Daniela Edburg. Cotton Candy. 2006
13 maggio 2012 -
È il 1987.
Daniela abita a
San Miguel
de Allende, città
coloniale dello Stato messicano di
Guanajuato, in cui la quieta
bellezza del barocco
convive con la nebbia e con i
molti residenti stranieri.
La bambina di 11 anni
è annoiata. Prende
carta e penna per scrivere
la storia di una bimba che
inizia un percorso all’interno della sua casa.
Tutto sembra normale, come
sempre. Poi, ad ogni passo,
tutto comincia a diventare più scuro,
fino al nero più assoluto, segno che
quella visione non può essere
vera, ma lo è ...
e in quel momento la bimba apre gli
occhi. Si trova esattamente nello stesso
posto dove tutto è cominciato.
La trama
del breve racconto di
Daniela Edburg —una bambina solitaria
cresciuta col desiderio di conoscere
altri mondi— sorprese sua
madre, prima lettrice di
una storia che quello
stesso anno sarebbe stata pubblicata
dalla rivista Siempre!,
uno dei giornali più importanti di quel
tempo.
Aurea Quesada
ricorda bene l'intensa
emozione che provò
quando lesse il racconto
di sua figlia. Lo volle
subito far leggere non solo al padre di
Daniela, Jack Edburg,
ma anche a un amico di famiglia, lo
scrittore Gilberto Flores
Patiño, che ebbe l’idea di cercare di
pubblicarlo appena finì di leggerlo, dopo
essersi assicurato che fosse stato realmente
scritto da Daniela, giacché gli
sembrava troppo bello per
essere sorto dall'ispirazione di
una bambina che non partecipava
a nessun laboratorio letterario né ad
altre cose simili.
La madre
voleva solo far conoscere
la capacità creativa di sua figlia,
ma non si aspettava
neanche lontanamente che il racconto
potesse essere pubblicato.
Nemmeno Jack se lo
immaginava. Per entrambi
—che la ricordano mentre scriveva senza sosta durante l’infanzia—
fu davvero un evento sorprendente,
anche se Daniela
già da qualche tempo aveva mostrato segni
della sua voglia di
raccontare storie.
Tra molte altre,
ce n’è una che scrisse quando aveva otto anni e
che si riferisce al
processo della nascita delle farfalle
ed al loro volo in libertà.
Jack ce l’ha ancora,
incorniciata ed appesa a una parete
della casa di San
Miguel de
Allende.
All'incirca
nello stesso periodo
della pubblicazione del
racconto, Daniela
prese alcune lezioni di pianoforte,
fino a quando un giorno Aurea la scoprì
a casa da sola suonando
un brano che le
sembrò bellissimo.
Si sedette ad ascoltare e
alla fine —quando chiese chi era
l'autore, perché le era
piaciuto molto— sua figlia
rispose: «Oh, è una
cosa che sto inventando».
La storia
che fu pubblicata dalla rivista Siempre!
venne intitolata Sogno,
una parola che anni dopo
sarebbe stata utilizzata
da alcuni critici d'arte
per definire il lavoro di
Daniela. Sogno.
Incubo. Esagerazione
estetica della realtà.
Iperrealismo. Neokitsch.
Neo-barocco. I termini
che definiscono l'universo della
Edburg navigano sempre
tra la realtà e la
fantasia, fantastici come
l'entusiasmo della
famiglia Edburg-Quesada quando la
loro Daniela poté
pubblicare quella sua prima creazione
prima all'età di 11 anni.
Quel giorno Aurea
telefonò ai parenti di Città del Messico
per raccontare ciò che
era successo e
suggerire a tutti di comprare una copia
della rivista.
Più tardi,
Daniela ei suoi genitori
uscirono a cena
con l'amico Gilberto,
autore della brillante
idea, per festeggiare e continuare a
leggere e rileggere le pagine su cui era stato stampato quel
sogno d'infanzia, accompagnato da una
breve lettera di
presentazione scritta da
Daniela stessa e
che diceva qualcosa di
simile a: «Ciao, mi chiamo
Daniela. Un amico della mia famiglia ha
letto questa storia e mi
ha suggerito di mandarvela. Ho
11 anni».
E così pensò
che il successo sarebbe
stato facile. Sembrava
così semplice: scrivo
qualcosa, lo invio, me lo pubblicano
e piace a tutti.
Ci vollero alcuni anni
per capire che in realtà
non è poi tanto facile farsi pubblicare una
storia o riuscire a vendere un’opera
d’arte. L'intero processo
è in realtà molto più
lungo e più complicato di quanto
si immaginava. Ora lei
lo sa. Quello di allora
fu un successo senza troppo sforzo ottenuto
da giovanissima, anche se, bisogna riconoscerlo, fu comunque
piacevole…
Poi Daniela
passò
prematuramente per una fase di "ribellione"
contro i genitori, che da
quel momento cominciarono a cercare di stimolarla e
fornirle il sostegno necessario
per dedicarsi a
ciò che —sembrava
ovvio—sarebbe stata la sua vocazione.
Ma sentiva troppa
pressione. E disse di
no.
Smise di
scrivere
continuamente, ma divenne
amicissima dei libri.
E cercò
altre alternative, come la musica, la
gioielleria e perfino il giornalismo, che
con il passar del tempo rafforzarono la sua
affinità con il percorso
narrativo. La fotografia e
altri progetti artistici
insospettati erano già in
attesa da qualche parte ...
Circa un mese fa,
l'artista ha aperto
"Proof", una mostra alla
Galleria Enrique
Guerrero, nel quartiere
Polanco di Città del
Messico.
Ha
percorso una lunga strada
per arrivare alla fotografia,
essenzialmente —ma non
esclusivamente—il suo mezzo ideale di
espressione. E non fu
fino al 2008, dopo aver
concluso un periodo di sei anni di lavoro,
quando la sua opera cominciò ad
attirare l'attenzione con
forza con l'esposizione
della sua serie più conosciuta
finora: Drop Dead
Gorgeous o Morte
glamorosa.
Frank e il cervello. 2012.
Atomic picnic. 2007.
Dorothy. 2006.
Party girl. 2007.
Margherita e il melone. 2012.
Colazione con tette. 2012.
Il pescatore. 2007.
Il temporale. 2010.
Death by bananas. 2005.
Death by Oreos. 2006.
(maria luisa lópez / el universal / puntodincontro)
***
13 de mayo de 2012 -
1987. Daniela vive en San Miguel de Allende, un pueblo colonial de
Guanajuato donde la quietud y la hermosura del barroco conviven con la
niebla y los numerosos residentes extranjeros. La niña de 11 años está
aburrida. Toma una pluma y un papel para escribir una historia en la que una
pequeña inicia un recorrido al interior de su casa. Todo parece normal,
cotidiano. A cada paso, todo se torna más y más oscuro, hasta llegar al
negro, señal de que esa visión no puede ser real, pero lo es… En ese momento
la niña abre los ojos. Se encuentra justo en el mismo lugar donde todo
comenzó.
La trama del cuento breve de Daniela Edburg, una niña solitaria
que creció anhelando conocer otros mundos, sorprendió a su mamá,
primera lectora de un relato que ese mismo año sería publicado en la
revista Siempre!, una de las publicaciones más influyentes de
aquella época.
Áurea Quesada recuerda perfectamente la intensa emoción que sintió
al leer la creación de su hija. Inmediatamente le vino la idea de
mostrárselo no sólo al padre de Daniela, Jack Edburg, sino a un
amigo de la familia, el escritor Gilberto Flores Patiño, de quien
vino la sugerencia de buscar su publicación en cuanto lo leyó, no
sin antes asegurarse de que Daniela en verdad lo hubiera escrito,
pues le pareció demasiado bueno como para haber sido redactado por
una niña que no asistía a ningún taller literario ni nada parecido.
La mamá sólo buscaba presumir la capacidad creativa de su hija, pero
no esperaba ni remotamente que pudiera ser publicado. Tampoco Jack
lo imaginaba. Para ambos, quienes la recuerdan constantemente
escribiendo en su infancia, fue todo un acontecimiento, a pesar de
que Daniela ya había dado señales de un deseo incontenible por
contar historias desde tiempo atrás.
Entre muchas otras, estuvo aquella de cuando, a los ocho años,
Daniela escribió otro relato corto que aludía al proceso de
nacimiento de las mariposas y su vuelo en libertad. A la fecha, Jack
lo conserva, enmarcado en una pared de su casa en San Miguel de
Allende.
Por aquella misma época de la publicación del cuento, la niña
Daniela tomó algunas clases de piano, suficientes para que un día
Áurea la descubriera sola en casa tocando una melodía que le pareció
hermosa. Se sentó a escucharla hasta terminar y al preguntarle quién
era el autor, pues le había gustado mucho, su hija respondió: "Ah,
es algo que estoy inventando".
El cuento que apareció publicado en Siempre! llevó por título "Sueño",
una palabra que años más tarde sería utilizada por algunos
críticos de arte para definir la obra de Daniela. Sueño.
Pesadilla. Exageración estética de la realidad. Hiperrealismo.
Neokitsch. Neobarroco. Los términos para definir los universos de
Edburg navegan siempre entre la realidad y la fantasía, como
fantástica fue la emoción de la familia Edburg-Quesada cuando su
Daniela publicó aquella primera creación, a los 11 años. Ese día
Áurea llamó a toda su familia de la Ciudad de México, para
comentarles la hazaña y sugerirles que consiguieran un ejemplar de
la revista.
Más tarde, Daniela y sus padres se fueron a comer con el amigo
Gilberto, autor de la genial idea. Para celebrar y continuar
revisando una y otra vez la página donde apareció este sueño de
infancia, acompañado por una carta breve de presentación escrito por
la propia Daniela y que decía algo más o menos así: Hola, soy
Daniela. Este cuento lo leyó un amigo de la familia y me sugirió
enviarlo. Tengo 11 años.
Pero entonces dio por hecho que el éxito era fácil. Le pareció tan
sencillo como: escribo algo, lo mando, lo publican y a todos les
gusta. Tuvieron que pasar algunos años para darse cuenta de que
efectivamente no es tan fácil lograr que se publique algo o que se
venda una pieza, una creación, una obra. Todo el proceso en realidad
es mucho más largo y complicado de lo que ella entonces imaginaba.
Ahora ella lo sabe. Eso fue un acierto sin mucho esfuerzo a muy
temprana edad. Aunque eso no le quitó lo disfrutable.
A Daniela le llegó también prematuramente "la rebeldía" frente a sus
padres, quienes desde entonces intentaron estimularla y brindarle el
apoyo necesario para que se dedicara a lo que parecía evidente, lo
que sería su vocación. Entonces sintió demasiada presión. Y dijo no.
Dejó de escribir constantemente, pero trabó amistad indisoluble con
los libros. Y buscó a partir de entonces otras alternativas, como la
música, la joyería e incluso el periodismo, que finalmente
fortalecerían su afinidad con el camino narrativo. La fotografía y
otras propuestas artísticas insospechadas ya la estaban esperando en
algún lugar…
A principios de abril de 2012, la artista inauguró "Proof", una
exposición en la Galería Enrique Guerrero, en la colonia Polanco
de la Ciudad de México.
La
artista visual recorrió un largo camino para llegar a la
fotografía —esencial pero no exclusivamente— como su medio de
expresión ideal. Y no fue sino hasta 2008, cuando había concluido un
periodo de seis años de trabajo, que su obra comenzó a llamar la
atención poderosamente con la exhibición y difusión de su serie más
conocida hasta ahora, Drop Dead Gorgeous o Muerte glamorosa.
(maría luisa lópez / el universal / puntodincontro) |