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2 gennaio 2020 - —Ero una ragazza felice prima... felice...— ha esclamato Alejandra.

—Ti hanno fatto del male? — le ho chiesto.

Ale torna con gli occhi al passato e comincia il racconto dell'inferno.

Aveva tredici anni quando stava andando a scuola, in un paese di campagna di uno Stato del Messico che, per sicurezza, non menzioneremo. Due uomini che conosceva le si avvicinarono e iniziarono a colpirla con un bastone alle caviglie, spingendola verso un terreno dove la picchiarono e violentarono per ore. Prima di lasciarla andare, le dissero di tacere o avrebbero fatto lo stesso alle sue sorelle.

Alcuni giorni dopo, gli stessi uomini la rapirono e la tennero rinchiusa per tre giorni, segnati dai colpi ed altri stupri. Ale racconta che nella stanza in cui l'avevano legata, c'erano dei ragazzi della sua età. Quando i rapitori la violentavano, gli dicevano: «così imparate come bisogna trattare le donne».

Ale è attualmente privata della libertà in un centro femminile di reinserimento sociale per rapina con violenza. Tra gli stupri e la sua attuale detenzione, è stata utente di droghe, prostituta e detenuta per omicidio.

È una delle quasi 50 donne che, informate e generose, hanno avuto la fiducia di parlare con noi. La sua testimonianza fa parte di un'indagine di Equis Justicia para las Mujeres che sarà pubblicata quest'anno, incentrata su adolescenti e donne che usano droghe detenute in centri di trattamento pubblici e privati e in centri di reintegrazione sociale. Come accennato nella prima parte di questa serie, questo documento mirerà sia a condividere le loro narrazioni, sia a rendere visibile l'incrocio tra le credenze di genere e l’accesso al trattamento terapeutico.

Ogni storia di vita raccolta in questi mesi è unica. Una dopo l'altra, le adolescenti e le donne —per lo più giovani— con le quali abbiamo parlato, hanno avuto la fiducia di condividere con noi ciò che non avevano mai raccontato. All'interno di questa unicità, si ripetono modelli che rivelano l'incrocio tra le relazioni di genere, la violenza contro le donne e le politiche punitive sulle droghe.

In circa il 90% dei casi1, quando gli è stato chiesto come hanno iniziato a usare droghe, la maggior parte inizia con la segnalazione di violenza sessuale durante l'infanzia (tra i tre e gli undici anni), da parte di patrigni, nonni, zii e altri uomini conosciuti. Di solito, quando raccontano ciò che è successo alle loro madri o ad altri parenti, o non vengono credute o sono accusate di essere le provocatrici della violenza sessuale.

Prendono forma così due scenari predominanti: fuggire di casa e vivere per strada o iniziare una relazione con un uomo adulto o adolescente. Gina, una ragazza di ventitré anni che faceva il sicario da quasi un decennio, dice: «Mi sentivo più sicura per strada che con la mia famiglia».

Quando la scelta per sfuggire alla violenza, all'abbandono, all'indifferenza e alle accuse è una relazione di coppia durante l'adolescenza, le conseguenze sono quasi sempre gravidanze adolescenziali e ancora violenza. La violenza sessuale contro i bambini viene sostituita dalla violenza di genere contro ragazze e donne. Gli autori sono molteplici: fidanzati, mariti, compagni di droga, spacciatori, agenti di polizia o personale dei centri di trattamento riabilitativo.

Pertanto, le donne che usano droga sono vittime di molteplici forme di violenza:2 i) violenza domestica, in ambito privato, familiare o di coppia; ii) violenza nell'infanzia; iii) violenza specifica negli ambienti di consumo di droghe, principalmente di natura sessuale; iv) violenza legata alla prostituzione; v) violenza delle donne vittime della tratta; vi) violenza istituzionale.

Alla violenza di genere subita dalle donne consumatrici di sostanze psicoattive durante l'infanzia e l'adolescenza, si aggiunge la violenza subita a seguito delle politiche sugli stupefacenti e della stigmatizzazione contro le persone che usano droghe.

Nel nostro prossimo articolo parleremo proprio della violenza di genere nei centri di trattamento di dipendenze da sostanze, in base all'approccio del diritto alla salute.

Come notato da un gruppo di donne private della libertà con cui abbiamo parlato, per lo più perseguite per omicidi multipli e attività connesse, nessuno si preoccupa, denuncia, perseguita o ripara la violenza di cui sono state vittime fin dall'infanzia. Nessuno fa domande e nessuno gli crede.

Il crimine organizzato le intrappola fin dall'adolescenza e ‘le fa diventare come loro’: giovani con addestramento militare, che uccidono freddamente una vittima dopo l'altra, fino a non sentire più nulla. Madri single che trovano nell'assassinio uno spazio di uguaglianza e controllo sulle proprie scelte, nonché una fonte economica che gli consente di mantenere degnamente figlie e figli. Donne private della libertà che affrontano condanne di oltre cent'anni e che affermano, in base a un'analisi lucida e inappellabile: «lo Stato non fa altro che arrestarci, picchiarci o ucciderci».

Le donne che usano droghe detenute nelle carceri o nei centri di cura sono completamente invisibili e stigmatizzate, vivono in un circolo di violenza, sistematico e diffuso, che deve essere fermato. Se vogliamo sradicare la violenza contro tutte le donne e le ragazze, è necessario ascoltarle e incorporare le loro esperienze e le loro voci nei dibattiti e nelle politiche che le riguardano.

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Corina Giacomello è docente e ricercatrice presso l'Instituto de Investigaciones Jurídicas della Universidad Autónoma de Chiapas e collabora con Equis Justicia para las Mujeres, A.C. È inoltre consulente di istituzioni, enti multilaterali e organizzazioni della società civile. È autrice di numerose pubblicazioni in Messico e all'estero

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1 Le informazioni sono in fase di sistematizzazione.

2 Benoit, Thérèse e Jauffret-Roustide, Marie, Improving the management of violence experienced by women who use psychoactive substances, 2015.

(corina giacomello / animalpolitico.com / puntodincontro.mx / adattamento e traduzione in italiano di massimo barzizza)

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