«Se possiedi le parole, possiedi le cose».

Cesare Marchi, Impariamo l’italiano

 

29 marzo 2012 - Le parole vivono … una vita simile alla nostra. Nascono, evolvono e muoiono.

Ne conosciamo, nella maggior parte dei casi, la genealogia: l’italiano, ad esempio, è figlio del latino e nipote del greco.

Alcune hanno origini illustri, altre hanno perduto il capostipite nella nebbia dei tempi.

Molte sono nate prima di noi e, di sicuro, ci sopravviveranno.

Altre, ancora, hanno avuto una vita breve come la rosa di Mallarmé: sono durate "l’espace d’un matin", lo spazio di un mattino. Fra questi lemmi vanno annoverati tutti quelli che furono architettati dal Regime fascista nel corso della campagna per la "purezza linguistica"(1930-1940). Nel tentativo di sostituire parole straniere con surrogati nazionali, «viveur» divenne vitaiolo, «cachet» cialdino, «dessert» fine-pasto, «uovo à la coque» uovo scottato, «dossier» incartamento ecc. Ma fra le tante proposte rimaste, com’è ovvio, inascoltate, la più divertente è certamente «bar», ribattezzato come quisibeve (sic!).

Alcune parole, nella loro storia, cambiano di aspetto, cioè assumono una forma (grafia) nuova che fa sparire quella antica. Per esempio, la diffusione di "domandare" ha fatto sparire dall’uso il precedente "dimandare".

Per altro, ci sono, casi in cui una parola mantiene la primitiva grafia ma cambia di significato. Chi è abituato a "cancellare" con la gomma un vocabolo improprio oppure molto più semplicemente battendo un tasto di un’apparecchiatura elettronica, è difficile conosca l’origine di questa parola, che significava "coprire con un cancello". Infatti, anticamente, le parole sbagliate venivano annullate con dei tratti di penna verticali e orizzontali che ricordavano le grate di un cancello.

Analogamente, "ministro" ha assunto, col passare del tempo, un significato molto differente rispetto all’origine. Minister, in latino, significava servitore (da minus, meno, opposto a magister che deriva da magis, più); ministrare, nella lingua dei nostri progenitori lessicali, significava servire in tavola (da cui il nostro minestra, piatto che ci viene servito). Ministro prese poi a indicare l’aiutante del re, per passare quindi al senso attuale di membro del Governo preposto ad un dicastero particolare.

Un certo sforzo va anche fatto per individuare l’origine del verbo "collaudare" che nell’uso corrente riguarda l’esecuzione di prove a convalida di certi requisiti di un manufatto, di una apparecchiatura, di una costruzione. Sino al ´700 era considerato un semplice rafforzativo di laudare, cioè lodare, esaltare; poi nell’ ´800 passò a significare approvare, nel senso tecnico oggi in uso.

Un’altra parola che, col tempo, ha cambiato il suo significato originale è "nostalgia" (parola composta dal greco νόστος (ritorno) e άλγος (dolore) cioè "dolore del ritorno"). Il dizionario la definisce come un "desiderio intenso e struggente motivato dalla lontananza da persone o luoghi cari o da un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere, spesso ricordato in modo idealizzato". La parola fu coniata nel 1688, da un alsaziano di nome J. Hofer, che la adottò come titolo della sua tesi di laurea, che discusse (in latino) a Basilea. Nostalgia però, per il suo inventore, significava tutt’altra cosa. Stava ad indicare una malattia che colpiva gli … Svizzeri! Non tutti, sia chiaro. Solo quelli militanti in eserciti stranieri, costretti a vivere lontani da casa. La tesi in questione evidenziava come chi ne fosse stato colpito diventasse muto, svogliato, nemico della compagnia e, in qualche caso, addirittura morisse. Solo due secoli dopo, agli inizi ´900 il termine venne usato nell’accezione di rimpianto.

Anche nel caso di "malinconia" usiamo una parola antica con un significato recente, che nulla ha a che vedere con il significato originale. La malinconia, secondo Ippocrate (460-377 a.C.) è un particolare stato patologico dovuto allo squilibrio fra i quattro umori (flemma, sangue, bile gialla e bile nera) dalle cui combinazioni dipendono il carattere e gli stati d'animo delle persone. Detta malattia si credeva causata da "umore nero della bile". Come ben ci indica l’etimologia (melas, nero, e colh, bile), malinconia sta appunto per bile nera. Oggigiorno intendiamo per malinconia una particolare sindrome depressiva, materia di studio e di cure da parte di psicologi e psichiatri, cioè studiosi dello stato mentale (istinti, emozioni, sentimenti, percezioni, memoria volontà intelligenza …) e del conseguente comportamento di noi uomini. La bile non c’entra. Forse ha ragione Victor Hugo: «La malinconia è la gioia di sentirsi tristi»

Fra i tanti casi di evoluzione semantica, interessante è la storia di "farsa", da noi concepita come una rappresentazione, breve e buffonesca, recitata come intermezzo o finale di spettacoli teatrali seri. Il termine deriva dal latino farcire, riempire, (farcimen = salsiccia) per cui, in origine, stava per riempimento degli intervalli.

Ancora un’altra parola che, nel tempo, ha cambiato di significato. Nel lessico popolare è sovente usata la parola "casino" nel senso di confusione, chiasso. Questo vocabolo è nato come diminutivo di casa, che in latino significava capanna, baracca, vocabolo che per le disagiate condizioni del popolo (specie dopo le invasioni barbariche) sostituì domus nel linguaggio parlato. Nel ´500 passò ad indicare un villino signorile adibito a sosta durante le battute di caccia, mentre nel ´600 lo si intese come luogo appartato (circolo) dove conversare, leggere, giocare. Casino nell’accezione di postribolo, casa di tolleranza, comparve invece nel primo ´700. L’attuale senso figurato del vocabolo (caos, scompiglio, strepito, baccano) entrò a far parte dell’italiano corrente solo nel ´900.

Da notare che la voce italiana casino ci venne carpita dai Francesi (nel 1700) per designare una casa da gioco, e rientrò quindi in Italia con questo identico significato. È una delle poche cose che i Francesi, grandi depredatori delle nostre opere d’arte (Non tutti i Francesi, ma … Bonaparte sì!!) ci abbiano restituito. Con in più un accento sulla "o": casinò.

Curiosa è anche la metamorfosi di significato di "siringa", cioè lo strumento medico usato per le iniezioni o per il prelievi del sangue. Secondo la leggenda, Syrinx era il nome greco di una bellissima ninfa, figlia del dio del fiume Ladone, che viveva sui monti dell’Arcadia. Il dio Pan se ne innamorò e la rincorse per farla sua. Syrinx, fuggendo, chiese aiuto al padre che la tramutò in canneto. Pan tagliò allora vari pezzi di canna e unitoli in ordine degradante, ottenne lo strumento a fiato detto ancora oggi la siringa di Pan. I Greci chiamarono quindi syrinx la "canna". Nel tardo latino la parola siringa venne usata nell’accezione di "canna per clistere". Il termine cambiò ancora di significato all’inizio del 1600. Rimase sempre nel lessico sanitario, ma, stavolta, stava ad indicare una "cannuccia da introdurre nella vescica per cavarne urina". Il significato attuale è registrato per la prima volta nel 1821.

Una parola dalla vicenda stravagante, non c’è che dire: da una canna per far musica ad una cannuccia per fare … la pipì!

Aveva ragione Cesare Pavese quando scriveva (La casa in collina, 1949): «In tutte le parole c’è qualcosa di impudico».

 

(claudio bosio / puntodincontro)

 

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29 de marzo de 2012. - Las palabras viven una vida similar a la nuestra. Nacen, evolucionan y mueren.

Conocemos, en la mayoría de los casos, su genealogía: la lengua italiana, por ejemplo, es hija del Latín y sobrina del Griego.

Algunas tienen orígenes distinguidos, otras han perdido a sus ancestros en las brumas del tiempo.

Muchas han nacido antes que nosotros y, seguramente, nos sobrevivirán.

Otras más tuvieron una corta vida, como la rosa de Mallarmé: duraron "l'espace d'un matin", el espacio de una mañana. Entre estas hay que incluir todas la que fueron confeccionadas por el régimen fascista durante la campaña por la "pureza lingüística" (1930-1940). En un intento de reemplazar las palabras extranjeras con sustitutos nacionales, "viveur" se convirtió en "vividor", "cachet" en "cialdino", "dessert" en "terminador-de-comida", "huevo à la coque" en "huevo escaldado", "dossier" en "expediente", etc. Pero entre las muchas propuestas que quedaron, como es obvio, inutilizadas, la más divertida es seguramente "bar", rebautizado con el término "aquisebebe".

Algunas palabras, a lo largo de su historia, cambian de apariencia, es decir, toman una forma (grafía) nueva que substituye a la antigua. Por ejemplo, la propagación de "domandare" (preguntar) hizo que se dejara de utilizar la forma anterior "dimandare".

También hay casos en que una palabra mantiene su grafía original, pero cambia de significado. Los utilizan frecuentemente la palabra "cancelar" —a veces utilizando una tecla de un aparato electrónico—, tal vez no conozcan el origen de esta palabra, que significaba "cubrir con un cancel". De hecho, en los tiempos antiguos, las palabras equivocadas se eliminaban utilizando trazos de pluma verticales y horizontales que recordaban las rejas de una puerta.

Del mismo modo, "ministro" se ha convertido, con el tiempo, en una palabra con un significado muy diferente respecto al original. Minister, en latín, significaba siervo (de minus, o sea "menos", que se oponía a magister, de magis, o sea "más"); ministrar en el lenguaje de nuestro antepasados​​, significaba servir la mesa (y de ahí derivó, en italiano, la palabra "minestra" (sopa), o sea, un plato que se sirve). Más tarde, ministro se empezó a utilizar para indicar a los ayudantes del rey y luego adquirió el significado actual de miembro de un Gobierno a cargo de un departamento en particular.

Es preciso esforzarse un poco para identificar el origen de la palabra "collaudare" (probar) que en el uso actual significa la realización de pruebas para validar ciertos requisitos de un artefacto, un aparato o una construcción. Hasta el siglo XVIII se consideró una palabra que enfatizaba el verbo latín "laudare", o sea, elogiar, exaltar. Más tarde, en el siglo XIX, cambió su significado a "aprobar", en el sentido técnico que se utiliza hoy en día.

Otra palabra que, a través del tiempo, ha cambiado su significado original es "nostalgia", que proviene de las palabras griegas νόστος (regreso) y άλγος (dolor), o sea, "el dolor del regreso". El diccionario la define como "Pena de verse ausente de la patria o de los deudos o amigos. Tristeza melancólica originada por el recuerdo de una dicha perdida". La palabra fue acuñada en 1688 por un pastor alemán llamado J. Hofer, quien la adoptó como título de su tesis profesional, que debatió (en latín) en Basilea. Nostalgia, sin embargo, para su creador, significaba algo muy diferente. Era sinónimo de una enfermedad que afectaba a ... ¡Los Suizos! No a todos, claro está. Sólo a los que militaban en ejércitos extranjeros y estaban obligados a vivir lejos de casa. La tesis en cuestión mostraba cómo los que contraían la enfermedad se volvían callados, apáticos, poco sociables y, en algunos casos, incluso morían. Sólo dos siglos más tarde, a principios del siglo XX, el término fue utilizado en el sentido de añoranza.

También en el caso de "melancolía" usamos una vieja palabra con un significado reciente, que no tiene nada que ver con el significado original. La melancolía, de acuerdo con Hipócrates (460-377 aC), es un problema de salud debido al desequilibrio entre los cuatro humores (flema, sangre, bilis amarilla y bilis negra), de cuyas combinaciones dependen el carácter y el estado de ánimo de la gente. Se creía que esta enfermedad era provocada por el "humor negro de la bilis".

Como nos indica la etimología (melas, negro, y colh, bilis), la melancolía es sinónimo de bilis negra.

Hoy en día se entiende por melancolía una forma particular de depresión, materia de estudio y atención médica de parte de psicólogos y psiquiatras, eruditos en el estado mental (instintos, emociones, sentimientos, percepciones, memoria, voluntad, inteligencia ... etc.) y del comportamiento de los seres humanos. La bilis no está involucrada. Quizá tenga razón Víctor Hugo: "La melancolía es la alegría de sentirse triste".

 

(claudio bosio / puntodincontro)

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de Claudio Bosio,