Una menzogna lunga 1200 km
Un muro che non si costruirà mai fra il messico e gli stati uniti.
Di Mario Vargas Llosa.

23 ottobre 2006. - Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la costruzione d'un muro di 700 miglia (circa 1200 chilometri) alla frontiera con il Messico che costerà settemila milioni di dollari per mettere un freno all'immigrazione illegale, e il presidente Bush ha promesso di promulgare la legge con effetto immediato. Per qualcuno, come chi scrive, che subisce il fascino dell'intreccio tra fantasia e realtà, la notizia non potrebbe essere più eccitante.

Perché? Perché questo muro non si costruirà mai e se, per un miracolo, si arrivasse a costruirlo, non servirebbe assolutamente a nulla. Questo lo sanno tutti, cominciando, ovviamente, dai legislatori che hanno approvato la legge e dallo stesso Presidente Usa. Perché, allora, tutta questa messinscena? Perché il 7 novembre si terranno negli Stati Uniti le elezioni per il rinnovo della Camera dei rappresentanti e, parzialmente, del Senato; e i congressisti in cerca di rielezione vogliono brandire questa legge come prova che hanno incominciato a contrastare energicamente il pericoloso demonio rappresentato dagli immigrati illegali che tolgono lavoro agli americani e depauperano la Sicurezza Sociale (altra fiction stuzzicante). Il muro di menzogne attraverserà quattro stati - Arizona, California, New Messico e Texas - e sarà costituito da due trincee e da un fantascientifico sistema di riflettori, reti, sensori e radar d'ogni tipo per essere assolutamente impenetrabile. Bene, a cosa servirebbe chiudere in tal modo quei 1200 chilometri quando rimangono altre 1200 miglia (circa 2000 chilometri) di frontiera aperta lungo la quale gli immigranti messicani e del Centro e Sudamerica potrebbero infiltrarsi in territorio nordamercano senza grandi problemi evitandosi il disturbo di varcare il settore fortificato ed elettrificato? Ma queste sono congetture senza il minimo rapporto con il mondo della realtà perché la costruzione di questo muro immaginario per diventare concreta dovrebbe superare una miriade di ostacoli già anticipati dai media statunitensi che io - lo confesso - leggo, ascolto, vedo con autentico piacere.

Per ora un'infinità di sindaci e di governatori dei quattro stati che il muro dovrà attraversare hanno fatto sapere che esigeranno che un tale investimento miliardario sia orientato, piuttosto, ad altre infrastrutture - strade, scuole, installazioni di pubblica utilità - e parecchie comunità di nativi hanno alzato grida promettendo azioni giudiziarie per impedire che il muro tagli le loro terre coltivate o i pascoli, mentre altre circoscrizioni lasciate ai margini del tracciato del muro di fantasia minacciano di adire le vie legali perché questo sia rettificato in quanto le discrimina. Ma a scendere in campo sono soprattutto le potenti organizzazioni ecologiste assicurando che sfrutteranno tutte le possibili risorse politiche, giuridiche e civili per impedire che venga innalzato un tale monumento al saccheggio e all'inquinamento che distruggerebbe l'ambiente. Ed è stupefacnte che i legislatori, preoccupati della salute pubblica, abbiano incluso nella legge una clausola-imbroglio in base alla quale viene consentito al governo di utilizzare parte dell'investimento destinato al muro per la costruzione di sentieri!

Se questo muro riuscirà a sopravvivere al mare di blocchi giudiziari che lo attende e che, in ogni caso, ne paralizzerebbe la costruzione per molti anni, non sarà in grado di arrestare minimamente l'ingresso di immigrati illegali negli Stati Uniti. E' un fatto evidente di per sé, chiarissimo per chiunque abbia la fronte alta più di due dita e non sia reso cieco dal pregiudizio, questa fantasia maligna secondo la quale gli immigrati recano più danni che benefici al paese che li ospita. Stamane, qui a Washington, la stampa rende noto che, cifre ufficiali alla mano, gli immigrati ispanici nell'ultimo anno hanno spedito ai propri familiari in America Latina l'astronomica somma di 45 mila milioni di dollari, circa il 60% in più rispetto a due anni fa quando venne realizzata l'ultima ricerca. Da questa cifra chi vive di pregiudizi deduce che gli immigranti sono responsabili d'una terribile emorragia del patrimonio nordamenricano. Ma la giusta lettura di questi numeri deve portare, piuttosto, a valutazioni improntate all'ammirazione e all'entusiasmo perché significa che gli immigrati di origine latinoamericana hanno prodotto nell'ultimo anno per gli Usa una ricchezza quattro o cinque volte maggiore.

Una ricchezza che si è fermata nel paese ed è servita a incrementare il reddito nazionale. E 200 o 250 mila milioni di dollari sono un contributo assai apprezzabile per un'economia che, come dimostrano tutte le statistiche, gode d'una stagione di straordinario benessere e, tra tutti i paesi sviluppati, vanta il maggior indice d'occupazione (appena un 4,5% di disoccupazione). Per comprendere, però, perché questo muro immaginario sarà inutile - un'involontaria scultura rampante che sale e scende tra gole e montagne dell'Arizona e crea cicatrici nei deserti californiano e texano - più delle statistiche che raramente convincono qualcuno, vale la storia di Emerita (la chiamerò così perché conosco parecchie guatemalteche che hanno questo nome). L'ho conosciuta tre anni fa quando m'ero fermato qui a Washington per sei mesi, proprio come sto facendo adesso. Le offrimmo di lavorare e lei ci rese un magnifico servizio perché nelle due ore che passava tra noi con le sue lucidatrici, scope elettriche e piumini per spolverare, lasciava la casa linda come una macelleria svizzera. Per quelle due ore di lavoro chiedeva sessanta dollari. Ora che abbiamo avuto la fortuna di poterla ricontattare, chiede per ogni volta novanta dollari. In realtà ci fa uno sconto perché tutti i nostri vicini per questo servizio (fatto, nella stragrande maggioranza dei casi, dagli immigrati hispanics) la pagano cento dollari. Emerita è una cittadina dell'America Centrale che vive ormai da 10 anni negli Usa e se la cava abbastanza bene con l'inglese. Ha un fuoristrada Buick ultimo modello e un'attrezzatura ultramoderna per spazzare, lustrare, pulire e innaffiare. Il sabato - lavora sei giorni alla settimana e la domenica riposa - può contare sull'aiuto del marito che, nel resto della settimana, fa il giardiniere. Non so quanto guadagni lui, ma Emerita pulisce quotidianamente una media di quattro case, a volte cinque: il che significa che il suo introito mensile non è inferiore agli ottomila dollari. Grazie a questo lei e il marito hanno potuto comprarsi una casa qui a Washington e un'altra nel loro paese d'origine. Prima di venire negli Stati Uniti la coppia sopravviveva a fatica, ma la cosa peggiore, dice Emerita, non era tanto questa, quanto «non avere nessuna speranza d'un futuro migliore.

Ecco la grande differenza con gli Stati Uniti». Sì, effettivamente questa è l'immensa, siderale differenza, e questo è il motivo per il quale migliaia, decine di migliaia, milioni di latino-americani che conoscono assai bene la storia di Emerita e di suo marito, seguono la loro strada, scappano da paesi-trappola nei quali non esiste speranza e arrivano in questo attraversando fiumi, scalando montagne, nascosti in camion o pagando le innumerevoli ed efficientissime mafie che falsificano i passaporti, i visti, i permessi e tutto quello che serve perché possano entrare qui dove - lo sanno e proprio per questo vengono - li stanno attendendo a braccia aperte. La prova? Tutti trovano quasi immediatamente un lavoro. I lavori che, ovviamente, non vogliono fare gli statunitensi. Pulire le case, accudire gli ammalati, fare le guardie notturne, bruciarsi sotto il sole nella mietitura e adattandosi, nelle fabbriche e nel commercio, a svolgere i compiti più elementari e precari. Così gli stessi americani che si strappano i capelli parlando dei pericoli dell'immigrazione, li fanno lavorare senza difficoltà perché, grazie alle varie Emerita, hanno le case linde e le fabbriche che funzionano e migliaia di istituzioni e di servizi in piena attività.

L'unico modo per arrestare l'immigrazione è che il Messico, l'America Centrale e quella del Sud incomincino a offrire alle loro masse di diseredati maggiori opportunità e quella speranza di vita migliore e di promozione sociale che gli hispanics trovano negli Stati Uniti e che è, attualmente, il grande incentivo a rompersi la schiena faticando giorno e notte. I sette mila milioni di dollari che costerebbe il muro delle menzogne avrebbero un'utilità più concreta, relativamente ai problemi connessi all'immigrazione illegale, se invece d'essere sprecati per una fantasia di cemento che, quand'anche fosse edificata, diventerebbe a poco a poco un muro con più buchi d'una gruviera, fossero investiti in fabbriche o in crediti destinati a creare posti di lavoro dall'altra parte della frontiera o se questa venisse aperta ai prodotti latino-americani, cosa che, oltre tutto, porterebbe enormi vantaggi ai consumatori locali. Ma tutto ciò appartiene al regno della rigorosa realtà ed è risaputo che gli esseri umani - compresi i «gringos» che si vantano d'essere così pragmatici - spesso preferiscono la magia della fantasy alla vita vera nella sua crudezza.

 

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