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« Dio ci ha dato due orecchie ed una sola bocca
per ascoltare almeno il doppio di quanto diciam
o »

(Proverbio Cinese)

 

21 dicembre 2011. - Ne siamo a conoscenza tutti. Fin da quando eravamo bambini.

L’evento ebbe luogo a Betlemme, un borgo sperduto della Palestina, circa 2000 anni fa, pressappoco all’occorrenza del solstizio d’inverno (dal latino: "Solis statio") quando cioè il sole, nel suo moto apparente, sembra effettivamente fermo.

Il Neonato venne al mondo in una misera grotta, in condizioni di estremo squallore e nell’indigenza più totale: fu deposto in una mangiatoia, coperto con della paglia. Era una notte stellata ma fredda: il fiato caldo-umido di un bue e di un asino, non bastava certo ad intiepidire l’ambiente.

Fuori, nei dintorni, dei poveri pastori, negletti fra gli uomini, riposavano, frammisti alle loro greggi. Ma furono svegliati da una apparizione angelica ed esortati a recarsi a quella grotta inospitale e di rendere omaggio al Bambino che giaceva della mangiatoia.

"Adeste, fideles, …. Natum videte, Regem angelorum…"

Il tradizionale racconto della nascita di Gesù (Dies Natalis), nella sua dolce, misera atmosfera, ci ricorda, non c’è dubbio, una delle tante fiabe, melanconiche e tristi, di Hans Christian Andersen.

In realtà, la scenografia qui tratteggiata, non corrisponde a quella del racconto evangelico.

La colpa fu di …. S. Francesco d’Assisi (1182-1226).

Era il tempo di Natale del 1223. Francesco, era di ritorno dalla Terra Santa. Per quanto fosse in corso la V Crociata, il santo Fraticello ottenne il permesso di recarsi pellegrino a Betlemme, da parte del sultano egiziano Al-Malik al Kamil, nipote di Salah al Din, il famoso Saladino. Una volta rientrato in Italia, Francesco era più che mai intenzionato a "ricostruire" l'iconografia della Natività, con l'intento di ricreare la mistica atmosfera del Natale di Betlemme. Gli fu possibile realizzare questo progetto a Greggio, un borgo vicino a Rieti. Con l’aiuto del signorotto locale, Giovanni Velìta, e con la partecipazione della gente del posto realizzò il primo presepe vivente della storia.

Fu proprio in occasione di questa rappresentazione che vennero inseriti, come elementi della "scenografia", l'asino, il bue, la mangiatoia e il fieno.

È notevole rilevare come il termine, "presepe", derivi dal latino praesepium o praesaepe, e significhi mangiatoia, greppia, stalla, recinto chiuso. Il termine è formato da "prae", davanti, in risalto, e “saepire”, cingere (derivato di "saeps”, “saepis”, ossia siepe), per estensione quindi significa "dinanzi al recinto" o ad una greppia. Nel vangelo di Luca (II,7) possiamo infatti leggere: « … et reclinavit eum in praesepio: quia non erat eis locus in diversorio » cioè « … e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo».

Ci sono, comunque, molte altre etimologie interessanti nel racconto della Natività.

Intanto vale la pena di considerare alcune locuzioni storico-geografiche.

È attualissima la disputa fra arabi ed e israeliani circa il nome del territorio dove visse Gesù: Israele o Palestina?

Il nome Israele compare nel Libro della Genesi (32,28), dove viene raccontato l'episodio in cui Dio cambia il nome a Giacobbe, chiamandolo, per l'appunto, Israele.

Sull'etimologia del termine esistono molte opinioni.

Secondo alcuni studiosi, il nome deriva dall'unione del verbo "sarar" ("governare", "avere autorità") e del sostantivo "el" (Dio"). Il significato sarebbe dunque "Dio governa" o "Possa Dio governare".

Secondo altri, invece, l'etimo è da rintracciarsi nel verbo "sarah" ("combattere"), dal momento che Giacobbe cambia nome dopo la lotta con un ente misterioso, una possibile manifestazione divina. In questo caso, il significato sarebbe "Colui che ha combattuto con Dio".

Secondo, infine una terza scuola di pensiero, Israele deriverebbe dal soprannome di Giacobbe, ovvero "Ish roe El", che tradotto significa "l'uomo che vide (l'angelo di Dio)

Il nome "Palestina" deriva, invece, dal Greco "Falaistine" Phalaistine e sta a indicare la terra dei "Filistei", popolo indoeuropeo proveniente dall'area egeo-balcanica, che si stabilì nel tratto costiero da Gat a Gaza all'inizio del secolo XII a.C. Il nome Palestina fu rispolverato dai Romani molti secoli più tardi quando, dopo la repressione della seconda rivolta ebraica nel 135 d.C., rinominarono la terra d'Israele provincia romana di "Syria Palestina"; alla città di Gerusalemme imposero il nome di "Aelia Capitolina" e fu vietato agli Ebrei di entrarvi, allo scopo di cancellare dalla regione ogni segno della loro presenza.

E per quanto riguarda "Betlemme"? Il suo nome significa "Casa del pane", o “Casa di Lehem“, in ebraico Beit Lehem. Ma è chiamata anche “Efrata“, che sta per “fertile“ o “fruttifera“.

Per inciso, i significati di “Nazareth“ (“fiore“), e di “Galilea“ (“passaggio avvenuto“) sono reperibili nel libro di san Girolamo sul Significato dei nomi ebraici.

Al Bambino nato nella grotta sarà imposto il nome di Gesù.

"Gesù" è la versione italiana del nome aramaico Yešu' da cui anche Giosuè ed Isaia, nonché la variante etimologica ebraica di Giasone, attraverso il greco dei vangeli Ἰησοῦς (Iēsoûs) e il latino Iesus. Significa "YHWH è salvezza"; «YHWH» è il tetragramma biblico solitamente reso con Yahweh o con Yehowah, la seconda forma è tipica dei famosi testimoni di Geova.

Gesù sarà detto il "Cristo", dal greco cristός (Cristós), da χρίω (chrío), «ungere»: "l’unto", "il consacrato" (per mezzo dell'olio d'oliva, spalmato o versato sul capo).

Era chiamato anche il "Messia" essendo con questo appellativo considerato l'inviato di Dio atteso dal popolo ebraico, dal quale ci si aspettava in particolare il riscatto sociale e politico dalla dominazione romana. Il termine italiano "Messia" deriva dal latino ecclesiastico Messīas-Messīae a sua volta dal greco antico Messías (Μεσσίας), quindi dall'ebraico māšīāḥ col significato di "[re] unto".

Secondo la tradizione iconografica, la notte fredda di Betlemme era illuminata da un astro misterioso: una "cometa". Il termine viene dal greco κομήτης (kométes), cioè chiomato, dotato di chioma, a sua volta derivato da κόμη (kòme), cioè chioma, capelli, in quanto gli antichi paragonavano la coda di questi corpi celesti ad una lunga capigliatura.

E l’origine della parola "auguri"?

Deriva, anche questa, dal latino. In latino augurium indicava il consenso e il favore divino a promuovere un'impresa, espresso per mezzo di un presagio che poteva essere raccolto solo da un alto magistrato-sacerdote chiamato appunto "augur", àugure.

In italiano augurio è usato sia nel senso di "segno favorevole o sfavorevole, presagio", soprattutto nell'espressione "essere di buon augurio, di cattivo augurio" (`rovesciare l'olio, secondo una superstizione popolare, è di cattivo augurio), sia in quello di "desiderio per sé o per altri, che qualcosa vada bene", in frasi come "fare, formulare un augurio di felicità, l'augurio di una pronta guarigione".

In realtà l’origine di augurio, va ricercata nel verbo augere, aumentare. Dai vaticini degli augures, dipendeva infatti la decisione di intraprendere una azione militare e quindi la possibilità di aumentare l’estensione del territorio di Roma.

Allo stesso verbo augere sono riconducibili anche autore, nel senso di "colui che crea una cosa, le dà accrescimento, valore, durata" ed anche aumento nel senso di "amplificazione, incremento". Sostantivo fatalmente accoppiato ad un altro, tanto indisponente quanto imprescindibile: tasse! Termine, non c’è dubbio, per nulla natalizio!

Tanti Auguri, a tutti!
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(claudio bosio / puntodincontro)

 

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21 de diciembre de 2011. - Todos conocemos la historia. Desde que éramos niños.

El evento tuvo lugar en Belén, un pueblo remoto de Palestina, hace unos 2000 años, aproximadamente durante la ocurrencia del solsticio de invierno (del latín: "Solis Statio"), o sea cuando el sol —en el transcurso de su movimiento aparente— parece efectivamente detenerse.

El bebé nació en una cueva, en condiciones de miseria extrema e indigencia total: estaba acostado en un pesebre, cubierto de paja. Era una noche estrellada pero fría: el aliento cálido y húmedo de un buey y un asno, ciertamente no eran suficientes como para calentar el ambiente.

Afuera, en la zona, los pobres pastores, olvidados entre los hombres, descansaban entre sus rebaños. Pero fueron despertados por un ángel que se les apareció y les pidió acercarse a la inhóspita cueva para rendir homenaje al Niño acostado en el pesebre.

"Adeste, fideles, …. Natum videte, Regem angelorum…"

La historia tradicional del nacimiento de Jesús (Dies Natalis), con su atmósfera dulce y pobre, nos recuerda, sin duda, uno de los muchos cuentos de hadas, melancólicos y tristes, de Hans Christian Andersen.

Lo cierto es que las escenas aquí descritas, no coinciden con la historia del Evangelio.

La culpa fue de ... San Francisco de Asís (1182-1226).

Era la temporada de Navidad de 1223. Francisco había regresado de Tierra Santa. Aunque se estuviese llevando a cabo la V Cruzada, había obtenido permiso para ir en peregrinación a Belén, otorgado por el sultán egipcio al-Malik al Kamil, sobrino de Salah al Din, el famoso Saladino. Una vez de vuelta en Italia, Francisco estaba más decidido que nunca a "reconstruir" la iconografía de la Natividad, con la intención de recrear el ambiente místico de la atmosfera navideña en Belén. Pudo realizar este proyecto en Greggio, un pueblo cerca de Rieti. Con la ayuda del Señor feudal local —Giovanni Velita— y con la participación de la población local, creó la primera escena de la natividad de la historia.

Es importante observar que el término "pesebre" tiene sus orígenes en el latín praesepium o praesaepe y significa establo, corral. La palabra está formada por "prae", que significa "antes", "en evidencia" y "saepire", o sea ceñir (derivado de "saeps", "saepis", es decir, cerca de arbustos). Por extensión significa "antes de la valla". En Evangelio de Lucas (II, 7) se puede, de hecho, leer « … et reclinavit eum in praesepio: quia non erat eis locus in diversorio» que es « … y lo acostó en un pesebre, porque no había lugar para ellos en los albergues».

Hay muchas otras etimologías interesantes en la historia de la Natividad.

Mientras tanto, vale la pena considerar algunas de las expresiones históricas y geográficas.

Es muy actual el conflicto entre árabes e israelíes sobre el nombre del territorio donde vivió Jesús: ¿Israel o Palestina?

El nombre Israel aparece en el libro del Génesis (32,28), en que se narra el episodio en que Dios cambia el nombre de Jacob, llamándolo, precisamente, Israel.

Sobre la etimología de la palabra hay muchas opiniones.

Según algunos estudiosos, el nombre deriva de la unión del verbo "sarar" ("gobernar", "tener autoridad") y el sustantivo "el" ("Dios"). El significado sería, por lo tanto," "Dios gobierna" o "Que Dios gobierne".

Para otros, sin embargo, el origen de la palabra se encuentra en el verbo "sarah" ("luchar"), ya que Jacob se cambia el nombre después de la pelea con una entidad misteriosa, una posible manifestación de lo divino. En este caso, el significado sería "el que luchó con Dios".

Por último, según una tercera escuela de pensamiento, Israel se deriva del apodo de Jacob, o sea "Ish roe El", que traducido significa "el hombre que vio (el ángel de Dios).

El nombre "Palestina" se deriva, en cambio, del griego "Falaistine" Phalaistine e indica la tierra de los "filisteos", pueblo indo-europeo proveniente del mar Egeo y los Balcanes, que se asentó en la franja costera desde Gat hasta Gaza a principios del siglo XII antes de Cristo El nombre de Palestina fue revivido por los romanos muchos siglos más tarde, cuando, después de la represión de la segunda revuelta judía en el año 135 de nuestra era, la tierra de Israel fue renombrada "Siria Palestina", mientras que a la ciudad de Jerusalén se le bautizó "Aelia Capitolina" y se prohibió a los Judios entrar a ella, con el fin de acabar con todo rastro de su presencia en la región.

Y en cuanto a "Belén", su nombre significa "casa del pan", o "Casa de Lehem" en hebreo Beit Lehem. Pero también se le llama "Ephrata", que significa "fértil" o "fructífera".

Por cierto, el significado de "Nazaret" ("flor"), y "Galilea" ("pasaje acontecido") se pueden encontrar en el libro de San Jerónimo sobre el significado de los nombres hebreos.

Al Niño nacido en la cueva se le dio el nombre de Jesús.

"Jesús" es la versión española del nombre arameo Yešu del que se derivan también Josué e Isaías y la variante etimológica hebrea Jasón, a través del griego de los Evangelios Ἰησοῦς (Iēsoûs) y el latín Iesus. Significa "YHWH es salvación". "YHWH" es el tetragrama bíblico generalmente reproducido bajo las formas Yahvé o Yehowah, cuya segunda forma es típica de los famosos testigos de Jehová.

A Jesús se le llama "Cristo", del griego cristός (Christós), de χρίω (Chrío) "ungir": "el ungido", "el consagrado" (por medio del aceite de oliva derramado sobre la cabeza).

También fue conocido como el "Mesías" ya que con este título se le consideraba como el mensajero de Dios esperado por el pueblo judío, que tenía que provocar, en particular, el rescate social y político de la dominación romana. La palabra española "Mesías" proviene del latín eclesiástico Messīas-Messīae y esta, a su vez, del griego antiguo Mesías (Μεσσίας), que tiene sus orígenes en el hebreo y que significa "[rey] ungido".

De acuerdo con la tradición iconográfica, la noche fría de Belén fue iluminada por una estrella misteriosa: un "cometa". El término proviene del griego κομήτης (kométes), es decir, de cabello largo, que a su vez deriva de κόμη (Kome), es decir, cabello, dado que los antiguos comparaban las colas de estos cuerpos celestes con una larga cabellera.

¿Y el origen de la palabra italiana "auguri" (felicidades)?

Deriva, también, del latín. En latín augurium indicaba el consenso y la aprobación divina para promover una actividad, expresado a través de un presagio que podía ser obtenido únicamente por un magistrado-sacerdote denominado precisamente "augur".

En italiano la palabra "augurio" se utiliza tanto en el sentido de "buena o mala señal, presagio", especialmente en la expresión "ser un buen augurio, o un mal augurio" (derramar el aceite, según la superstición popular, es un mal augurio), como en el sentido de deseo, para sí mismos o para otros, de que algo salga bien, en frases como, "desear (augurare) felicidad, o una pronta recuperación".

De hecho, el origen de la palabra "augurio", se encuentra en el verbo "augere", aumentar. De las previsiones de los augures, dependía —de hecho— la decisión de emprender una acción militar y por lo tanto la posibilidad de aumentar el tamaño del territorio de Roma.

Del mismo verbo se deriva también la palabra autor, en el sentido de "el que crea algo, le da el crecimiento, el valor, la duración," y también aumentó el sentido de "amplificación, incremento". Sustantivo fatalmente unido a otro, tan irritante como esencial: los impuestos! Una palabra, no hay duda, muy poco navideña.

¡Muchas felicidades a todos!

 

(claudio bosio / puntodincontro)

 

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de Claudio Bosio,