Cento film per fare gli italiani
Più della politica, nel dopoguerra è stato il cinema
a costruire l'identità nazionale.

1948. - Una scena di "Ladri di biciclette", di Vittorio de Sica.29 febbraio 2008. - Troppe notti prima degli esami, troppi deliri adolescenziali, troppe crisi coniugali: il cinema italiano viene accusato di essere incapace di raccontare l'Italia di oggi, di avere in pratica rinunciato a proporsi come lo specchio dell'identità profonda del paese, abbandonando la grande tradizione che fu del neorealismo negli anni del dopoguerra e della commedia all'italiana in quelli del boom economico. Allora furono proprio i film a mettere in scena i tratti salienti di un'Italia prima povera e disperata (Umberto D, Ladri di biciclette, La terra trema) poi «miracolata» da uno sviluppo economico tanto intenso quanto improvviso e radicale (Il sorpasso, Rocco e i suoi fratelli, La dolce vita, La vita agra). A rilanciare il dibattito interviene ora l'iniziativa di Fabio Ferzetti e dell'Associazione «Giornate degli autori. Venice days» che hanno chiesto a un gruppo di critici, registi, scrittori, storici e storici del cinema di scegliere 100 film italiani prodotti tra il 1943 e il 1978 e ritenuti particolarmente significativi per la loro capacità di «raccontare» l'Italia, allo scopo di istituire una sorta di vasto archivio nazionale con i film disponibili in un grande numero di copie e liberi di circolare senza oneri commerciali e altri intralci burocratici in tutte le scuole italiane. Come è stato fatto già in altri paesi, si tratta di sottrarsi al capestro del copyright e costruire un patrimonio comune, facilmente accessibile sia per la didattica sia per la ricerca .

Scegliere cento film nella produzione sterminata di quei decenni non è stato facile, anche perché al centro della riflessione c'era non tanto la storia del cinema, ma la storia d'Italia e il modo in cui il cinema ha interagito con essa. Tanto per fare qualche esempio delle difficoltà incontrate, film poco riusciti come Corbari (1970) sono tuttavia significativi per documentare il clima acceso dell'antifascismo militante di allora, così come Il sospetto (1975), che non ha lasciato tracce significative nella storia del cinema, è fondamentale per chi voglia documentarsi sulla storia del Pci. Il paradosso che deve affrontare lo storico è più o meno questo: brutti film possono essere importanti più di tanti capolavori se giudicati con il metro della capacità di intercettare lo spirito del loro tempo e dell'efficacia della loro narrazione. Alla fine, la «rosa» prescelta sembra rispecchiare un giusto equilibrio tra la «storicità» dei vari film e il loro valore artistico ed estetico. Indipendentemente dai singoli titoli resta il fatto che il loro insieme offre una buona opportunità di conoscere i dati essenziali delle caratteristiche assunte dal progetto di «fare gli italiani» nell'Italia repubblicana.

Se è vero infatti che a «immaginare» una nazione concorrono racconti, simboli, spazi geografici, è anche vero che, tra i tanti racconti possibili, quello del cinema assume un ruolo strategico proprio perché propone le immagini con cui la nazione viene immaginata. E in ogni film, accanto ai racconti, ci sono i simboli e ci sono gli spazi geografici sia che si tratti, come in passato, di Paisà, sia che si tratti, come oggi, del Ladro di bambini.

Così, ritornando ai dubbi iniziali, certamente in alcuni momenti storici, penso all'Italia della ricostruzione e al neorealismo, il rispecchiamento-racconto è stato quasi perfetto. Ma anche oggi, in un'epoca in cui il concetto stesso di nazione va continuamente ridiscusso alla luce dei flussi di uomini, merci, capitali che sorvolano i confini territoriali degli Stati per alimentare l'universo planetario della globalizzazione, anche oggi, quando il cinema sembra smarrire le sue peculiarità nazionali all'interno di un mercato compiutamente transnazionale, i film continuano a imprigionare tracce più o meno vistose dei caratteri originari di un paese. Basti ricordare la grande narrazione della storia dell'Italia repubblicana offertaci da La meglio gioventù attraverso la ricomposizione sapiente delle date e dei «luoghi» che formano l'Italia (Roma, 1964, gli echi del boom economico; Venezia, Porto Marghera, l'inizio dell'inquinamento nel Petrolchimico; Firenze, 1966, l'anno della grande alluvione; Torino, 1970, il terrorismo e gli scontri di piazza; 1980, la crisi della Fiat, gli operai in cassa integrazione; Palermo, 1991 l'attentato al giudice Falcone; ecc.). Anzi, con l'affievolirsi della capacità della politica, delle istituzioni e dello Stato di definire appartenenze e di costruire identità, è proprio il cinema che oggi contribuisce in modo determinante a «fare gli italiani», grazie all'ampiezza e alla varietà del suo pubblico, alla sua rappresentatività rispetto all'insieme della società nazionale, alla straordinaria capacità di inclusione dei suoi racconti.

 

(La Stampa.it)