14 giugno 2018
- La pellicola del regista
messicano Jesús Garcés Lambert “Caravaggio,
l'anima e il sangue”, dedicata al
controverso e amato pittore milanese, è
stata eletta miglior documentario dell'anno
dall'Associazione della Stampa Estera in
Italia ed ha vinto il Globo d'oro. Dopo i
record di incasso al box office, farà il suo
debutto televisivo nel Bel Paese sui canali
Sky in autunno.
Puntodincontro ha rivolto
alcune domande al cineasta:
Ci racconti la sua storia,
Jesús.
Sono nato a Città del Messico e ho studiato
regia presso il Centro universitario di
studi cinematografici dell'UNAM. Mio nonno è
italiano, di Cuneo, ma sono andato in Italia
per la prima volta all'età di 17 anni. In
quel primo viaggio, a Roma, ho scoperto
Caravaggio nella Cappella Contarelli.
Quell'esperienza è stata uno spartiacque
nella mia vita, poiché ho potuto rendermi
conto in quel momento del potenziale
dell'arte per raccontare storie.
Dopo aver terminato gli studi presso il CUEC
e un periodo negli Stati Uniti, mi sono
trasferito a vivere a Roma. Lì mi sono
iscritto all'Accademia Nazionale d'Arte
Drammatica Silvio D'Amico per studiare una
specializzazione in direzione degli attori.
Ho iniziato a lavorare facendo videoarte per
alcuni dei teatri stabili di Roma e, nel
2001, sono stato chiamato dalla Biennale dei
Jeunes Créateurs d'Europe et de la
Méditerranée, che quell'anno si è svolta a
Sarajevo.
Ho realizzato un video commissionato dalla
Fondazione Soros che è stato visto da un
produttore della RAI, e così ho iniziato a
dirigere documentari per la televisione
italiana. Da allora non mi sono più fermato:
sono seguite collaborazioni con Artec, una
stazione tv franco-tedesca, la BBC, il
National Geographic, la televisione svedese,
ecc.
Per farla breve, due anni fa ho realizzato
il mio primo film con Cinema d'Arte Sky
sulla storia delle produzioni 3D. La
pellicola è stata scelta per la Biennale
Cinema di Venezia e poco più di un anno fa
mi hanno contattato per informarmi che Sky
stava pensando di fare un film su Caravaggio
e chiedermi se ero disposto a dirigerlo.
Abbiamo quindi iniziato a lavorare con il
professor Claudio Strinati, uno dei massimi
esperti di Caravaggio nel mondo, e il
risultato è stato questo documentario che è
diventato il film d'arte di maggior successo
nella storia del cinema italiano.
Perché tanta popolarità,
secondo lei?
Ci sono diversi fattori importanti. Il primo
è che Caravaggio parla molto alle persone ed
è molto “sentito” in Italia. È alquanto
contemporaneo e ciò che rappresenta giunge a
tutti e tutti possono interpretarlo.
Il secondo è che sono stati fatti molti film
su questo argomento, ma nessuno il cui tema
centrale fosse Caravaggio come essere umano,
non solo come artista. “Caravaggio, l'anima
e il sangue” è un viaggio nell'universo di
questo personaggio, nella sua vita, nelle
sue passioni, nei suoi odi e nelle sue paure.
Il terzo è che ho cercato di realizzare un
lungometraggio che immergesse lo spettatore
nel mondo di questo pittore milanese.
Ho girato le scene in 8K, che è la
risoluzione più alta esistente sul mercato,
e le riprese sono state realizzate a un
millimetro di distanza dai quadri. Il
pubblico, per la prima volta, può
letteralmente scoprire le pennellate di
Michelangelo Merisi (il vero nome
dell'artista) nelle sue creazioni.
Dopo ciò che già si sapeva e i suoi
contributi alla conoscenza del personaggio
di Caravaggio, resta altro da scoprire su di
lui?
Sì, penso di si. Una delle cose è un
documento che ho trovato nell'Archivio di
Stato a Roma, dove abbiamo condotto
un'estesa ricerca sugli scritti che
menzionano il pittore. Con grande sorpresa
ci siamo resi conto che molti dei documenti
che si riferiscono alla sua vita sono atti
procedurali.
Questo ci ha aiutato molto a capire il suo
contesto e la sua tecnica pittorica, poiché,
ad esempio, nel processo per diffamazione
promosso da Giovanni Baglione nel 1603,
Merisi di fronte a un giudice descrive la
sua concezione dell'arte. È l'unica volta in
cui descrive la sua visione della pittura.
Durante il nostro “viaggio” tra gli archivi,
ho scoperto una lettera di una confraternita
messicana che chiedeva un dipinto
dell'artista italiano. Gli offrirono 40
scudi per una tela destinata a una chiesa di
Città del Messico. Basandosi su documenti
come questo, è possibile che compaiano
ancora opere non identificate e altre storie
inedite. Penso che ci sia ancora molto da
scoprire su Caravaggio.
Lei è un regista messicano che ha avuto
grande successo in Italia e anche altri suoi
colleghi sono stati molto riconosciuti
lavorando oltre confine. Bisogna davvero
andar via dal Messico per diventare famoso?
Beh, ci sono molti registi nel mio Paese che
vanno a festival internazionali. Mi fa molto
piacere che negli ultimi anni, oltre ai
vincitori dell'Oscar, ci siano cineasti
importanti —uomini e donne— che realizzano
documentari e partecipano ad eventi di alto
livello nel mondo.
Non penso che andare all'estero sia la
chiave per avere più successo, perché è
molto più difficile. Ad esempio, avere
credibilità in altri Paesi come messicano
qualche anno fa non era così semplice.
Oggi può essere meno complicato, grazie a
film come quelli di Guillermo del Toro, ma
anche produzioni come Caravaggio
aprono le porte. Tuttavia, ripeto, fuori dal
Paese un regista deve cominciare da zero,
mentre in Messico la lingua comune, oltre
alla comprensione dell'ambiente e della
cultura, possono facilitare notevolmente la
strada.