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28 dicembre 2011. - Nell'Italia liberata prima ci disarmarono, parlo di noi
partigiani, e poi ci chiesero di tenere in qualche modo in piedi la baracca
dello Stato. A me, che avevo comandato una divisione di Giustizia e Libertà,
offrirono, a scelta, un posto da vicequestore o da sindaco. Dissi che
preferivo un posto da giornalista a GL, l'edizione torinese di Italia
Libera, il quotidiano del Partito d'Azione a Torino". Nel fiume sterminato
della vita professionale di Giorgio Bocca è raro trovare lezioni di uno che
si impanca a maestro di giornalismo. C'è questo momento fondamentale: il
partigiano Bocca che, deposte a forza le armi, decide che per "tenere in
piedi la baracca" c'era di meglio che buttarsi in politica. C'era da
raccontare un Paese, da viaggiare e riferire, da incontrare gente e
interrogarsi.
E' quello che ha fatto per tutta la sua seconda vita, mai dimenticando
quella prima da partigiano che l'aveva formato per sempre. La sua unica,
sbrigativa lezione, risale sempre a quegli anni: "Il mestiere del
giornalista è molte cose che si imparano: scrivere chiaro e in fretta, avere
capacità di sintesi, non perdersi nei dubbi e nelle esitazioni, ma anche
essere colto, aperto al mondo e alle sue lezioni, capace di emozioni, di
solidarietà umana": E ai giovani che gli chiedevano quale fosse il segreto
(e si chiamavano Egisto Corradi, Bernardo Valli, Angelo Del Boca, Alberto
Cavallari, Gigi Ghirotti), Bocca riservava una piccola rivelazione: "Non
preoccupatevi, se un segreto c'è, è quello che avete già in testa, il
segreto di chi ha orecchio per i suoni del creato, di chi ha occhio per la
caccia, dello schermidore che sa parare e tirare".
Da GL a un giornale vero, la Gazzetta del Popolo, nei tumultuosi anni del
primo dopoguerra, e sono gli anni in cui Bocca scopre la cronaca
barricadiera, le corse avventurose sui luoghi dei delitti, "la politica è
spesso un alibi per continuare a uccidere. E noi che raccontiamo sui
giornali ciò che accade viviamo ubriachi di gioventù fra i delitti e le
macerie dei bombardamenti, nelle tane urbane lasciate libere dagli sconfitti".
La saponificatrice di Correggio. Gli scioperi contadini e le lotte operaie.
I tardivi ritorni alle armi di piccoli gruppi partigiani, come quello "di un
certo Tek Tek che si trincerò in un castello del Monferrato", e la visita di
Bocca finì a tavola con una bagna caoda. Le vendette del "triangolo rosso".
La strage di Villarbasse. L'alluvione del Polesine, via di corsa nella notte
alla notizia che il Po ha rotto gli argini a Occhiobello, "la mia auto è una
Topolino rossa, cinquecento di cilindrata, due posti, ma va sul ghiaccio e
nel fango e non si rompe mai". E poi in barca sulle acque che sommergono i
paesi, "navighiamo a raccoglier naufraghi mezzi morti e mezzi vivi e ad
ascoltare le loro storie".
Nel '54 il salto a Milano, all'Europeo di Rizzoli, "l'Europeo, scuola di
giornalismo. A scuola dalla Camilla Cederna, che era una gran signora
milanese, una donna elegante e curiosa, di una curiosità inesauribile, che
la manteneva indenne dal tempo, senza una ruga, senza un'ombra di stanchezza,
testimone attenta con il gusto di raccontare". E Oriana Fallaci: "Ero
nell'atrio della Rizzoli in piazza Carlo Erba, e dall'alto mi arriva la voce
dell'Oriana che grida all'impaginatore: Riva, ma che fai? A quel bischero
del Bocca un titolo a tutta pagina e all'Oriana due colonne?". I viaggi per
il mondo in compagnia del fotografo Moroldo, "che non era solo un bravo
fotografo, era anche la mia guardia del corpo: più alto degli altissimi
watussi, nerboruto e scattante. A cercare la Begum moglie dell'Aga Khan, a
intervistare il Negus re dell'Etiopia, in Israele per le Guerra dei sei
giorni.
Poi per Bocca venne la stagione del Giorno, chiamato dal direttore Italo
Pietra, ex-partigiano come lui: "Avevo quarant'anni, conoscevo il mestiere,
Pietra mi aveva assunto, doveva aiutarmi, capii che era arrivato il momento
di impormi e nel giornale delle notizie brevi chiesi pagine intere, come il
primo servizio su Vigevano, la città dei calzolai". L'incipit di quel
servizio è rimasto memorabile nel giornalismo italiano: "Fare soldi, per
fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive non le ho viste.
Di abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari a
battaglioni affiancati, di librerie neanche una". Sono gli anni in cui, sul
Giorno che rappresentava il nuovo, le inchieste di Bocca raccontano l'Italia
del boom economico. Cronache magistrali, che hanno fatto scuola per
efficacia, personalità, curiosità. Più preziose di un libro di Storia.
"Allora, quando giravo l'Italia per le mie inchieste, mi ero quasi convinto
di essere uno che incuteva paura ai potenti, che poteva dirgli in faccia
quel che pensava di loro. La megalomania dei giornalisti è quasi
sopportabile nella sua ingenuità. La verità è che ero il giornalista di
Enrico Mattei, del potentissimo Eni con cui i 'padroni del vaporè dovevano
fare i conti".
Così Bocca racconta i capitalisti alla Pesenti, ma anche i nuovi ricchi come
gli ex-mezzadri di Carpi diventati industriali della maglia, e poi la
Lombardia dei treni operai, il processo Eichmann in Israele, il '68 francese,
la strage di Piazza Fontana, le Olimpiadi di Monaco. "Nel '64 ero a Tokyo
per seguire le Olimpiadi e il Giorno, con la disinvoltura geografica tipica
dei giornalisti, mi fece sapere 'Visto che sei lì, fai un salto a Saigon'.
Tornerà poi altre quattro volte a raccontare la guerra del Vietnam.
Nel '76 Giorgio Bocca è fra quelli che si imbarcano nella nuova avventura di
Repubblica, accettando la scommessa di Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo,
quella di un quotidiano nazionale che vada a sfidare il radicamento di
concorrenti storici, il Corriere della Sera, la Stampa, il Messaggero. Bocca
racconta gli anni di piombo del terrorismo: "Era molto difficile fare il
giornalista nei giorni del terrore. Il nemico che poteva ucciderti o
gambizzarti poteva essere il signore della porta accanto, o un amico di tuo
figlio. Un giorno vado a un'assemblea studentesca, si avvicina un giovane e
mi chiede: 'Tu sei Giorgio Bocca, il giornalista?'. Sì, rispondo. 'Spiegami
una cosa: perché nei tuoi articoli dici che non sai chi sono e dove vivono i
brigatisti rossi? Vedi, in quest'aula ce ne sono almeno cinque, tre regolari
e due ausiliari, non ancora clandestini, vivono a casa loro e collaborano
quando occorrono'".
Racconta i terroristi, andandoci a parlare, ma anche il generale Dalla
Chiesa che dà loro la caccia. Nell'agosto del 1982 va a trovare a Palermo il
generale, nominato prefetto antimafia: ne esce un'intervista memorabile,
amarissima, rivelatrice dell'isolamento che avrebbe portato al suo
assassinio soltanto un mese dopo. E ancora Bocca torna a raccontare l'Italia
che cambia, la rivincita delle campagne piemontesi ed emiliane in chiave
industriale. Il sindacalismo, l'ascesa di Bettino Craxi, il successo di
Silvio Berlusconi con la nuova tv commerciale. Il leghismo e Umberto Bossi.
Il sacrificio consapevole di Falcone e Borsellino.
E lungo tutta la carriera, i libri: dalla bellissima autobiografia Il
Provinciale, al racconto della guerra partigiana, la storia della guerra
fascista, la biografia di Togliatti, e i molti altri. E sempre volentieri
Bocca è tornato sui luoghi della sua formazione, le montagne amate e vissute,
di quando da "viaggiatore spaesato" (è il titolo di uno dei suoi libri più
belli) riandava a rifugiarsi nella casa valdostana. Cercando il senso dello
spaesamento nel silenzio della neve, scrutando aquile e gatti, alberi e
prati. Nell'ultima pagina di "E' la stampa, bellezza! La mia avventura del
giornalismo" consegnava brusco una piccola lezione: "Ecco, la chiarezza come
dote regina del giornalismo. Spesso cambiata per faciloneria o
irresponsabilità, ma da cercare sempre, in modo che alla fine del viaggio
uno possa dire: non ho camminato alla cieca, non ho capito tutto, ma i
nostri grandi vizi e le nostre umane virtù li ho riconosciuti".
(repubblica.it / puntodincontro)
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28 diciembre de 2011. - "Cuando Italia fue liberada, primero nos
desarmaron, me refiero a nosotros los partisanos, y luego nos pidieron
mantener vigente al Estado. A mí, que había encabezado una división de
Justicia y Libertad, ofrecieron como opción, un puesto de subprocurador o de
alcalde. Les dije que prefería un trabajo como periodista de GL, la edición
de Turín de "Italia Libre", el periódico del Partido de Acción de esa
ciudad". En el río sin fin de la vida profesional de Giorgio Bocca es raro
encontrar lecciones de alguien que se cree maestro de periodismo. Sin
embargo, encontramos este momento clave: el partisano Bocca que, después de
haber dejado las armas contra su voluntad, decide que para "mantener de pie
al Estado" había mejores cosas que saltar a la política. Había que relatar
las historias de un País, viajar, informar, conocer gente y hacerse
preguntas.
Eso fue lo que hizo a lo largo de su segunda vida, sin olvidar jamás la
primera como partisano que lo marcó para siempre. Su única, rápida, clase de
periodismo también es de aquello años: "El trabajo del periodista está hecho
de muchas cosas que se aprenden: escribir con claridad y rapidez, tener
capacidad de síntesis, no perderse en dudas y vacilaciones, pero también ser
culto, abierto al mundo y a sus lecciones, capaz de sentir emociones,
solidaridad humana". Y a los jóvenes que le preguntaban cuál era el secreto
(se llamaban Egisto Corradi, Bernardo Valli, Angelo Del Boca, Alberto
Cavallari, Gigi Ghirotti), Bocca respondía con una pequeña revelación: "No
se preocupen, si hay un secreto, es lo que ya tienen en mente, el secreto de
los que tienen oído para los sonidos de la creación, de los que tienen buen
ojo para la caza, de quienes saben defenderse y atacar".
De GL pasó a un verdadero periódico: la Gazzetta del Popolo, en los
tumultuosos años de la posguerra. Son los años en los que Bocca descubre la
crónica de las barricadas, las carreras de aventura hacia los sitios de los
crímenes. "La política es a menudo una excusa para seguir matando. Y
nosotros que relatamos en los periódicos lo que sucede vivimos borrachos de
juventud entre los crímenes y los escombros de los bombardeos, en los
agujeros urbanos abandonadas por los vencidos.
La asesina de Correggio. Las huelgas y las luchas de los trabajadores
campesinos. El tardío regreso a las armas de pequeños grupos de partisanos,
como el de "un tal Tek Tek, que se refugió en un castillo del Monferrato", y
la visita de Bocca terminó en la mesa con una "bagna caoda". Las venganzas
del "triángulo rojo".
La masacre de Villarbasse. La inundación de Polesine, saliendo de prisa
en la noche después de recibir la noticia de que el Po se salió de su cauce
en Occhiobello. "Mi coche es un Topolino rojo, 500 cc, dos asientos, pero va
sobre hielo y lodo y no se descompone nunca". Y luego en lancha por las
aguas que inundan los pueblos, "navegamos para recoger sobrevivientes y para
escuchar sus historias".
En 1954 se transfirió a Milán, para colaborar con el Europeo de Rizzoli.
"El Europeo fue una escuela de periodismo. Camilla Cederna, una gran dama de
Milán, fue mi maestra, una mujer elegante y curiosa, de una curiosidad
inagotable que la mantenía a salvo del tiempo, sin una arruga, sin una pizca
de cansancio, un testigo atento que disfrutaba relatar historias".
Y Oriana Fallaci: "Yo estaba en el atrio de Rizzoli en Piazza Carlo Erba,
y de repente desde arriba escucho la voz de Oriana que le grita a uno de los
empleados: Riva, ¿Qué estás haciendo? ¿A ese idiota de Bocca ocho columnas y
para Oriana solo un rinconcito de la plana? Los viajes por el mundo
acompañado por el fotógrafo Moroldo, "Que no sólo era un buen fotógrafo,
sino también mi guardaespaldas: era más alto que los enormes Watussos,
fuerte y ágil. En búsqueda de la esposa Begum del Aga Khan, a caza de una
entrevista con el Rey Negus de Etiopía, en Israel para la guerra de los Seis
Días.
(repubblica.it / puntodincontro) |
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