16 marzo 2012 - Nella storia della nostra lingua, si possono annoverare parecchie parole nate per sbaglio.

Per lo più, si tratta di storpiature lessicali che generano vocaboli bislacchi e, spesso, dalla storia divertente.

L’italiano, è risaputo, è una lingua giovane. Molto più giovane dell’Italia, come nazione. Nel 1861, anno dell’unificazione risorgimentale, 150 anni fa, i nostri compatrioti non parlavano certo una lingua comune. Anzi, facevano un’estrema fatica ad intendersi. La situazione dal punto di vista linguistico era tragica: l'italiano era in effetti appannaggio di una élite esigua e disparata, composta in genere da colti e letterati. La restante popolazione continuava ad utilizzare le diverse forme dialettali proprie delle differenti zone della penisola.

 

Francesco Hayez. Ritratto di Alessandro Manzoni. Olio su tela, 1841. (dettaglio)

 

Basti pensare che Cavour, di preferenza, si esprimeva in francese e così pure il re Vittorio Emanuele, quando proprio non poteva fare a meno di parlare in piemontese. Lo stesso Alessandro Manzoni, autore dei "Promessi sposi", considerato il primo romanzo in italiano della nostra letteratura, conversava in francese o in milanese. Tant’è che, dopo la prima stesura del romanzo, intriso di francesismi, lombardismi e toscano "colto", capì che era meglio dargli una "sciacquata in Arno".

È assodato che, all'indomani dell'unificazione, la percentuale degli italofoni si aggirava intorno al 2,5% su 25milioni di abitanti. (Gli analfabeti erano 19 milioni circa, cioè il 78%!). C’era, nel migliore dei casi, una competenza passiva dell'italiano, ovvero la capacità di comprendere abbastanza bene la lingua senza però saperla parlare.

 

La cerimonia di apertura del Concilio Vaticano II.

 

Era già successo con il latino, la lingua delle funzioni ecclesiastiche.

Fin dopo il Concilio Vaticano II (1962-65) i credenti-praticanti biascicavano le loro preghiere senza conoscere il significato delle parole che pronunciavano. Successe così che la frase evangelica "in diebus illis" (in quel tempo..) sia stata recepita come "indie busillis". Questo termine strampalato, busillis, è giunto sino a noi, che lo intendiamo come difficoltà, situazione problematica. Secondo la tradizione, un amanuense che stava ricopiando il passo evangelico, chiese aiuto a Giovanni di Cornovaglia circa il significato del termine "busillis", termine che gli era ignoto. Per quanto ne avesse storpiata la grafia, detto amanuense aveva così tradotto la frase di cui sopra: "in India c'era abbondanza di grandi busillis". Ma cosa significava busillis? Il povero scrivano poteva facilmente incorrere in questo genere di errori: l'uso di lasciare uno spazio tra le parole è un'acquisizione recente. Non tutte le lingue lo fanno: il cinese ed il giapponese moderni, ad esempio, scrivono i loro testi senza nessuna interruzione. Un’altra comune locuzione è "andare in visibilio", che significa entusiasmarsi oltre misura. In questo caso la storpiatura è relativa alla frase del “Credo”: ... Credo in unum Deum […] factorem caeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium … Per la gente che andava in chiesa, il latino era una lingua straniera, come per noi può esserlo l’arabo piuttosto che il norvegese. Il termine invisibilium venne, chissà perché, tagliato in due, (diventando in visibilio) dove visibilio era sentito come "gran numero di meraviglie".

Da questa difficile situazione socio-culturale, nacque tutta una serie di parole storpiate, travisate perché l’uditore era incapace di scriverle.

Svisare la grafia di parole, non era comunque un fatto pertinente solo alle classi inferiori. Ad esempio, si vuole che, dopo l’annessione all’Italia, ai funzionari governativi che chiedevano alla gente del posto il nome del paese dove erano stati dislocati (l’attuale Vipiteno) veniva risposto, in tedesco, "wie bitte?", come dite, per favore? Ovvio che il paese, che si chiamava Sterzing (attestato come Sterzengum dal 1180, deriv. dal nome di persona germanico Starzo, col significato quindi di "terreno di Starzo") venisse ribattezzato Vipiteno.

 

Vipiteno in fiore.

 

Altro fraintendimento toponomastico. Il cosiddetto Golfo degli Aranci, amena località sarda, non ha nulla a che vedere con le arance. La terminologia deriva dal dialetto locale, "gulfu de li ranci", cioè golfo dei gamberi. Una cosa decisamente diversa, non c’è che dire!

 

Una spiaggia nel Golfo degli Aranci.

 

E la parola "ufo", (da non fraintendere con il termine fantascientifico UFO)?

Si tratta di un acronimo trasformato in parola del parlar corrente. L'espressione "a ufo", con le varianti a buffo, a ufa ecc., ha ormai acquisito il significato di "a sbafo", "senza pagare". L'espressione deriva dalla locuzione latina ad usum fabricae (ovvero: destinato ad essere utilizzato nella fabbrica), abbreviato in AUF. L'espressione latina veniva usata per contrassegnare i beni esentati da ogni dazio, perché, destinati ad opere della Chiesa cattolica. Molti sono i casi che hanno fatto la … fortuna di quest'espressione: uno è quello del Duomo di Milano, i cui blocchi, provenienti dalla Val d'Ossola via fiume, recavano appunto la scritta AUF. Un caso omologo è relativo alla costruzione della cattedrale di Santa Maria del Fiore (Duomo di Firenze). Il materiale proveniente da varie zone della Toscana era marcato "A U.F.O.", che significava appunto "Ad usum Florentinae Operae" e quindi esente da tasse.

Sempre per restare nell’ambito delle deformazioni lessicali, per così dire, altolocate, si può citare ad esempio il termine "zenit", di origine araba (samt = via, cammino). È una parola nata per sbaglio, in quanto la grafia di samt venne let­ta come sanit, avendo fatto confusione tra le astic­ciuole delle lettere m, n, i, per cui m venne scisso in n + i).

Un’altra parola nata per sbaglio, è "mignotta", appellativo che il popolino romano affibiò a quelle signore che esercitano la professione (dicono!) più vecchia del mondo. Lo sbaglio sta nel fatto che il mestiere di queste donne era un altro. In effetti pare fossero chiamate mignotte le prosperose portoghesi della regione del Minho, che le famiglie benestanti chiamavano a Roma per esercitare il mestiere di bàlie. (Le malelingue asserivano che dette bàlie si rendevano talora disponibili … in altro modo!). Diversa e più seriosa è un’altra interpretazione di mignotta, secondo la quale l'origine del vocabolo risalirebbe ad una lettura sintetica dell'annotazione matris ignotae apposta sui registri anagrafici nei riguardi di neonati abbandonati: la nota aggiunta era anche frequentemente abbreviata in m. ignotae il che, letto in un'unica parola, portò ad indicare un certo tipo di donna disonorevole. Ai piccoli veniva posto al braccio un braccialetto di stoffa con la dicitura filius m. ignotae che letto di seguito risultava filius mignotae, da cui deriverebbe il termine romanesco fijo de mignotta (appunto, figlio di madre ignota), poi reso nella lingua italiana con figlio di mignotta.

 

Campi di tulipani.

 

Un caso di confusione fra due parole è invece quello di tulipano.

La pianta fu introdotta in Europa da un gentiluomo della Fiandra francese, Ogier-Ghislain de Busbecq, che nella seconda metà del Cinquecento era stato ambasciatore presso Solimano il Magnifico. In una sua relazione, parlando di questa pianta, disse che i Turchi la chiamavano tulipan, mentre in turco il tulipano si chiama Iàle, e con la parola tiilbent si indicava quel copricapo che era già entrato da noi col nome di turbante.

Come l'equivoco sia sorto non è dato di sapere, ma la parola si è comunque conservata col significato errato nelle lingue europee.

 

(claudio bosio / puntodincontro)

 

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16 de marzo de 2012. - En la historia de nuestra lengua, podemos identificar muchas palabras que nacieron por accidente.

En su mayor parte, se trata de distorsiones del léxico que generan vocablos extraños y, a menudo, a partir de un relato divertido.

El italiano, se sabe, es una lengua joven. Mucho más joven que Italia como una nación. En 1861, año de la unificación provocada por el Resurgimiento, hace 150 años, nuestros compatriotas no hablan en absoluto un lenguaje común. De hecho, les costaba mucho trabajo entenderse. La situación desde el punto de vista de la lengua era trágica: el italiano, de hecho, se circunscribía a una pequeña élite poco homogénea, por lo general compuesta por personas educadas y cultas. El resto de la población seguía utilizando las diversas formas dialectales propias de las diferentes zonas de la península.

Baste decir que Cavour, de preferencia, se expresaba en francés al igual que el rey Vittorio Emanuele, cuando en verdad le era imposible hablar en dialecto piamontés. El mismo Alessandro Manzoni, autor de "Los novios", considerada la primera novela en idioma italiano en nuestra literatura, conversaba en Francés o en Milanés. Tan es así que después del primer borrador de la novela, lleno de términos afrancesados, lombardos y expresiones típicas del ambiente "culto" de la Toscana, se dio cuenta de que era mejor darle una "enjuagada en el río Arno".

Es indiscutible que, inmediatamente después de la unificación, la proporción de italoparlantes se encontraba alrededor del 2.5% entre 25 millones de personas. (Los analfabetos eran aproximadamente 19 millones, es decir un 78%!). Había, en el mejor de los casos, una familiaridad pasiva con respecto a la lengua italiana, o sea, la capacidad de comprenderla lo suficientemente bien sin poderla hablar.

Ya había pasado con el latín, el idioma de las funciones eclesiásticas.

Hasta el Concilio Vaticano II (1962-1965), los creyentes-observantes repetían sus oraciones sin conocer el significado de las palabras que pronunciaban. Sucedió así que la frase del Evangelio "en diebus illis» (en aquellos días ..) fue interpretada como "indie busillis". Este término extraño, "busillis", ha llegado hasta nosotros, que hoy lo entendemos con el significado de dificultad, situación problemática. Según la tradición, un escriba que estaba copiando ese pasaje del Evangelio, buscó la ayuda de Juan de Cornualles con el significado del término "busillis", una palabra que desconocía. Aun habiendo destrozado la ortografía original, el escribano había traducido así la frase anterior: "En la India había abundancia de grandes busillis". Pero ... ¿Qué significaba "busillis"? El pobre empleado podía fácilmente cometer este tipo de errores: el uso de dejar un espacio entre las palabras es de reciente adquisición. No todos los idiomas lo hacen: el Chino y el Japonés modernos, por ejemplo, escriben sus textos sin ninguna interrupción.

Otra frase común es "andare in visibilio", que significa emocionarse más allá de los límites. En este caso, la distorsión se relaciona con la frase del "Credo" católico: Credo in unum Deum […] factorem caeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium … Para la gente que iba a la iglesia, el latín era una lengua extranjera, como lo puede ser para nosotros el Árabe o el Noruego. El término invisibilium, por alguna razón, fue cortado en dos, (convirtiéndose en "in visibilium"), donde "visibilium" terminó adquiriendo el significado de "gran número de maravillas".

A partir de este difícil situación socio-cultural, nació toda una serie de palabras mutiladas y deformadas, porque el oyente no podía escribirlas.

Modificar la ortografía de las palabras, sin embargo, no era una cuestión que sólo tenía que ver con las clases más bajas. Por ejemplo, se cuenta que después de la anexión a Italia de la parte meridional del Tirol, los funcionarios del gobierno que preguntaban a los lugareños el nombre del poblado en donde se encontraban (la actual Vipiteno) recibian respuesta en alemán, "wie bitte?" (¿Como dice, por favor?) Obviamente el poblado, llamado originalmente Sterzing (Sterzengum desde 1180, a su vez derivado del nombre propio germánico Starzo, que significaba por lo tanto "tierra de Starzo") pasó a llamarse Vipiteno.

Otro malentendido toponímico: El llamado Golfo degli Aranci (Golfo de las Naranjas), encantador centro turístico localizado en la isla de Cerdeña, no tiene nada que ver con las naranjas. La terminología proviene del dialecto local "gulfu de li ranci", o sea, golfo de los camarones. Algo muy diferente, ¡No hay duda!

¿Y la palabra "ufo"? (que no debeser confundida con el término de ciencia ficción OVNI)

Se trata de un acrónimo transformado en una palabra del lenguaje actual. La expresión "a ufo", con sus variantes "a buffo", "a ufa", ecc., ha adquirido el significado de "de gorra", "sin pagar". El término deriva de la frase en latín "ad usum fabricae" (es decir: para su uso en la fábrica), abreviado AUF. El término latino se utilizaba para marcar los productos exentos de derechos de importación, ya que se empleaban en obras de la Iglesia Católica. Muchos son los motivos por los cuales esta expresión se ha vuelto tan popular: uno deellos se encuentra en el Duomo de Milán, cuyos bloques, originarios de la Val d'Ossola y transportados utilizando el río, llevaban precisamente la inscripción AUF. Una caso similar es el de la construcción de la Catedral de Santa María del Fiore (el "Duomo" de Florencia). El material, proveniente de diversas zonas de Toscana, fue calificado y marcado con las iniciales "A U.F.O.", que significaba precisamente "Ad usum Florentinae Operae" y por lo tanto exento de impuestos.

Otra palabra creada por error es "mignotta" (en italiano se pronuncia miñotta y significa puta) el nombre que la gente de la ciudad de Roma utiliza para describir aquellas damas que practican la profesión (dicen) más antigua del mundo. El error radica en el hecho de que el trabajo de estas mujeres era otro. De hecho, parece que se les llamaba "mignotta" a las prósperas mujeres portuguesas de la región de Minho, que eran contratadas por las familias ricas de Roma como niñeras. (Las malas lenguas afirman que estas niñeras a veces son ponían a disposición ... ¡de otra manera!). Diferente y más seria es otra interpretación de mignotta, según la cual el origen de la palabra se remonta a una lectura sintética de la anotación "Matris ignotae" que se incluía en el acta de nacimiento de los bebés abandonados: la nota con frecuencia se abreviaba como m. ignotae que, leído en una palabra, se empezó a utilizar para indicar cierto tipo de mujer deshonrosa. A los bebés se les colocaba una pulsera de tela con las palabras filius m. ignotae que se convirtió rápidamente en filius mignotae, expresión de la cual parece derivar el término dialectal romano "fijo de mignotta" (de hecho, hijo de madre desconocida), traducido más tarde al italiano como "figlio di mignotta" (hijo de puta).

Por otro lado, un caso de confusión entre dos palabras es el de "tulipán".

La planta fue introducida en Europa por un caballero francés de Flandes, Ogier-Ghislain de Busbecq, que en la segunda mitad del siglo XVI había sido embajador ante Solimán el Magnífico. En uno de sus informes, al hablar de esta planta, dijo que los turcos la llaman tulipán, mientras que en turco el tulipán es llamado Iàle, y con la palabra tiilbent se indicaba aquel sombrero que ya había sido conocido entre nosotros con el nombre de turbante.

No se sabe de qué manera se originó el malentendido, pero la palabra se conservó con el significado equivocado en las lenguas europeas.

 

(claudio bosio / puntodincontro)

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de Claudio Bosio,