemismo", escribió Gesualdo Bufalino, 1920-1996).

Egar Quinet (1803-1875) dijo (a mediados del siglo XIX): «[..] este es un mundo que ha puesto palabras en lugar de las cosas». Estaba equivocado. Hoy pensamos que las palabras pueden cambiar la realidad de las cosas. Es una orgía de eufemismo.

Utilizar el término "invidente" para describir a un ciego y "económicamente desventajado" para un pobre o "persona con capacidades diferentes" para un discapacitado, o incluso "discapacitado auditivo" para un sordo ¿qué cambios provoca, en realidad? Un hombre muerto está muerto, aunque lo llamemos "diferentemente vivo" ¿O no?

Desafortunadamente las palabras que no deben ser pronunciadas, que en la época victoriana se limitaban a los órganos sexuales y a las prendas de vestir que se encontraban cerca de ellos (calzones, pantaletas, etc.) ahora incluyen defectos físicos y desigualdades sociales como, por ejemplo, los llamados "débiles mentales" y los "países en vías de desarrollo".

Tratar de "vender" todos estos términos como ejemplo de consideración y respeto, es una colosal mentira.

El lenguaje de la política, en lo que se refiere a los eufemismos, merece una discusión aparte.

Si no se tiene el valor de llamar a las cosas por su nombre, es natural que el desempleo sea definido como "mano de obra disponible", y que los millones de pesos tirados a la basura en proyectos improductivos de gasto público se hagan pasar como "recapitalización programable", tratando de convencernos de que seguimos viviendo en un país ... capitalista.

Longanesi tenía razón cuando decía que aquí las revoluciones se limitan al léxico. ¿Qué hace la sociedad de hoy en día para las personas que no pueden trabajar? Poco o nada. Sin embargo, ya se les llama "diferentemente hábiles", término que denota una gran frialdad burocrática que ha silenciado la conciencia civil. Italia, en este sentido, es el país del socialismo verbal. No siendo capaz de mejorar las condiciones económicas para determinadas categorías, las ennoblecimos con terminología nueva.

El intendente de las escuelas ("bidello" en italiano, del francés antiguo bedel, conserje) cambió de nombre: "operador escolar no docente". El representante de los medicamentos ha sido elevado al rango de "informador científico", título gratificante que lo presenta como un discípulo de Einstein, de manera temporal dedicado a la distribución de jarabes para la tos.

 

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[2] En Verona, en la Piazza dei Signori, hay una estatua, que lo representa con un globo terráqueo, rebautizado por el pueblo como la bala de Fracastoro (bala = pelota). Desde la plaza se entraba a la los tribunales y a los palacios de los gobernantes de la época. La bala está relacionada con una profecía: "Va a caer sobre la cabeza del primer caballero que pase por debajo de ella". Hasta el momento no ha ocurrido.

 

(claudio bosio / puntodincontro)

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de Claudio Bosio,