Lucrezia Borgia,
la figlia del Papa

Donne d'Italia.
Di Claudio Bosio.

 

5 ottobre 2010. - Alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, una teca, in vetro, bronzo e malachite  (opera di Alfredo Ravasco, uno dei più rinomati orafi del primo’900) racchiude una reliquia indiscutibilmente profana, davanti alla quale d'Annunzio si inginocchiò reverente e Lord George Gordon Byron (1788-1824) fu indotto a rubarne un frammento: una ciocca di capelli, straordinariamente biondi.  Sono i riccioli che Lucrezia ([1]) Borgia (1480-1519) si sarebbe recisa e donato come pegno d’amore a Pietro Bembo (1470-15429), uno dei più illustri letterati (e poi cardinale!) del Rinascimento.

«Sono i capelli più biondi che si possano immaginare e che mai ho visti di così biondi», scriveva il poeta romantico inglese quando, ventottenne, giunse a Milano nel 1816. All'epoca i capelli erano chiusi in un cofanetto di vetro conservato assieme alla corrispondenza amorosa intrattenuta, appunto, con il Bembo, dall’allora «Duchessa di Ferrara», moglie di Alfonso d’Este, nonché figlia di Alessandro VI, 214° Papa della Chiesa di Roma, il valenciano Roderic de Borja i Borja (in arabo «Torre del castello») poi italianizzato in Rodrigo Borgia (1431-1503).

Poco tempo dopo, da Verona, Byron scriveva ancora all'amico John Murray dicendogli che era riuscito a corrompere il custode dell'Ambrosiana e a farsi dare uno di quei capelli biondo-platino. Da allora, per tutto l'800, la ciocca divenne una passione feticistica, uno dei miti romantici, nonché la principale attrazione di letterati e poeti che si trovavano a passare per Milano. Così, nel 1845, «la reliquia» accese la fantasia di Gustave Flaubert (1821-1870), l' autore di Madame Bovary e dieci anni più tardi fece sognare i fratelli Edmond (1822-1896) e Jules (1830-1870) de Goncourt.

Si narra inoltre che il principe, scapolo impenitente, Giorgio di Prussia (1838-1890) avesse appositamente inviato a Milano due suoi ufficiali con l’incarico di «osservare la ciocca con la massima attenzione» e farne un resoconto.

Ma come sono arrivati questi capelli a Milano?

Esattamente non si sa: l'unico fatto certo è che la ciocca è presente negli inventari manoscritti fin dal 1685. Comunque, nel 1928, si decise di trovare un espositore adeguato ai venerati riccioli biondi e Alfredo Ravasco, scultore e gioielliere degli anni '30, realizzò l'attuale teca (alta 30 centimetri) con una base in malachite e ai due angoli inferiori, appesi ad una catenella di perle, due medaglioni con l'insegna araldica dei Borgia:un toro.

Ma chi era davvero Lucrezia Borgia?

Il suo ritratto, famoso, opera di Bartolomeo Veneto (1502-1555) (attualmente presso il Städelsches Kunstinstitut, di Francoforte sul Meno) la raffigura  come una splendida giovane donna, con un seno scoperto, la carnagione chiara, grandi occhi azzurri e una cascata di capelli d'oro, lunghi e arricciati. In contrasto con questa immagine, la tradizione prevalente la descrive come un personaggio carico di connotazioni luciferine.

È difficile, se non impossibile, confutare certe pregiudizievoli malignità storiche, per cui  ancor oggi non sappiamo risponderci alla domanda: chi fu, in realtà Lucrezia? Spietata, perversa, ingannatrice come vuole la leggenda, o semplice strumento in mano ad un padre e un fratello corrotti e avidi di potere?

Data in sposa a personaggi potenti, scelti dal padre, il primo matrimonio le è imposto a soli 12 anni. Ebbe 3 mariti ((di cui uno assassinato): Giovanni Sforza (Signore di Pesaro), Alfonso d'Aragona (Duca di Bisceglie), e Alfonso I d'Este (Duca di Ferrara), ma soltanto con l’ultimo marito, rozzo eppure affascinante, ebbe una vita di moglie appagata, di sovrana colta e intelligente, di donna ormai adulta e responsabile. Ebbe 8 figli: 6 dei quali con Alfonso (4 soltanto sopravvissuti all'infanzia) ed un altro (forse) illegittimo.

Quel che è certo è che la bionda e splendida figlia del Papa morì in odore di santità nel giugno del 1519, per i postumi dell'ennesimo parto (setticemia). Aveva 39 anni. Nel frattempo, aveva trovato anche il modo per farsi terziaria francescana.

Lucrezia Borgia è una figura perseguitata dal proprio mito. Il mito di una donna bellissima, ma anche amorale, priva di scrupoli, incestuosa e libertina, e, come se non bastasse,avvelenatrice.

Di tutti gli aggettivi sopra esposti l’unico probabilmente rispondente al vero è "bellissima".

Soprattutto la figura di Lucrezia ha avuto,nel corso degli ultimi anni,una rivalutazione in senso positivo:lungi dall’essere la figura quasi demoniaca dipinta dai contemporanei, si è trasformata in una donna vittima di oscure trame di potere, prigioniera di un ruolo mai scelto, ma subito, per quella tacita accettazione di un destino a cui nessuna donna poteva ribellarsi.

Nobile o popolana, la donna era schiava del proprio destino,  Lucrezia non faceva eccezione.

A ben vedere, la vita di Lucrezia, sembra nettamente divisa in due parti – prima e dopo il formidabile ascendente esercitato dal Papa e da Cesare Borgia, rispettivamente padre e fratello – pressoché equivalenti in durata e intensità, eppure diversissime l’una dall’altra:

la prima soggiogata dalle ombre e dagli umori borgiani, in cui il bollente sangue famigliare pare assumere il sopravvento; la seconda (quella degli anni di Ferrara), autonoma e responsabile, tutta votata al bene della sua nuova famiglia e dello stato Estense. In quest’ultima parte della sua esistenza, Lucrezia sa comportarsi con coraggio anche nei rovesci della sorte, e non dimentica mai la vocazione di protettrice delle arti e della cultura, per mezzo delle quali arricchirà la sua corte e verrà ricordata con rispetto. E' la donna voluta, ammirata e temuta del Rinascimento italiano.

Vittime del suo fascino sono nobili e letterati, protagonisti della vita di corte, presenti stabilmente a Ferrara, nei primi due decenni del ‘500. Tra questi, come già accennato, Pietro Bembo. Follemente innamorato di quella creatura diabolica e al tempo stesso angelica, il Bembo le dedica uno splendido dialogo d'amore: il poema gli Asolani. Lucrezia, lusingata dalle pagine d'amore a lei ispirate, inizia una corrispondenza con l'uomo che da quel momento in poi resterà suo. Solo nel pensiero, però. (Le lettere che i due si scambiarono tra il 1503 e il 1517 sono conservate alla Pinacoteca Ambrosiana a Milano).

Diverse voci e leggende sono sopravvissute nel corso degli anni, che speculano principalmente sulla natura stravagante delle feste organizzate dalla famiglia Borgia. Si diceva ad esempio che Lucrezia usasse nei suoi banchetti dei funghi epatotossici che uccidevano a distanza di tempo i suoi invitati così da non destare sospetto.

Si vuole, inoltre, che avesse un anello (o cavo o con una spilla) che immergeva quotidianamente in un veleno di sua invenzione. Per ottenere la mistura era necessario cospargere di arsenico le viscere di un maiale appena ucciso. Quando la massa putrefatta era secca, veniva ridotta in polvere. La violenza tossica di questo composto uccideva in ventiquattro ore, fra atroci tormenti. Con questo anello poteva uccidere con una carezza o immergendolo nella bevanda del malcapitato. Sono notissime, d’altro canto, le molte speculazioni su una relazione indecente di Lucrezia con il padre ed i fratelli.

Il grande accusatore dei Borgia fu il Maestro di cerimonie in Vaticano, Giovanni Burcardo (1450-1506) noto come l’episcopus argentinus, dal nome latino della sua città natale, Argentoratum (l’attuale Strasburgo), autore di un plumbeo e pesantissimo "Diario", una specie di cronaca di quei tempi che, dal 1483 al 1506, abbraccia il pontificato di cinque papi, da Sisto IV a Giulio II.

Ad esempio, il Burcardo riporta che il 31 ottobre 1501 Alessandro VI e Lucrezia allestirono, in Vaticano, una sorta di sabba satanico, passato alla storia come "il ballo delle castagne", un’orgia durante la quale prostitute nude danzavano tra candelabri messi a terra e poi raccoglievano con la bocca, strisciando, castagne sparpagliate sul pavimento. Sempre secondo il Burcardo, l’ideatore di questa orgia era stato Cesare Borgia (1475-1507]) noto anche come Cesare di Valenza o duca del Valentinois (da cui il soprannome "Valentino"), condottiero, cardinale e arcivescovo di Valencia, secondo dei 4 figli dell'allora cardinale Borgia e di Vannozza Cattanei, una locandiera di origine mantovana ([2])). E non solo. Anche senza addurne le prove, il Burcardo accusa Lucrezia di intrattenere rapporti carnali con il padre e con il fratello Cesare. E afferma che l’Infante Romano, Giovanni, il primo figlio di Lucrezia sarebbe nato proprio da un incesto fraterno. E, ancora, che molti dei cruenti delitti di Cesare sarebbero dovuti alla gelosia per la sorella. Ma, nonostante l’accanimento con cui si è scritto, delle sue vere o presunte turpitudini non si è potuto realmente provare quasi niente. Arriva addirittura a definire Rodrigo Borgia l'Anticristo, nel Concilio Lateranense del 1516.

Vari testimoni affermano di avere visto scimmie nere sorvegliare la sua camera, altri di aver visto il Papa firmare un patto con il diavolo. In quegli anni la figura del demonio prende la forma del toro, presente nello stemma nobiliare della famiglia Borgia. Molto probabilmente queste leggende scaturiscono dall'odio profondo che il Papa era riuscito ad attirare su di sé, tanto che la riforma luterana ha origine proprio dalla sua condotta immorale. Inoltre è improbabile che Lucrezia, per quanto colta, avesse grandi capacità decisionali. Era pur sempre solo una donna nell'Europa di fine '400, aveva un valore solo in base alle alleanze che poteva stabilire attraverso i suoi matrimoni. Tuttavia è ricordata come donna perversa, malvagia, protagonista di complotti e omicidi.

Angelo o demone? Intrigante avvelenatrice od ospite squisita? Le fonti storiche sono spesso con­traddittorie nei suoi  riguardi. Indubbiamente non doveva essere facile barcamenarsi nella lussuosa e misteriosa corte papa­le cinquecentesca dove la piccola cresceva, amatissima dal Papa-padre, tra ricevimenti sfarzosi, intrighi e veleni. Lucrezia, giovane, colta e bella, conosceva il greco, lo spagnolo (lingua paterna), l'italiano, il francese, un po' di latino; come questo non bastasse sapeva verseggiare e destreggiarsi con astuzia nei banchetti di casa, in cui vassoi pantagruelici di carni arrostite erano accompagnati da trionfi di frutta esotica e da pregiati vini spagnoli mentre, nelle cene quaresimali, gli arrosti di fagia­ni uscivano da veri teschi. (Un po’ di .. penitenza si imponeva!)

Cresceva in bellezza ed assisteva in silenzio alle ambiziose trame paterne, alle imprese crudeli del fratello Valentino, anche quando questi si macchiò del delitto perpetrato nei riguardi dell'amatissimo secondo marito, Alfonso d'Aragona, giovane generoso di stirpe regale, e di un fratello.

Reduce da una prima esperienza che la vide sposa giovanissima per volere dei familiari, Lucrezia era stata per un breve ma felice periodo alla corte di Napoli. Accolta con benevolenza, aveva fatto sfoggio del suo favoloso corredo: abiti d'oro e d'argento, perle di valore inestimabile, gioielli di sogno. Viveva con allegria non sapendo di essere solo merce concessa dal padre in cambio di effimere alleanze.

La tragica scomparsa del giovane marito la portò nelle braccia di un nuovo Alfonso, figlio di Ercole d'Este, famoso duca di Ferrara. Nella rossa e brumosa città la duchessa iniziò una vita movimentata e degna del suo rango. Quando, lasciato il tepore di Roma nel freddo e nevoso febbraio 1502, accompagnata da una dote preziosa, incontra il massiccio ed un po' rude marito per la prima volta (l'aveva infatti potuto ammi­rare solo in un minuscolo ritratto) è un po' triste, ma l'ospitalità della gente ed i lussuosi sponsali, caduti non a caso nella ricorrenza di Carnevale, le ridaranno ben presto il sorriso.

Balli in maschera, banchetti memorabili, cene sino all'alba, spettacoli scenici, esibizioni comiche di nani e buffoni, ospiti fissi a corte, si protrarranno per due lunghe settimane e gli ospiti, accorsi in gran numero da tutta Europa, si divertiranno tanto da non volersene andare, mandando su tutte le furie l'anziano Ercole che aveva speso una fortuna. Il rude Alfonso pensò subito all'erede e la sposa allegra, colta e mondana, ma un po' cagionevole di salute, allevierà più tardi le doglie con l'aceto balsamico di Modena, di cui si conoscevano già le virtù; purtroppo la madre rischierà la morte ed il bimbo non avrà lunga vita. A corte si continuerà con i celebri balli a Palazzo Schifanoia, i nobili conversari con i raffinati poeti di casa, i banchetti sempre più stupefacenti il cui allestimento era personalmente curato dalla duchessa, specialmente alla presenza di ospiti spagnoli, come sottolineavano le malelingue.

Lucrezia, tra otto gravidanze, qualche penitenza, qualche oscuro delitto (si toglieva di mezzo infatti chi di lei sparlava o l'aiutava nei suoi intrighi) e qualche amore, pur controllatissima dal marito che si era fatto costruire un passaggio segreto per raggiungerla ad ogni piè sospinto, riusciva a mantenere una vita tutta sua. A Ferrara, fu amata perdutamente dal poeta Bembo che le dedicò lettere e versi appassionati, ma l'amore solo apparentemente trasgressivo e, invece, totalmente platonico, l'ebbe con il cognato Francesco  II Gonzaga (1466-1519). Si può proprio dire che la vita di Lucrezia fosse segnata dai Carnevali poiché la scintilla scoccò durante il grande ballo del Carnevale 1507, quando tra una portata ed un cosiddetto "rinforzo" (cioè una portata minore, in aggiunta alle principali), vestita d'argento, ballò col valoroso cognato vestito di bianco, mandando su tutte le furie la moglie Isabella, sorella di Alfonso.

A questo ballo, ci dicono fonti certe, si servì un menu tale da superare ogni immaginazione per ricchezza, abbondanza, stravaganza e fecero la loro prima comparsa "le coppiette ferraresi", lo squisito pane fatto di quattro piccole coma intrecciate, croccante e saporito, ancor oggi caratteristico del territorio, inventato apposta dai celebri cuochi ducali, tra cui primeggiava il famoso ed invidiato Messisburgo. Tra poeti, sberleffi di nani e buffoni, danze esotiche come quelle della maestra ducale Dimitra, passavano gli anni e Lucrezia sorrideva sempre meno, presa dai lontani ricordi e da qualche rimorso. Abbondava in penitenze, poi si spingeva sul bucintoro ducale sino al castello di Beriguardo, famoso peri giardini e per gli animali esotici, pieno del ricordo di Francesco.

Qui si spense, dopo aver perso tutti i familiari, portando con sé il segreto del ragazzo Geronimo Borgia, ospitato a Ferrara ed ammirato per il suo ingegno, figlio del Valentino e di madre ignota. La morte del padre e del fratello Cesare, fu un altro tragico episodio della vita di Lucrezia. Nel 1503, Papa Borgia ed il figlio Cesare vennero avvelenati contemporaneamente: il Papa morì, Cesare sopravvisse per altri quattro anni. Ufficialmente fu la malaria a porre fine alla vita del Borgia. C'è, però, un'altra versione che vuole che la morte del Papa sia avvenuta per avvelenamento, ma per errore.

Si dice che nel corso di una riunione conviviale presso la dimora del cardinale Adriano Castellesi di Corneto, fosse stato posto del veleno nel vino destinato al Cardinale, ma che per errore il vino fosse stato bevuto dal Papa, e annacquato da Cesare, che pure si ammalò gravemente, ma non morì. Alcune fonti indicano che il cadavere del Papa fosse molto gonfio e la lingua fosse di color violaceo sintomi di un forte avvelenamento.

La morte di Papa Alessandro produsse il crollo di tutti i piani di conquista del Valentino. Venivano meno tutte le fonti di finanziamento, rendendo impossibile a Cesare Borgia il mantenimento del suo esercito. Il figlio prediletto di Papa Borgia si avviava così ad un triste declino. Riuscì a sopravvivere, comunque, anche in maniera piuttosto fortunosa, sia sotto il pontificato di Pio III che di Giulio II. Dopo di che, fu arrestato dal generale Consalvo di Cordova, il Gran Capitano, e condotto prigioniero in Spagna, dove morì nel 1507 cercando di difendersi da dei sicari, dopo essere sfuggito alla prigione. Aveva all'incirca 32 anni.

Nella storia del Rinascimento italiano l’immagine di Lucrezia Borgia campeggia circondata da un alone sulfureo. Amata, in vita, da artisti e poeti per la sua bellezza luminosa e per il suo spirito vivace, rispettata dai sudditi per le sue doti di amministratrice e diplomatica, è stata poi fatta oggetto di accuse infamanti da parte di una storiografia che l'ha descritta per secoli come avvelenatrice e libertina, sospettata di incesto con il padre e con il fratello.

Sullo sfondo del Rinascimento e della Roma dei Borgia, la figura di Lucrezia si staglia come quella di una giovane donna piena di vita che dovette a sue spese imparare come il suo destino fosse nelle mani degli altri, vivendo spesso al centro di un mondo di cui fu più vittima che protagonista.

Per molto tempo Lucrezia è stata il bersaglio privilegiato del­le accuse più infamanti scagliate da romanzieri e poeti. Su di lei pesano da cinque secoli le più oltraggiose calunnie, senza che mai ne sia stata fornita la minima prova. Lucrezia è un demonio per alcuni, un angelo per altri; ora personifica ogni sorta di scandalo, indecenza e seduzione; ora è vittima di morbose calunnie che avrebbero il solo scopo di stuzzicare la curiosità del pubblico... ma qual è la verità?

In realtà le tragedie e i trionfi della sua vita tumultuosa non si po­trebbero comprendere senza conoscere l'epoca torbida e feconda in cui visse, le circostanze della sua nascita e gli intrighi politici in mezzo ai quali trascorse l'intera esistenza. Tracciando anche soltanto a grandi linee lo scenario di fondo di quell’epoca di splendori, dissolutezze e di morte, si possono evidenziare la complessità della natura di Lucrezia e le contraddizioni della sua vita. Basta il prestigio del suo nome a evocare un magico incanto: Lucrezia ha attraversato la propria esistenza circondata da cardinali e condottieri, artisti e principi, papi e giullari, assassini e liutisti, cortigiani e nani, lungo un percorso disegnato da luci e ombre. A volte nella folla variopinta ci sembra di averla smarrita, ma la ritroviamo sempre, seguendo la scia luminosa di adoratori che l'accompagna. Lucrezia appare ben presto il simbolo della nuova civiltà che affronta una svolta decisiva. Dopo l'ascetismo medievale, sotto il sole d'Italia lo spirito del Rinascimento germoglia lussureggiante come una pianta tropicale: una mutazione che si compie in un clima che mescola la violenza all'egoismo, il coraggio e la volgarità alla raffinatezza.


([1]) Deriva dal nome del monte Lucretilis della Sabina (oggi chiamato Gennaro) e dall'appellativo Lucretius con cui venivano designati gli abitanti di quella località. Lucrezia era la moglie di Lucio Tarquinio Collatino, ma venne rapita e violentata da Sesto, figlio del re etrusco, Tarquinio il Superbo. Sconvolta, la donna di presentò davanti al padre e al marito e dopo aver raccontato dello stupro, si uccise in loro presenza. E fu questo fatto, secondo la leggenda, a determinare la cacciata dei re etruschi.

([2]) Giovanna de Candia dei Cattanei, detta Vannozza (1442 - 1518), nata da genitori mantovani, gestì per molti anni a Roma alcune delle locande più rinomate della città. Fra queste, la più nota fu la Locanda della Vacca, a pochi passi da Campo de' fiori, frequentata da personaggi di alto rango che amavano intrattenersi con le numerose prostitute in servizio presso Vannozza. L’incontro con Rodrigo Borgia (divenuto cardinale a soli 26 anni grazie alle … spintarelle dello zio, papa Callisto III) avvenne quando lei aveva circa 25 anni mentre lui ne aveva 36 anni, più o meno. Per inciso, pare assodato che, prima di intrattenersi intimamente con il cardinale Borgia, Vannozza sarebbe stata amante del cardinale Giuliano Della Rovere, il futuro papa Giulio II. La "prassi" voleva che, proprio per la sua posizione di amante riconosciuta di un uomo di Chiesa di alto lignaggio, Vannozza dovesse necessariamente avere un legittimo consorte. Di questo si occupò, in prima persona, Rodrigo, che, a suo gusto, combinò tutti e 4 i matrimoni che la donna contrarrà nel corso della vita. Alla sua ascesa al soglio pontificio, comunque, Rodrigo aveva, già da tempo, rivolto le sue attenzioni alla giovanissima Giulia Farnese, nota in tutta Roma (e oltre) come "Giulia la Bella", per la sua straordinaria avvenenza. La fanciulla, moglie di Orso Orsini, finì con il sostituire definitivamente Vannozza nel ruolo di concubina ufficiale del Borgia, tanto che con l'elezione papale di quest'ultimo molti presero a soprannominarla, al limite della blasfemia, concubina Papae o addirittura sponsa Christi.

Share

 
 

 « Se per un certo periodo
era vissuta da peccatrice,
certamente morì da santa
»

Indro Montanelli