17 gennaio 2012 - Al risveglio mattutino, quasi tutti noi passiamo dei momenti durante i quali non connettiamo affatto. Sembriamo degli zombi, quei cadaveri vagolanti, rianimati da magici rituali antillani.

Non c’è dubbio: dovremmo ri-infilarci sotto la doccia. Possibilmente raggelante.

Ma perché poi? Troppo sgradevole svegliarci del tutto!

Certo non abbiamo ancora trangugiato l’abituale caffè, caldo e forte. Rianimante.

Fatto sta che ci vestiamo come fossimo automi.

Eppure, a pensarci bene, gli indumenti, che ci apprestiamo a indossare, meriterebbero una maggior attenzione da parte nostra.

Per esempio, conosciamo il nome di ogni capo del nostro abbigliamento, ma, è assai probabile, non ci siamo mai chiesti perché li chiamiamo così.

Che i calzini siano un diminutivo di calza (dal lat medievale calcea) e che invece calzoni siano un accrescitivo dello stesso termine, è intuitivo. Ma perché chiamiamo questi ultimi, anche pantaloni? E le bretelle perché hanno questo nome?

Pensiamoci un po’ su, mentre ci vestiamo. Magari, facendo così, qualche neurone del nostro cervello, tuttora insonnolito, potrebbe rianimarsi e mettersi a funzionare.  

Tanto per cominciare, il pigiama. Dovrebbe ricordarci l’abbigliamento delle danzatrici indiane: a parte le sciarpe ed i veli drappeggianti, queste mitiche ballerine indossavano pantaloni assai ampi, stretti alle caviglie. Questi calzoni erano detti pae-jamma (alla lettera "veste" jiamma e "gamba", pae) nel senso di "veste che copre la gamba". L’uso notturno del pigiama (completato da una leggera giacchettina) è un retaggio del colonialismo inglese.

Anche le ciabatte che, sonnacchiosi come siamo, strascichiamo sul pavimento, hanno un’origine straniera: provengono dal persiano ciãbat, calzatura.  

È quasi inutile soffermarci sull’etimologia della canottiera: deriva dal francese, canotte, ed era la camicia senza maniche usata dai canottieri. Lo stesso si dica per le mutande, di ovvia derivazione latina, "mutanda = cose da mutare, da cambiare". Più interessante l’etimo di slip (moderno sinonimo di mutanda) dal verbo inglese to slip, scivolare, far scorrere, nel senso derivato di indossabile con facilità.

Le mutande, però, hanno una loro storia, forse non del tutto nota.

Intanto si può dire che, per secoli, esse furono esclusivamente un indumento (dal lat. induere, inviluppare) maschile. Oh Dio, a meno che non si voglia considerare una … mutandina, la medievale cintura di castità. Si trattava di un marchingegno in ferro, che cingeva la vita proprio come una cintura, mentre due capi, che partivano dal centro davanti e dal centro dietro, venivano uniti tra le gambe e chiusi a chiave; Le funzioni biologiche potevano aver luogo grazie ad una serie di fori, idonei alla bisogna. I mariti potevano partirsene per le Crociate sicuri che le loro mogli, così imbrigliate, non potevano certo concedersi alcun dolce godimento.

I grandi della storia, in primis Gesù e tanti altri, tipo Alessandro il Grande, Giulio Cesare, nobili matrone e vetusti senatori, Papi e Re, non portavano mutande. A Roma, soltanto ballerine e atleti, che, volenti o nolenti, si trovavano spesso ad esibire le parti intime durante le loro esibizioni, indossavano il subligaculum, termine composito da sub (sotto) ligo (lego, cingo) e culum (quella parte anatomica che, secondo il sublime d’Annunzio, "… così dolce s’arrotonda, dove s’inserta l’arco delle reni"). Si trattava di un pezzo di lino allacciato intorno alla vita e passato in mezzo alle cosce. Anche i Longobardi portavano una specie di lunghi mutandoni: i femoralia. Nel Medioevo, le nobildonne (ma non tutte) indossavano le sarabullias, simili agli odierni slip, che però sfoggiavano (in privato!) solo per le festività. Le mutande entrarono a far parte dell’usuale biancheria femminile nel tardo '700. Il modello prevalente era formato da larghe brache tubolari, lunghe fino alle caviglie. Le si chiamava tubi della decenza. In Inghilterra, sotto il regno della regina Vittoria (1837-1901) tradizionalista e intransigente, indossare le mutande era considerato altamente licenzioso. Il moralismo anti-mutande raggiunse livelli inauditi: si arrivò persino a fasciare con metri di stoffa le "gambe" dei tavoli, per non lasciarle indecentemente scoperte. Sempre all’epoca vittoriana, per altro, una signora "perbene" si sarebbe rifiutata di dormire in una stanza con il ritratto di un uomo appeso alla parete. Jean Luis Auguste Commerson (1802-1879), celebre per i suoi salaci aforismi, così si esprimeva in materia: Diffido sempre delle donne che portano i mutandoni: è il pudore con una bandiera.

E i pantaloni? Anche su questi si può imbastire una bella storia. Strana parola i pantaloni: nata in Italia, esportata in Francia e da noi ripresa al posto degli italianissimi "calzoni". I Francesi, attorno al 1650, chiamavano pantalons l’indumento piuttosto insolito indossato dal vecchio, ricco e avaro Pantalon de' Bisognosi, celebre maschera veneziana della Commedia dell’Arte. Infatti questo personaggio portava brache (dal celtico braka) larghe e lunghe sino alla caviglia, un ridicolo eccesso rispetto alla moda dell’epoca che imponeva calzoni stretti e serrati al ginocchio sopra le calze di seta. Con la Rivoluzione del 1789, il calzone corto e stretto, proprio delle classi elevate, fu soppresso. I Giacobini, i rivoluzionari più fanatici, presero a vestire alla Pantalon, indossando cioè brache simili a quelle della maschera. Il curioso è che il termine così francesizzato rivalicò le Alpi assieme a tanti altri termini della moda e i pantaloni si affiancarono nell’uso verbale ai nostrani calzoni. (Attenzione: per i nostri Cugini d’Oltralpe caleçon significa mutande). Ma interessante è anche il significato originario di "Pantalone". Il nome deriva quello di un santo martire, antico protettore di Venezia. Col tempo divenne Piantaleone, soprannome affibbiato a ogni ricco divenuto tale per aver piantato il leone, cioè la bandiera con l’emblema di S.Marco, in terre conquistate dalla Serenissima.

Brache, pantaloni o calzoni che dir si voglia, per reggerli al loro posto non c’è niente di meglio delle bretelle, parola che ci è stata regalata dagli antichi teutoni, brettil = redini. Le bretelle sono nate in Usa, essendo state inventate nel 1822 da Albert Thurston. La loro popolarità scemò dopo la prima guerra mondiale, per via del fatto che gli uomini si abituarono alla cintura della divisa. Da allora, le bretelle rimasero confinate al ruolo di … armamentario indossato al di sotto della giacca, e comunque non mostrabile in pubblico. Non sostituiranno mai del tutto la popolarità della cintura.

Anche la cravatta ha una sua storia. Essa fu introdotta in Francia nel 1686, quando il Re Sole, Luigi XVI, creò un reggimento di cavalleria leggera formato da Croati, in francese Croates, e quindi Cravattes, per adattamento della voce slava Hrvat. Accessorio dell’uniforme di questi cavalieri, era una sottile fascia di tela annodata attorno al collo. Il Re volle onorare questo reparto cingendosi a sua volta il collo con una preziosa striscia di seta bianca. Ordinò, per di più, che tutta la Corte lo imitasse. Il resto, fatto di tessuti ricercati e di nodi più svariati, è noto a tutti.

Ormai la nostra vestizione mattutina è praticamente finita.

Non ci resta che fare colazione. Ecco un’altra parola dalla storia interessante. Deriva dal latino collatione(m) "raccolta", "riunione", dal verbo conferre, mettere insieme.

Lo strano è che in origine era il pasto che i monaci consumavano dopo l’ultima riunione comunitaria. Alla sera, dunque.

C’è da scommettere che comunque, pur ad ora tarda, quei frati erano assai più desti e pimpanti di noi quando, dopo certi risvegli mattutini, dormiamo in piedi anche dopo la doccia!

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(claudio bosio / puntodincontro)

 

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17 de enero de 2012. - Al despertar por la mañana, pasamos casi todos por momentos durante los cuales no nos es fácil percibir correctamente la realidad que nos rodea. Parecemos zombis, aquellos cadáveres en movimiento despertados por los rituales mágicos del Caribe.

No hay duda: tendríamos que volvernos a meter a la regadera. Tal vez fría.

Pero ... ¿Por qué? Ya el solo hecho de despertarnos es demasiado desagradable ...

Por supuesto aún no hemos tomado el acostumbrado café, fuerte y caliente, que nos hace revivir.

El hecho es que nos vestimos como si fuéramos autómatas.

Sin embargo, pensándolo bien, la ropa que estamos a punto de utilizar merecería más atención de nuestra parte.

Por ejemplo, aunque seguramente conocemos el nombre de cada prenda, es muy probable que nunca nos hayamos preguntado por qué se llama así.

 

(claudio bosio / puntodincontro)

 

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