Morricone, ovazione a New York

Mezz'ora di bis e cinque chiamate in scena

5 febbraio 2007. - E poi dicono la pensione. A 78 anni suonati, Ennio Morricone si trova davanti una vita mai tanto intensa: almeno due nuove musiche da film, una per San Pietroburgo di Giuliano Montaldo e una che discuterà a Los Angeles alla fine di febbraio, più una serie di colonne ormai in corso d’opera; ma in più nuovi concerti da dirigere gli sono stati già fissati a Los Angeles e nuovamente a New York, mentre altri teatri si stanno mettendo in fila fra l’Illinois e il Massachusetts dopo che l’annuncio dell’imminente conferimento dell’Oscar alla carriera ha scatenato negli americani una di quelle bordate di entusiasmo di cui solo loro sono capaci, sull’onda di un premio prestigioso.

Perché questo fa Morricone. Porta a spasso la propria storia artistica, incorniciata dalla sicurezza dell’orchestra Roma Sinfonietta e da un coro di 109 intimiditi elementi trovati sul posto: che alle prove lo avranno pur fatto innervosire ma poi, nella cornice solenne del Radio City Music Hall stipato di 5500 persone, se la sono cavata dignitosamente. Mezz’ora di bis, cinque chiamate in scena, standing ovations a non finire ci hanno titillato un sopito orgoglio, sull’onda di quello stile tutto italiano e senza piaggerie esterofile che sa far convivere il rigore con la fantasia, il pop con la classicità, la rumoristica con l’eleganza, il sentimento con una tecnica impeccabile.

Se il colpo d’occhio sul palcoscenico era impressionante, nella sua maestosità, il repertorio era disegnato per accarezzare l’inconscio del pubblico cinematografaro (e infatti tutti i vip nelle prime file venivano da quell’ambiente: da Brian De Palma ai fratelli Coen a Willem Dafoe, mentre alla fine Springsteen ha dato buca, mandando però John Landau) ma anche per accontentare i cultori della musica strumentale, che sta riprendendo con forza terreno. Ha aperto la potenza dolorosa ed evocativa del tema degli Intoccabili, sono seguite le folate nostalgiche di Nuovo cinema paradiso, subito riconosciute e applaudite; ma è ovvio che il trionfo sia stato per la parte centrale dedicata al West di Sergio Leone, con la voce solista di Susanna Rigacci che faceva «Scion scion» nel tema di Giù la testa, e il coyote che disegnava il caldo e il deserto di The Good, the Bad and the Ugly, cioè Il buono, il brutto e il cattivo: puoi sentirlo questo pezzo mille volte, ma continua a sorprendere. Poi il cinema sociale, Casualties of War di De Palma e Abolisson da «Queimada» di Gillo Pontecorvo del ’69, squarciato da quella tromba che sembrava evocare Penny Lane, e l’onomatopea del Clan dei siciliani, e Metti una sera a cena con la sua eleganza svagata e pericolosa. Gran finale, prima dei bis, con Mission, senz’altro la parte più magniloquente. Più o meno lo stesso repertorio era stato messo in scena, abbreviato, nella serata dell’Onu, dove il pezzo forte era però rappresentato dalle Voci del silenzio, scritto dopo l’11 settembre in onore delle vittime di tutte le guerre. Ma è come se il cinema mettesse le ali alla fantasia del maestro: le sue musiche più ispirate sembrano sempre quelle nate sulle ali di una storia da raccontare, dramma o una commedia brillante che sia.

Provato da tante emozioni, alla fine Morricone ha dato forfait solo nella parte più privata del suo trionfo, quando dopo aver ricevuto l’omaggio di centinaia di giovani che lo aspettavano fuori dal Radio City Music Hall in un freddo da calotta polare prima maniera, ha preferito tornare in albergo anziché andare dagli amici italiani che lo aspettavano con una torta al cioccolato per festeggiarlo nella quiete di una bella casa sulla Bowery. E con la moglie, i quattro figli e i nipotini che lo hanno accompagnato (e lo accompagneranno anche a Los Angeles per gli Oscar) l’artista si è finalmente concesso il lusso di un riposo.

 

Da La Stampa.it