Cuarón racconta l'orrore
del futuro senza bambini


Applausi per "The Children of Men" del regista messicano
ambientato nella Londra nel 2027 fra guerre e persecuzioni

VENEZIA, 3 settembre 2006. - L'inferno prossimo venturo è un mondo senza le voci, le risate, il pianto dei bambini. Uno scenario da incubo che scuote, oggi, la Mostra del cinema: a portarlo qui al Lido è uno dei registi più trendy di questo inizio Millennio, Alfonso Cuarón, col suo The Children of Men. Opera che, attraverso le gesta di un eroe per caso - incarnato dal bel tenebroso Clive Owen - ci mostra un futuro molto, molto simile al nostro presente. A base di inquinamento, guerra civile, immigrati trattati come bestie e chiusi in campi di concentramento. E in cui l'infanzia, la speranza, sono state cancellate.

Un film che, a giudicare dagli applausi riservati a regista e protagonista, la platea di giornalisti ha apprezzato. Tratto dall'omonimo romanzo di P. D. James, ha come protagonista assoluto Theo, quarantenne che si muove nella Londra del 2027. In un paese impazzito e violento, in cui chiunque non è britannico doc viene perseguitato. Ma, soprattutto, su un pianeta in cui, da quasi vent'anni, non nascono più bambini, per un'ondata di infertilità dalle cause sconosciute.

La vita spenta, opaca, passiva del personaggio viene scossa dalla ricomparsa di Julian (Julianne Moore), sua ex compagna e madre del loro figlio (morto bambino), che poi si è data alla clandestinità ed è diventata leader di un movimento che combatte la persecuzione degli immigrati. La donna gli chiede di far avere un permesso di transito a una ragazza africana, Kee (Claire Hope-Ashitey). Solo che le cose precipitano, proprio quando il nostro eroe scopre l'incredibile verità. E cioè che Kee è incinta all'ottavo mese: un "miracolo" che deve essere nascosto alle autorità, per poter portare la ragazza in salvo, fuori dal Paese.

E toccherà proprio al riluttante Theo portare avanti l'impresa, aiutato dall'amico di sempre Jasper (Michael Caine). Inseguito sia dai poliziotti che dai terroristi. Alla fine, proprio mentre scoppia una grande rivolta, una speranza di salvezza, per la madre e per la sua bimba appena nata, ci sarà.

Insomma una pellicola di genere - ci sono violenza, inseguimenti, sparatorie - che però tocca corde profonde: dal dono della maternità alla follia di una politica repressiva verso gli immigrati. Ma è forse il tema di una Terra senza bambini a colpire di più. Non a caso il film si apre col mondo commosso per la morte di baby Diego, diciotto anni, il più giovane abitante del pianeta; e si chiude, sui titoli di coda, con una colonna sonora a base di risate di bambini.

Semplice fantascienza? Cuarón (Y tu mama tambien, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban), qui al Lido, assicura di no. "In realtà non volevamo fare un film sul futuro - racconta - ma parlare del nostro presente. Quello che vediamo sullo schermo in parte accade già. Infatti, per illustrare le scene di guerra all'interno del film, ho fatto vedere sul set foto della Bosnia, dell'Iraq, della Palestina". Il regista nega però che il messaggio sia così cupo: "Non è un'opera pessimistica - sostiene - piuttosto, una visione realistica sull'oggi. Con una certa dose di speranza. Per questo, nei miei vari film, ci sono spesso bambini, o giovani: rappresentano il mio credere in un'evoluzione positiva dello spirito umano".

Meno enfasi, invece, Cuarón la mette sul simbolismo religioso della storia: un uomo e una donna incinta che deve partorire, in fuga dalle persecuzioni, proprio come la sacra famiglia. "Questo aspetto c'è più nel libro - spiega il regista - io ho cercato di enfatizzarlo meno. Ma affettivamente Theo è una sorta di Mosè, che tenta di arrivare nella Terra Promessa".

Per Clive Owen, sicuramente un ruolo non facile. "La sfida maggiore, nell'interpretarlo - dichiara l'attore - era rendere il suo essere così distaccato, così antieroico. Un tipo così riluttante che, se avesse potuto scegliere, certamente non sarebbe stato in questo film!".

 

Da Repubblica.it