ECONOMIA E FINANZA
 

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15 febbraio 2020 (ore 14:29) - Le caratteristiche geografiche e climatologiche della penisola italiana, soprattuto nella sua zona meridionale, la rendono un territorio idoneo allo sfruttamento della pianta del fico d'india, nativa del Messico e giunta nel Vecchio Mondo verosimilmente intorno al 1493, anno del ritorno a Lisbona della prima spedizione di Cristoforo Colombo.

Il quotidiano la Repubblica ha pubblicato ieri un articolo di Daniela Sciarra che descrive lo sviluppo delle tecniche produttive di questa cactacea in Sicilia.

«L’Italia» —scrive Sciarra— «è il terzo produttore mondiale di fico d’india e primo in Europa. Dopo Messico e Stati Uniti, l’85% della produzione nazionale è concentrata in Sicilia dove, tra le province di Catania e Caltanissetta, si trova il cuore della coltivazione con il distretto di San Cono. Qui, fino a poco tempo fa, dai 2.500 ettari di piantagioni di fico d’india, si raccoglieva solo il frutto e tutto il resto della pianta, le cosiddette pale o cladodi, veniva lasciato sul terreno divenendo residui di potatura e biomassa».

«Solo di recente, dopo anni di sperimentazioni e ricerche con i coltivatori, una start up di Licata (Agrigento), la Bioinagro, ha ribaltato il paradigma».

«Non solo il frutto (il fico d’india). Per l’azienda siciliana i residui di potatura sono una risorsa ad alto valore aggiunto da distribuire lungo la filiera. Ha realizzato tre linee di prodotto: il succo intero di cladodi (o pale), l’estratto concentrato o secco di fibra e l’estratto concentrato o secco di mucillagine [noto in Messico come la “bava” del fico d'india, ndr]. Queste tre linee sono di fatto semilavorati che la Bioinagro conferisce ad aziende specializzate della nutraceutica e, in prospettiva, della cosmesi. La fitoterapia ne ha scoperto l’importanza nel trattamento del sovrappeso e dell’obesità e nel mantenimento di adeguati livelli di colesterolo e trigliceridi».

«Il distretto di San Cono nel suo complesso oggi è già in grado di offrire una disponibilità di biomassa stimata attorno alle 30.000 tonnellate annue. Il reddito derivante dalla sola vendita del frutto è stimabile attorno agli 8-10.000 euro/ettaro, la valorizzazione delle pale oggi apporta un ricavo ulteriore di 5-6.000 euro/ettaro. Dunque si tratta di un’integrazione al reddito per gli agricoltori e di una crescente economia locale grazie ad accordi di filiera».

«Secondo i titolari della start up, le pale (cladodi) diverranno il prodotto principale della piantagione, attribuendo alla Sicilia un ruolo leader in questo mercato che si sta delineando».

«Il Messico avrebbe un enorme potenziale produttivo rispetto all’Italia, ma l’utilizzo della pianta è stato circoscritto al settore alimentare e alla produzione di bioenergie, dal biogas al bioetanolo. Bioinagro invece punta alla diversificazione e conta su due fattori: l’innovazione a stretto contatto con i coltivatori per lo sviluppo di tecnologie di raccolta e post-raccolta (a partire dall’essiccazione), in modo da ridurre i costi logistici e lasciare più margini di reddito all’agricoltura; la garanzia alle aziende agricole attraverso le diverse fonti di reddito e la maggiore flessibilità rispetto agli andamenti del mercato».

«In questo senso, è possibile che il rapporto tra prodotto principale (fico d’india) e sottoprodotto possa addirittura rovesciarsi nel tempo».

(massimo barzizza / puntodincontro.mx)

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