Dal bilancio in rosso
spunta Lilli la rossa
La crisi di La7 non ferma la corsa di Lilli Gruber alla direzione.
Tra debiti e incertezze la tv di Telecom Italia taglia i giornalisti.

7 ottobre 2008. - Sembrava una di quelle scene che si vedono soltanto nei film americani. Eppure, proprio il giorno in cui il nuovo amministratore delegato di Telecom Media Giovanni Stella si è presentato con un numero alla Michael Douglas, molti hanno cominciato a sospettare una brutta fine per «La7», la più chic delle tv. È il 5 giugno e il dottor Stella presenta le sue credenziali a ottanta giornalisti, riuniti ad ascoltarlo in uno studio televisivo. Con un pennarello Stella tratteggia su una lavagnetta due assi cartesiani sui quali deposita il suo assioma: «I giornalisti si dividono in cotiche, muli, smart & clever, bravi e furbi».

Poi, per far capire che lo stato di salute di Telecom media (La7, l’agenzia Apcom, Mtv), imporrebbe cure drastiche, il manager propone una originale metafora: «I giornalisti di Apcom sono come un foruncolo in una zona fastidiosa, che in autunno dovremo estirpare...». La7? Lo dice Stella che è una tv che propina «trasmissioni da fighetti» e quando parla di sé stesso, propone questo autoritratto: «Io sono arido e cinico». Un giornalista, per stemperare l’atmosfera: «E sua moglie che dice?». E lui, che parla un umbro impastato di romanesco: «Mi’ moje? È contenta, anche lei è cinica è arida». Lo hanno soprannominato poco simpaticamente «il canaro», ma in fondo a Stella non dispiace passare per un tagliatore di teste, talora se ne compiace («ci ho lavorato 30 anni a questa reputazione...») e in ogni caso è un signore che ha mostrato una sua coerenza operativa: centotredici giorni dopo quell’assemblea, il 26 settembre, Stella ha notificato al Cdr, il sindacato della redazione, il licenziamento di 25 giornalisti.

Nessun nome è indicato, ma nel documento sono tratteggiati identikit dei licenziandi che somigliano ad altrettante fotografie. Senza ricorrere allo stato di crisi, Stella ha messo in campo l’escamotoage del licenziamento collettivo, facendo leva su conti in profondo rosso, 308 milioni di euro nel quinquiennio 2003-2007. Dal punto di vista sindacale un braccio di ferro tra la ragione forte di chi rischia di perdere il lavoro e quella di un leader d’azienda, il capo di Telecom Franco Bernabè, che ha deciso di tamponare un buco che rischia di diventare nero. Dal punto di vista dei telespettatori e del pluralismo del sistema televisivo una beffa: entra in crisi una tv, La7, che ha tentato di farsi largo tra giganti superdotati come Rai e Mediaset, puntando sull’originalità, su sprazzi di tv introvabili altrove, su invenzioni che hanno fatto tendenza.

La7 è la televisione della coppia Ferrara-Lerner, di Maurizio Crozza e delle «Markette» di Piero Chiambretti, delle invasioni barbariche di Daria Bignardi e di Sex and the City, dei visi e dei temi non consumati dell’Infedele ed è anche la tv che ha inventato il doppio telecronista per le partite di calcio e ha inaugurato la stagione delle dirette no-stop dei grandi eventi politici e di cronaca, due trovate diventate un fiore all’occhiello per Sky. Sono giorni amari nel Centro di Produzione de La7, in via Novaro. In una redazione dagli spazi angusti - cassette, fogli e monitor, tutto è compresso in pochi metri quadrati - si ragiona sui colleghi che rischiano grosso ma anche su come si sia arrivati a questo punto: «Oramai è storia - sostiene Stefano Ferrante del Cdr - tutti gli imprenditori ambiziosi avvicendatisi nella proprietà de La7 - e prima di Tmc - hanno provato a farne il terzo polo, ma davanti all’impossibilità politica, hanno spremuto l’azienda».

Ripercorsa a ritroso, effettivamente, la storia di questa tv fa impressione: imprenditori come Vittorio Cecchi Gori, Roberto Colaninno e Marco Tronchetti Provera hanno provato a spiccare il volo, ma sono stati ricacciati indietro dalla tenaglia bipartisan Rai-Mediaset. Nel 2001 la grande occasione: Colaninno affida a un manager agguerrito come Lorenzo Pelliccioli il piano per metter su una grande tv, con star, lauti contratti, una formidabile raccolta pubblicitaria. Un progetto che potrebbe terremotare il duopolio. A maggio, appena Berlusconi vince le elezioni, partono le «intimidazioni» a Colaninno, che reagisce («Quelli del centro-destra non starnazzino!»), ma poi è costretto a cedere Telecom. Sotto la gestione Tronchetti (caricato dalla moglie Afef, a lei il giocattolo piace), con la guida operativa di Antonio Campo Dall’Orto partono format di successo ma fuori mercato e il rosso cresce.

Da ultimo, con l’arrivo di Franco Bernabè, parte l’operazione-rientro. Probabilmente per i cachet diventati meno sonanti lasciano La7 la Bignardi, Chiambretti, quasi certamente Ilaria D’Amico e partono i licenziamenti dei giornalisti. Una grande fuga che sembrerebe l’inizio della fine, senonché, in controtendenza, è spuntato un grosso calibro come Lilli Gruber, con il compito di condurre (assieme a Federico Guiglia) «Otto e mezzo». La Gruber oltre a dimettersi dalla Rai, ha lasciato il seggio europarlamentare («così ho perso i diritti alla pensione»), un comportamento d’altri tempi, probabilmente incoraggiato da una prospettiva, interessante: quella di diventare direttrice de La7. L’attuale direttore, Antonello Piroso - già artefice di un programma di successo come il mattiniero «Omnibus», improntato ad un atteggiamento non complice con i politici, ma con un cattivo rapporto con la redazione - è stato sondato dall’azienda. Se troveranno un accordo, Lilli la rossa prenderà il comando.

 

(La Stampa.it)