Claretta Petacci,
l'amante del Duce

Donne d'Italia
Di Claudio Bosio.

 

29 gennaio 2011. - Assai spesso, la storia si ripete. Per esempio, è inconfutabile che i maggiori leaders politici o molti responsabili del governo di popoli diversi, in ogni epoca, abbiano avuto accanto, nel corso della loro carriera, una o più donne (non necessariamente la moglie).

A riprova, è quasi obbligatorio iniziare da Marilyn Monroe, nome d'arte di Norma Jeane Baker (1926-1962), amante (plurima) dei fratelli John Fitzgerald e Robert Kennedy, nonché, nel contempo, del riccone Frederick Vanderbilt Field (1905-2000) fondatore del Partito Comunista americano e spia "rossa".

Rifugiatosi in Messico, dove incontrò Fidel Castro e Che Guevara, Vanderbilt passava al Cremlino notizie riservate di prima mano. Secondo l'FBI gran parte delle esclusive gli veniva riferita proprio da Marilyn, amica-confidente di JFK. Marilyn fu trovata morta nella camera da letto della sua casa di Brentwood, a Los Angeles, all'età di trentasei anni, a causa di un'overdose di barbiturici. Ancora non si sa se la sua morte fu casuale, piuttosto che voluta (suicidio) oppure procurata (omicidio).

Ovvio che l’FBI si sia ben guardata dal far ufficialmente luce sull’evento!

Molto più difficile avere informazioni sicure circa l’entourage muliebre dei dittatori comunisti.

Mao Zedong (1893-1976) meglio noto anche come Mao Tse-tung, sposato quattro volte, era considerato un donnaiolo con una predilezione per le donne molto giovani e soprattutto attrici. Anche in tardissima età, Mao aveva una libido straripante. Alcune Guardie rosse della sua scorta avevano il compito specifico di reclutare giovani compagne sempre nuove, per sfamare il suo insaziabile appetito sessuale.

Erano meschine amanti-di-una-sola-notte che correvano, per di più, il rischio di rimanere contagiate da un’incurabile malattia venerea di cui Mao era affetto. Pare, comunque, che Mao, negli ultimi 15 anni della sua vita, abbia avuto due "amanti fisse": Zhang Yu Fang e Meng Jin Yun. Venivano chiamate "l'amante N°1" e "l'amante N°2". Erano attraenti, con la carnagione scura e poco più che ventenni. Furono ribattezzate "le Sorelle" perché si assomigliavano in modo straordinario. La prima era una hostess, la seconda una ballerina.

È evidente che, almeno di notte, Mao non pensava certo alla rivoluzione proletaria!

Un recente documentario della Bbc, invece, ha rivelato le avventure e i gusti di un altro capoccione comunista ormai defunto: il "revisionista" Leonid Breznev (1906-1982).  Due erano le sue passioni irrefrenabili: le automobili ad alte prestazioni e le donne. Secondo quanto rivelato da Leonid Zamiatyn, per molti anni il portavoce del gran Capo, sul tabloid inglese "Sunday Express", Breznev non smise di … correre la cavallina, nemmeno negli ultimi anni, quando in pubblico appariva fisicamente a dir poco malridotto. Un alto ufficiale del Kgb gli garantiva un "regolare rifornimento di donnine compiacenti". A differenza di Mao, però, sempre secondo Zamyatin, Breznev aveva una sua ferrea condotta morale: non permise mai che le sue "molte, molte e molte" amanti dormissero al Cremlino!

In fatto di "amori", pare che Fidel Castro possa dire, a buon diritto, la sua. Stando ai "si dice" «El Comandante», nella sua vita d'amatore, non è stato secondo a nessuno: avrebbe sedotto decine di donne che l’hanno reso padre di almeno 10-12 figli. A Cuba, almeno sino a qualche anno fa, si asseriva, fra il serio ed il faceto, che Fidel non faceva sesso, lui "fecondava" le proletarie...

Corre per altro voce, ma è un rumor ancora da confermare, che l’ex premier Vladimir Vladimirovič Putin (classe 1952) avrebbe voltato pagina separandosi dalla moglie Ljudmilla per iniziare una nuova vita insieme ad Alina Kabaeva, 25 anni (30 meno di lui), ginnasta adorata dai russi e considerata ancor più affascinante e bella delle connazionali Sharapova e Kournikova. Alina, dopo due titoli mondiali e un sacco di vittorie, ha lasciato il mondo dello sport per dedicarsi alla politica. Secondo le ultime notizie che arrivano dal mondo del gossip [1], che stavolta parla russo, dalla relazione extra coniugale con Alina, Putin avrebbe avuto il suo primo figlio maschio, Dimitri. In Russia però il gossip funziona in maniera un po’ (tanto!) diversa e quindi non è certo un avvenimento fortuito che la notizia sia trapelata da un tabloid americano, il New York Post. A Mosca nessuno si sarebbe azzardato a parlarne sui giornali!
 

Frederick Vanderbilt, Mao Tse-Tung, Fidel Castro, Leonid Breznev, Vladimir Putin.
 

Anche degli amori muliebri di Iosif Vissarionovič Džugašvili (1878-1953), meglio conosciuto come Stalin ("acciaio") siamo in grado di dire assai poco. Sappiamo che fu sposato 2 volte: con Ekaterina Svanidze (1880-1907), impalmata nel 1903 e con Nadežda Allilueva (1901-1932), sposata nel 1919. Dopo 14 anni di matrimonio, Nadežda fu rinvenuta morta nella sua camera da letto, con un revolver dalla sua parte. Ufficialmente, si tolse la vita.

Ma anche Stalin «il diamante più luminoso della Rivoluzione» ebbe un'amante e una borghesissima relazione clandestina. Una relazione che durò ben 15 anni, dal '38 al '53, anno della morte del sanguinario dittatore sovietico. Lei si chiamava Rusadan Packoria, era georgiana, aveva 28 anni meno di lui e fu una delle prime donne-pilota dell'aviazione sovietica. Bella, bruna e audace, lui la incontrava sempre per la stessa ragione ufficiale: aveva bisogno di consultarsi su questioni di tecnica aeronautica con l'intrepido asso dei cieli in gonnella.

Va da sè che i custodi della sicurezza del capo avessero l'obbligo del silenzio.

Ben diverso è il caso del leader jugoslavo Josip Broz (1892-1980), più conosciuto come Tito, il suo nome di battaglia. (Il soprannome "Tito" deriva dal fatto che egli usava spesso la locuzione "ti to", in serbocroato "tu questo" per impartire ordini ai suoi uomini). Tito ebbe quattro mogli. La quarta fu la nota Jovanka Broz, che gli fu vicina per 24 anni.

Era una donna intraprendente e volitiva (prima compagna-combattente e poi moglie) ma che divenne, negli anni, sempre più invadente, potente e, di conseguenza, assai scomoda, tanto che lo stesso Tito la fece rinchiudere in una villa di Dedinje, il quartiere della nomenclatura, togliendole di colpo talamo e ribalta, con l’accusa di aver complottato contro lo Stato. Tito, rimasto solo, fece una brutta fine: tre anni dopo essersi separato da jovanka (e tre giorni prima del suo 88º compleanno) morì per problemi di circolazione alle gambe (la sinistra gli fu invano amputata).

E Franco (1892-1975)? Cioè Francisco Paulino Hermenegildo Teódulo Franco y Bahamonde Salgado Pardo de Andrade, solitamente conosciuto anche come il Generalísimo o il Caudillo de España?  Sposato con doña Carmen Polo, esponente dell'alta società asturiana, aveva in comune con la moglie una "bigotteria" che rasentava l’impossibile. Quindi, a stare all’iconografia ufficiale, era un uomo integerrimo cioè dalla più assoluta fedeltà monogamica. Eppure, nel 1936, «l’omino», dittatore gran fascistone ma forte paladino della Chiesa cattolica, ebbe una "storia" (con relativo figlio illegittimo) con la moglie di un tenente suo subordinato mentre si trovava in esilio alle Canarie come comandante della guarnigione. 

Eva Anna Paula Braun (1912-1945) è invece nota per essere stata la compagna e, nell'ultimo giorno della sua vita, la moglie di Adolf Hitler (1889-1945). La loro relazione, che durò 13 anni, diventò seria intorno al 1932: la precedente (presunta) amante di Hitler, la nipote Angelika Maria "Geli" (figlia della sorella Angela Hitler), si era suicidata l'anno precedente ed Eva incominciò a frequentare assiduamente l'appartamento dell'uomo, all'insaputa dei suoi genitori.

Per amore di Adolfo, Anna tentò due volte il suicidio. Che amasse veramente quell’individuo gelido e crudele dai baffetti alla Charlot, lo dimostra il fatto che, nel febbraio 1945, dopo aver festeggiato i suoi 33 anni a Monaco presso la famiglia, ripartì subito per Berlino per restare accanto al lui, il suo uomo ormai sconfitto, in un estremo atto di coraggio e di dedizione. I due si sposarono il 29 aprile, alla presenza di Goebbels e Bormann; la sposa indossava un vestito nero di seta e fu orgogliosa di poter scrivere sul documento ufficiale il nome "Eva Hitler". Lui si sparò un colpo di pistola mentre lei si avvelenò con il cianuro di potassio. (La stessa Eva pensò a sopprimere il cane Blondi e il suo cucciolo).
 

Iosif Stalin, Josip Broz (Tito), Francisco Franco e Adolf Hitler.
 

Anche Benito Mussolini, (1883-1945), il Duce degli italiani, non fece eccezione alla regola summenzionata. Notorie sono le sue relazioni, in età matura, con Margherita Sarfatti (ebrea), la milanese Ida Dalser e Claretta Petacci, ma, in età giovanile, Mussolini era, come si dice, di bocca buona: le sue donne (tantissime!) erano quasi tutte di estrazione borghese. Non amava le aristocratiche e non frequentò granché donne provenienti da famiglie modeste. Fece eccezione per Angela Curti, figlia di un tipografo socialista. Due amori, rimasti fino a poco tempo fa sconosciuti, sono quelli con le cugine di Predappio, Venezia e Giovannina Proli.

Storie brevi, come la relazione con Giulia Fontanesi, primo e focoso amore di Mussolini appena arrivato come maestro nel paese di Gualtieri (Reggio Emilia), nel 1902, a 19 anni. Secondo Quinto Navarra, capo dei commessi di Palazzo Venezia per 23 anni, il Mussolini-Duce, s’intratteneva nella Sala del Mappamondo con un’amante al giorno, ogni pomeriggio: alle più assidue di questo piccolo esercito riservava il vasto tappeto che usciva da sotto la scrivania, alle nuove, il sedile di pietra, ricoperto da un lungo cuscino trapunto ricavato nel vano dei finestroni.

Durata dell’amplesso, un quarto d’ora, visto che il tempo dell’intera visita era il doppio. Alle amanti vere, era riservato un trattamento meno frettoloso nella più romantica Sala dello Zodiaco, sotto un soffitto di stelle e pianeti. Comunque, a sentire Giancarlo Fusco, nel suo libro "Mussolini e le donne", il Duce distingueva fra «le donne utero (la moglie, ottima per sfornare figli) e le donne vagina (da scopare senza togliersi gli stivali). […] Le donne, per lui, non ebbero importanza ed interesse al di fuori della monta. Le trattò quasi sempre, in modo sbrigativo. Quasi brutale. Tanto è vero che gli piacque moltissimo la definizione "orinali di carne", coniata da Giovanni Papini.». Con tutto ciò, Mussolini trascorse 35 anni accanto a Rachele Guidi: prima compagna, poi moglie legittima (sposata nel 1909). Oltre a Rachele, il Duce, forse, si unì in matrimonio con Ida Dalser, che conobbe a Trento nel 1909. Pieroni (uno dei suoi biografi più seri) rinvenne un documento del sindaco di Milano in cui si attestava che "la famiglia del militare Mussolini Benito (partito per il fronte nel 1915) è composta dalla moglie Dalser Ida e da figli numero uno". Il bimbo nacque in seguito e fu chiamato Benito.

Ma madre e figlio non ebbero un felice destino. Nel 1923, la Dalser sparì, rinchiusa, pare, nel manicomio di Verona. Benito, il figlio, che somigliava molto al padre, fu dato fra i "marò" dispersi nel marzo del '41. Tra le rivali, da cui donna Rachele, pare, si sentisse minacciata, Fusco mette Leda Rafanelli Polli, scrittrice e pittrice anarchica, sacerdotessa di Zoroastro, che andava in giro per le strade di Milano vestita da odalisca. E poi Angela Curti Cacciati, figlia di un ammiratore del Duce.

Ma quella che impensierì maggiormente Rachele fu, senza dubbio, la scrittrice Margherita Sarfatti, per 18 anni, oltre che amante, ascoltatissima consigliera politica del Duce. Forse non s’impensierì altrettanto per Claretta Petacci. Perché quest’ultima era solo bella, aveva un (gran) bel seno, la Sarfatti, che entrò nella vita del Duce quarantenne, inquieto e voglioso, aveva cervello. Era una donna che aveva l’ardire di dirgli: «Hai abbastanza da colonizzare nelle Puglie, in Sicilia…Se vai in Abissinia, cadrai nelle mani dei tedeschi e sarai perduto». Buon senso o profezia? Mah! Fatto si è che si lasciarono nel 1934, per motivi soprattutto politici.
 

Il 7 aprile 1926, Mussolini subisce un attentato uscendo dal Campidoglio. Lo sparo di una cinquantenne irlandese, Violet Albina Gibson, lo colpisce di striscio al naso.

Una ragazzina rimane profondamente sconvolta dal pericolo corso dal Duce. Tanto da scrivergli una lettera indignata e accorata: è appunto Claretta Petacci che, all’epoca, ha quattordici anni (era del 1912). Mussolini la riceve e, more solito, la conserva nell'archivio della Presidenza del Consiglio. Eccola:
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La storia con Claretta Petacci, che aveva 29 anni meno di lui, (sposata con Riccardo Federici, da cui si separò nel ’36), fu per il Duce un modo per sentirsi ancora giovane, secondo lo storico De Felice. Ma Claretta visse sempre con l’incubo che qualche altra glielo portasse via. «L’amante del Duce —si legge nel libro di Bruno Vespa [2] "L'amore e il potere"— faceva una vita certo molto comoda, ma di straordinaria monotonia. Viveva in casa dei genitori, s’alzava tardi, pranzava frugalmente in famiglia e, tra le quindici e le sedici, quasi dovesse timbrare il cartellino, si presentava a Palazzo Venezia, dopo essersi fermata da un fioraio a comperare un mazzetto di fiori stagionali che il Duce aveva sempre sulla scrivania. Mussolini, a quell’ora teneva le sue udienze nella Sala del Mappamondo. L’amante l’aspettava per ore in solitudine, leggendo e ascoltando musica classica dal grammofono. Spesso i loro amori giornalieri si riducevano a una scarsa mezz’ora serale». A Roma non dormirono mai insieme. Forse, tragicamente, l’unica notte trascorsa nello stesso letto fu quella che precedette la fucilazione ad opera dei partigiani. Certo che, se non fosse stato per il tragico finale, Claretta Petacci sarebbe oggi ricordata, ammesso ma non concesso, come una delle tante amanti di Benito Mussolini, niente di più, niente di meno.

La sala del Mappamondo e la scrivania di Mussolini a Palazzo Venezia.

 

Claretta Petacci (all'anagrafe Clarice), figlia di un medico del Vaticano, nacque il 28 febbraio 1912, il suo nome fu scelto dalla madre in omaggio a S. Chiara d'Assisi, compagna di S. Francesco e fondatrice delle Clarisse; fu da sempre chiamata Claretta oppure Etta. Dalle tante lettere indirizzatele pare certo che, invece, Mussolini la chiamasse Clara. L'amore, inconfutabile e profondo, che ha legato «Clara a Ben» ebbe un prologo il 24 aprile 1932 sulla via del mare fra Roma e Ostia. Claretta, che viaggiava sull’automobile di famiglia, incitò il proprio autista Coppola a raggiungere una berlina nera che li aveva sorpassati a gran velocità.

Al volante di questa berlina c’era il Duce. Alla rotonda di Ostia, il caso volle che il Duce si fermasse: Mussolini rimase incantato dalla bellezza e dall’esuberanza di questa bella ragazza ventenne, mora, occhi neri, fisico da pin-up; ne nacque una relazione appassionata, bella, importante per entrambi, per Claretta la sola ragione di vita e l’unica valida ragione per morire.

Clara si era presa una cotta per quell’uomo potente e lontano, così come accade per un cantante o un attore, fin da quando, ragazzina quattordicenne, gli scrisse un’appassionata lettera piena di auguri e di felicitazioni dopo l’attentato subìto da parte di Violet Gibson. I due amanti vissero alti e bassi, come tutti, momenti idilliaci si alternarono ad altri di stanchezza o di dolore, soprattutto quando Claretta, incinta, perse il figlio che aspettava a causa di una gravidanza extrauterina. Si sa che è praticamente impossibile che due persone si amino allo stesso modo, c'è sempre uno che s'impegna e un altro che corrisponde o acconsente, si lascia coinvolgere o almeno trascinare.

La devozione di lei fu totale, incondizionata, anche se lui mai le fu fedele: fra alti e bassi, onori e difficoltà, gli fu sempre vicina. Morì per lui come per lui era vissuta, suggellando con il più eroico dei sacrifici un amore cieco e fortissimo. La dedizione al suo Benito fu epica; gli fu accanto con assoluta modestia, così come la ricordano anche a Merano, dove talvolta prendeva alloggio al Park Hotel di Maia Alta (divenuto oggi un istituto ortopedico). Non molto distante si trovava anche il castello del fratello Marcello, durante la guerra requisito dalle truppe tedesche.

Claretta spesso scortata da due guardie in borghese passeggiava lungo i giardini sempre accompagnata dalla sorella e dai genitori, a volte anche dal fratello Marcello (gran profittatore della "situazione" di Claretta) cui era legata da un profondo affetto. Non è assolutamente vero che ella determinò in qualche modo la vita politica del Duce, che non volle ascoltarla il 25 luglio del 1943, quando lei gli suggerì di fare arrestare i traditori della causa fascista. Come non è assolutamente vero che il suo mantenimento gli costò molto e nemmeno gli costarono i genitori di lei, i quali acquistarono sì un alloggio in Via della Camilluccia, ma usufruendo di un lungo mutuo bancario.

Unici regali che ebbe dal Duce furono quattro vestaglie e nemmeno di gran classe, che le regalò quando ancora non erano legati sentimentalmente e che fecero ridere Claretta, che si sentì dire che quattro vestaglie erano sicuramente una svendita e un medaglione portaritratto d'oro, che il Duce le donò il 24 aprile del 1941, nell'anniversario del loro incontro e che tanto fece sorridere Claretta per la sua dedica: "Clara io sono te, tu sei me Benito". Claretta non era solo innamorata di Mussolini, ne era infatuata al punto tale che la gelosia rappresentava il filo conduttore del suo rapporto, costantemente nei pensieri, anche protettivi, come lo furono al momento della loro morte, ne fa fede una lettera che la donna affidò alla sorella Myriam con la raccomandazione di leggerla solo al suo arrivo a Barcellona dove era in fuga negli ultimi giorni di aprile. "...Non penarti per me. Io seguo il mio destino che è il suo. Non lo abbandonerò mai, qualunque cosa avvenga. Non distruggerò con un gesto vile la suprema bellezza della mia offerta e non rinuncerò ad aiutarlo, ad essere con lui finché potrò.[...] Ti prego qualunque cosa accada, fa sì che sia finalmente detta la verità su di me, su di lui, sul nostro amore sublime, bellissimo, divino, oltre il tempo, oltre la vita. Tu sai!... " Questa storia a due, sempre rimasta clandestina, non terminò con il crollo dell’armistizio (8 settembre 1943. Come scrive Silvio Bertoldi, in "Salò" «la prima signora irregolare dell’Impero rimase tale anche in regime repubblicano». Per la Chiesa dell’epoca lo scandalo della vicenda Mussolini-Petacci, era assolutamente intollerabile. Lo stesso Pio XII, nell’ottobre 1941, incaricò il vescovo di Tripoli, Monsignor Facchinetti, amico del Duce, di chiedere al "diletto figlio" di porre fine a quel rapporto. Il Duce promise.

Con l’avvento della Repubblica di Salò e quindi il confinamento al nord, Claretta divenne una specie di ostaggio di guerra, uno strumento estremamente utile per i tedeschi al fine di controllare il Duce, conoscerne le intenzioni, spiarne i pensieri. Dopo il 25 luglio 43, con la caduta di Mussolini, Claretta, assieme ai genitori e alla sorella, era stata rinchiusa nel carcere di Novara. (Un’altra delle sublimi stupidità del maresciallo Badoglio!). I tedeschi, con una manovra studiata e ardita, non impiegarono molto tempo a portar via il Duce dall’eremo del Gran Sasso e a "liberare" Claretta trasferendola a Merano, nel castello di proprietà del fratello. Poi Mussolini la volle accanto a sé e fu quindi sistemata in una villa sul lungolago vicino a Gardone. (Villa Fiordaliso; oggi è un ristorante).

Villa Fiordaliso.

 

Il Duce andava a visitare l’amante di sera, in un torrione in fondo al giardino, dove avevano ricavato per loro una "stanza intima". Mussolini arrivava con il buio, cercando passare inosservato. L’autista lo aspettava fuori dal cancello, nell’automobile, leggendo il giornale alla luce di una pila tascabile. Claretta non usciva mai da casa. Temeva di esser vista, riconosciuta, svillaneggiata… Mussolini, relegato in quel piccolo paese di pescatori, con un caffè-biliardo e quattro strade in tutto, prospiciente un lago mesto e silenzioso, zeppo di ceffi tedeschi dovunque, aveva poco da stare allegro: viveva tutto il tedio di un rapporto ambiguo con un’amante malinconica e con una moglie sciatta e polemica.

All’inizio del 1945 Mussolini predispose la partenza della famiglia Petacci per l’estero; Claretta si rifiutò di lasciare l’Italia, decise di restare vicina al suo Ben. Da parte sua, Claretta aveva studiato nei minimi particolari un suo piano per salvarlo. Voleva portare il Duce sulle Dolomiti, là dove avrebbe potuto lasciare per sempre le liti dei gerarchi fascisti, dei partigiani e di tutti, la storica fine del fascismo, della guerra e dell'epopea dello scontro politico.

La via dell'ultima salvezza che lei aveva immaginato per Benito era un rifugio a più di 2300 metri di altezza, ove entrambi avrebbero potuto nascondersi anche per anni se fosse stato necessario. Ne aveva parlato per ben 25 volte col Duce, che assolutamente non volle saperne, non avrebbe mai abbandonato la gioventù fascista. Delusa, ma orgogliosa, senza arrendersi, Claretta, che aveva persino definito l'itinerario del viaggio (Garda-Brescia-Mendola-Bolzano-Val Sarentino), cominciò a preparare i bagagli, l’ufficiale Splögler, sfruttando il suo ruolo di capo del servizio intercettazioni, si era offerto di fare da accompagnatore e guida, evitando che i posti di blocco li trattenessero.

Ma mancò il tempo. In piena guerra civile, Claretta raggiunse l’amante a Milano, poi a Como. Gli eventi precipitarono: la fuga (raffazzonata!) verso la Svizzera, la cattura e quindi la fucilazione sommaria, il 28 Aprile.

Nemmeno oggi si conosce con certezza chi sparò ai due prigionieri.

Il partigiano Walter Audisio, un ragioniere di Alessandria ex contabile alla Borsalino noto come il "colonnello Valerio", si attribuì la paternità dell’esecuzione (In seguito, fece dono del suo mitra "all’eroico popolo albanese", ultima enclave del comunismo europeo).

Il cancello a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como, davanti al quale —secondo alcune versioni— furono fuciliati Benito Mussolini e Claretta Petacci.


Certamente, chi impartì l’ordine di uccidere Mussolini non si rese conto che i fucili non danno mai la morte.

Il giorno seguente (era una domenica), le salme di Mussolini, di Claretta e di altri 15 gerarchi, furono trasportate nottetempo a Milano e appese, a testa in giù, alla pensilina di un distributore di benzina di piazzale Loreto [3]. I cadaveri, prima di essere sospesi, furono vilipesi con indecenti trattamenti (bastonati, scalciati, coperti di sputi e di urina ecc.). La folla urlava "vedere! Vedere!". Dapprima si tentò di far stare ritte i corpi (irrigiditi) di Mussolini e di Claretta, senza riuscirvi. Quindi li issarono sul traliccio, per i piedi, lasciandoli penzolare come burattini a braccia aperte, nel vuoto.

Si lasciarono volutamente pendere rovesciate le gonne di Claretta in modo che si potesse "vedere", tra sghignazzi e trivialità, che non portava mutandine. Solo un frate, don Pollarolo, ebbe la pietà di ricomporre la gonna della disgraziata, con una spilla da balia.

Giovannino Guareschi cita (in Candido) l’inqualificabile commento di una donna della folla che "si godeva" la macabra esibizione: «Però che bei gambett! ». Però che belle gambe!

Rachele Mussolini seppe della fine del marito e degli avvenimenti di Piazzale Loreto dalla radio: andò a consegnarsi ai partigiani, dopo essere stata respinta sia alla frontiera svizzera sia dal vescovo di Como, al quale aveva chiesto asilo non per lei ma per i figli, Romano e Annamaria.

Sempre secondo quanto scrive Silvio Bertoldi, sulla folla che si accalcava per vedere il macabro spettacolo, si abbassò un piccolo aereo. A bordo c'era Umberto di Savoia, allora luogotenente del regno. Quando atterrò a Torino, lo informarono della morte del Duce e dei raccapriccianti avvenimenti di Milano-Loreto. Non disse una parola.

La morte di Claretta rimane un omicidio a dir poco scomodo, difficile da giustificare.

E neanche Mussolini doveva essere ucciso a quel modo, perché non è stato ammazzato d'impeto in uno scontro, ma eliminato in seguito a una precisa decisione politica, fredda e ponderata, circa la quale molti aspetti sono tuttora oscuri.

E' stato un errore politico, tanto grave quanto irreparabile.

Se uno accetta piazzale Loreto, allora deve accettare anche la logica delle Brigate rosse, cioè l'ideologia dell'omicidio come soluzione politica.

E questo, in italiano, ha un nome ben preciso: barbarie.


[1] Col termine gossip, preso in prestito dall’inglese, si intende il pettegolezzo nei confronti di personaggi  di una certa notorietà.

Etimologicamente deriva dal nome di un uccello col becco a spatola che rovista nella melma.

[2] Nel 2005 venne resa pubblica una tesi, avvalorata dalla forte somiglianza del viso, secondo cui Bruno Vespa sarebbe figlio naturale di Benito Mussolini, dato che sua madre avrebbe lavorato nello stesso albergo di Campo Imperatore in cui fu custodito il duce dopo il 25 luglio 1943 e fino al 12 settembre, data dell'Operazione Quercia, che lo portò in Germania. Gli 8 mesi intercorsi, dalla partenza di Mussolini alla nascita di Bruno Vespa, sono uno degli elementi più forti a sostegno della tesi. Dapprima sia Vespa sia Alessandra Mussolini scherzarono sulla notizia, quindi il giornalista diede una secca smentita. Alessandra Mussolini il 21 dicembre 2005 ad una intervista a "Markette" ha da parte sua affermato: «È vero, non dobbiamo fare il test del DNA su Vespa, Vespa è mio zio. Questa è la verità» e «È del ramo con i nei della famiglia Mussolini, io sono del ramo senza nei, ma è mio zio, Bruno, è lui, è mio zio, glielo dobbiamo dire chiaro. La mascella è uguale, è identico negli occhi, lo sguardo, questa bocca, queste labbra...quello è il figlio, è mio zio».  Il bello è che c’è stato chi ha dato credito a quanto così spiritosamente dichiarato dalla nipote (certa!) del Duce!

[3] Fu scelto piazzale Loreto perché il 10 agosto del 1944 i tedeschi vi avevano fatto fucilare, per rappresaglia, 15 detenuti di San Vittore, scelti a caso fra i "politici". L'8 agosto infatti in viale Abruzzi c'era stato un attentato (mai rivendicato) a un autocarro della Wermacht che non aveva causato la morte di nessun tedesco ma nel quale persero la vita sei italiani. In realtà, i condannati a morte dovevano essere 20, poi ridotti a 15 per intervento del cardinale Schuster, del federale e di Mussolini stesso. Gli esecutori della fucilazione furono i militi della legione «Ettore Muti» agli ordini del capitano delle SS Theodor Saevecke.

***

Muy a menudo la historia se repite. Por ejemplo, es innegable que los principales líderes políticos y funcionarios de gobierno de muchos pueblos diferentes, en cada época, hayan sido acompañados, en el curso de sus carreras, por una o más mujeres (no necesariamente la esposa).

Como prueba, es casi obligatorio empezar por Marilyn Monroe, nombre artístico de Norma Jeane Baker (1926-1962), amante de los hermanos John Fitzgerald y Robert Kennedy, y al mismo tiempo, del ricachón Frederick Vanderbilt Field (1905 - 2000), fundador del Partido Comunista estadounidense y espía "roja".

Después de haberse refugiado en México, donde conoció a Fidel Castro y el Che Guevara, Vanderbilt comunicaba al Kremlin noticias reservadas y de fuentes selectas. Según el FBI, la mayor parte de las informaciones le eran referidas por la misma Marilyn, amiga confidente de JFK. Marilyn fue encontrada muerta en el dormitorio de su casa en Brentwood, Los Ángeles, a la edad de treinta y seis años, debido a una sobredosis de barbitúricos. Todavía no se sabe si su muerte fue accidental, no intencional (suicidio) o provocada (asesinato).

Obviamente el FBI ha sido muy cuidadoso de no esclarecer oficialmente los detalles del evento!

Resulta mucho más difícil obtener información fiable sobre el entorno femenino de los dictadores comunistas.

Mao Zedong (1893-1976), mejor conocido como Mao Tse-tung, se casó cuatro veces, era considerado un mujeriego con una predilección por las mujeres muy jóvenes y, en especial, por las actrices. Incluso a edad muy avanzada, Mao poseía una libido desbordante. Algunos guardias rojos de su escolta tenían la tarea específica de contratar jóvenes compañeras, siempre nuevas, para alimentar su apetito sexual insaciable.

Se trataba de insignificantes amantes-de-una-sola-noche que corrían, además, el riesgo de infectarse con una enfermedad venérea incurable de la que Mao estaba sufriendo. Parece, sin embargo, que Mao, en los últimos 15 años de su vida, haya tenido dos amantes "fijas": Zhang Yu Fang y Meng Jin Yun. Se les llamaba "la amante Nº 1" y "la amante Nº 2". Eran atractivas, de tez obscura y poco más de veinte años. Fueron apodadads "Las Hermanas", ya que se parecían de una manera extraordinaria. La primera era azafata, la segunda bailarina.

Es evidente que, al menos durante la noche, Mao no pensaba ciertamente en la revolución proletaria!

Un reciente documental de la BBC, por otro lado, puso de manifiesto las aventuras y los gustos de otro pez gordo comunista ya desaparecido: el "revisionista" Leonid Brezhnev (1906-1982). Dos eran sus pasiones incontrolables: los coches de alto rendimiento y las mujeres. Según lo revelado por Leonid Zamyatin —quien fue durante muchos años, el vocero del gran jefe— para el tabloide británico Sunday Express, Brezhnev no dejó de ... correr la yegua nisiquiera en los últimos años, cuando en público aparecía —a decir lo menos— en muy malas condiciones físicas. Un alto funcionario de la KGB le garantizaba un suministro regular de mujercitas complacientes. A diferencia de Mao, sin embargo, y siempre de acuerdo con Zamyatin, Brezhnev tenía una conducta moral extremadamente estricta: jamás permitió que sus "muchas, muchas, muchas" amantes durmieran en el Kremlin!

Hablando de "amores", parece que Fidel Castro no cante mal las rancheras. De acuerdo con los rumores, "El Comandante" —en su vida amorosa—, era insuperable: habría seducido decenas de mujeres que lo convirtieron en el padre de al menos 10 a 12 niños. En Cuba, al menos hasta hace unos años, se decía entre lo serio y lo humorístico, que Fidel no tenía relaciones sexuales, sino que "fecundaba" mujeres de la clase obrera ...

También corre la voz, pero aún no se ha confirmado el rumor, de que el ex primer ministro Vladimir Vladimirovich Putin (nacido en 1952) se separó de su esposa Ljudmilla para comenzar una nueva vida junto a Alina Kabaeva (de 25 años, 30 menos que él), gimnasta adorada por los rusos y considerada aún más bella y atractiva que sus compatriotas de Sharapova y Kournikova. Alina, después de dos títulos mundiales y una gran cantidad de victorias, dejó el mundo de los deportes para dedicarse a la política. Según las últimas noticias del mundo del chisme, esta vez en lengua Rusia, de la relación extra matrimonial con Alina, Putin habría tenido su primer hijo varón, Dimitri. En Rusia, sin embargo, el chisme funciona de una manera un tanto diferente y por lo tanto no es un hecho casual que la noticia se haya filtrado a través de un tabloide de EE.UU., el New York Post. En Moscú, nadie se hubiera atrevido a hablar en los periódicos!

También en el caso de los amores de Iosif Vissarionovich Dzhugashvili (1878-1953), mejor conocido como Stalin ("de acero"), se puede decir muy poco. Sabemos que se casó dos veces: con Ekaterina Svanidze (1880-1907), en 1903 y con Nadezhda Alliluyeva (1901-1932), en 1919. Después de 14 años de matrimonio, Nadezhda fue encontrada muerta en su habitación con un revólver a su lado. Oficialmente, se quitó la vida.

Pero el mismo Stalin "el más brillante diamante de la Revolución" tenía amante y una muy burguesa relación clandestina. Una relación que duró 15 años, desde el 1938 hasta 1953, año de la muerte del sangriento dictador soviético. Su nombre era Rusadan Packoria, era georgiana, 28 años más joven que él y una de las primeras mujeres piloto de la Unión Soviética. Bella, morena y valiente, él siempre se encontraba con ella por la misma razón oficial: tenía que consultar asuntos de ingeniería aeronáutica con la valiente as de los cielos.

Está demás decir que los miembros del equipo de seguridad del jefe tenían la obligación del silencio.

Muy diferente es el caso del líder yugoslavo Josip Broz (1892-1980), por todos conocido como Tito, su nombre de batalla. (El apodo "Tito" viene del hecho de que a menudo utilizaba la frase "ti to", en serbo-croata "tú esto", para dar órdenes a sus hombres). Tito tuvo cuatro esposas. La cuarta fue la muy conocida Jovanka Broz, que estuvo a su lado por 24 años.

Ella era una mujer valiente y multifacética (antes compañera de combate y más tarde esposa), pero que se convirtió, a lo largo de los años, en cada vez más omnipresente, poderosa y, por consiguiente, incómoda, por lo que el mismo Tito la había encerrado en una villa en Dedinje, quitándole de repente la vida conyugal y los reflectores, acusándola de conspirar contra el Estado. Tito se quedó solo, y tuvo un poco agradable final: tres años después de separarse de Jovanka (y tres días antes de su cumpleaños número 88), murió por problemas de circulación en las piernas (la izquierda le fue amputada en vano).

Y Franco (1892-1975)? Nos referimos a Francisco Paulino Hermenegildo Teódulo Franco y Bahamonde Salgado Pardo de Andrade, conocido también como el Generalísimo, o Caudillo de España. Casado con Doña Carmen Polo, miembro de la alta sociedad de Asturias, compartía con su esposa una "intolerancia" que bordeaba lo imposible. Así que, de acuerdo con las versiones oficiales, era un hombre caracterizado por una absoluta fidelidad monógama. Sin embargo, en 1936, "el hombrecito", dictador y gran fascista, pero firme defensor de la Iglesia Católica, tuvo una "historia" (con relativo hijo ilegítimo) con la esposa de un teniente subordinado cuando se encontraba exiliado en las islas Canarias como comandante del destacamiento.

Eva Anna Paula Braun (1912-1945) es conocida por haber sido la compañera y, en el último día de su vida, la esposa de Adolf Hitler (1889-1945). Su relación, que duró 13 años, se volvió formal alrededor del año 1932. El año precedente la anterior (supuesta) amante de Hitler —su sobrina Angelika Maria "Geli" (hija de su hermana Angela Hitler)— se había suicidado y Eva había empezado desde entonces a frecuentar asiduamente el departamento de Adolf, sin que sus padres lo supieran.

Por amor a Adolf, Anna intentó suicidarse dos veces. El que amáse ralmente a esa persona fría y cruel de bigotito estilo Charlie Chaplin lo demuestra el hecho de que en febrero de 1945, después de celebrar sus 33 años en Mónaco con la familia, regresó inmediatamente a Berlín para quedarse junto a él, su hombre ya derrotado, en un acto de extrema valentía y dedicación. La pareja se casó el 29 de abril, en presencia de Goebbels y Bormann. La novia llevaba un vestido de seda negro y se sintió orgullosa de poder escribir en los documentos oficiales su nombre como "Eva Hitler". Él se disparó una bala mientras ella se envenenó con cianuro de potasio. (La misma Eva sacrificó antes el perro Blondi y su cachorro).

También Benito Mussolini (1883-1945), el Duce de los italianos, no fue la excepción a la regla anterior. Bien conocidas son sus relaciones con Margherita Sarfatti (judía), la milanesa Ida Dalser y Claretta Petacci, pero —en su juventud—, Mussolini era, como se dice, selectivo: sus mujeres (muchísimas) fueron casi todas de extracción burguesa. No le gustaban las aristócratas y no frecuentó mucho a mujeres provenientes de familias de recursos limitados. La excepción fue Angela Curti, hija de un tipógrafo socialista. Dos amores desconocidos hasta hace poco, fueron aquellos con sus primas de Predappio, Venezia y Giovannina Proli.

Historias breves, tales como la relación con Giulia Fontanesi —el primer ardiente amor de Mussolini recién llegado como maestro al pueblo de Gualtieri (Reggio Emilia)— en 1902 a los 19 años. Según Quinto Navarra, jefe de intendencia de Palazzo Venezia durante 23 años, Mussolini, ya en su papel de Duce, se entretenía en el Salón del Mapamundi con una amante cada día, en las tardes: a las más asíduas reservaba la gran alfombra que sobresalía debajo del escritorio, mientras que a las nuevas les tocaba el asiento de piedra, cubierto por una larga almohada bordada, bajo el nicho de los ventanales.

Duración de las relaciones sexuales, un cuarto de hora, dado que la visita completa duraba lo doble. Para las verdaderas amantes, se reservaban sesiones menos apresuradas en la más romántica habitación del Zodiaco, bajo un techo de estrellas y planetas. Sin embargo, en palabras de Giancarlo Fusco, en su libro "Mussolini y las mujeres" «el Duce distinguía entre "mujeres útero" (la esposa, ideal para producir hijos) y "mujeres vagina" (para cogerselas sin quitarse las botas). [...] Las mujeres, para él, no tenían ninguna importancia ni interés más allá de las relaciones sexuales. Casi siempre las trató en forma apresurada. Casi brutal. Tanto es así que le gustaba muchísimo la definición de "urinarios de carne", acuñada por Giovanni Papini».

Con todo y eso, Mussolini pasó 35 años junto a Rachele Guidi: primero como compañera y más tarde como legítima esposa (se casó en 1909). Además de Raquel, el Duce —tal vez— se unió en matrimonio con Ida Dalser, a quien conoció en Trento en 1909.

Pieroni (uno de sus mejores biógrafos) descubrió un documento del alcalde de Milán en el que se hace constar que "la familia del militar Benito Mussolini (enviado al frente de guerra en 1915) está compuesta por su esposa Ida Dalser y un hijo". El bebé nació más tarde y fue llamado Benito.

Pero madre e hijo no tuvieron un destino feliz. En 1923, Dalser desapareció, encerrada, al parecer, en el hospital psiquiátrico de Verona. Benito, el hijo, que se parecía mucho a su padre, se cree que haya estado entre los marinos desaparecidos en marzo '41. Entre las rivales por las que Doña Rachele, al parecer, se sentía amenazada, Fusco incluye Leda Rafanelli Polli, escritora y pintora anarquista y sacerdotisa de Zoroastro, que vagaba por las calles de Milán vestida de odalisca. Y también Angela Curti Cacciati, hija de un admirador de Mussolini.

Pero la que más preocupó a Rachele fue, sin duda, la escritora Margherita Sarfatti, que durante 18 años, además de amante, fue una importantísima asesora política del Duce. Tal vez no se inquietó tanto por Claretta Petacci porque ella sólo era hermosa y con senos grandes y hermosos, mientras Sarfatti, —quien entró en la vida del Duce cuando éste tenía cuarenta años y estaba inquieto y ansioso— tenía cerebro. Se trataba de una mujer que tuvo la audacia de decirle: "Tienes suficiente para colonizar en Puglia, en Sicilia ... Si vas a Abisinia, caerás en manos de los alemanes y estarás perdido". Sentido común o profecía? El hecho es que se dejaron en 1934, principalmente por razones políticas.

La historia con Claretta Petacci, que era 29 años más joven que él, (se casó con Richard Federici, y se separó de él en 1936), fue para el Duce una manera de sentirse joven otra vez, según el historiador De Felice. Pero Claretta siempre vivió con la pesadilla de que alguna otra mujer pudiese quitarselo. "La amante del Duce —según se lee en el libro de Bruno Vespa [2] "El amor y el poder"— llevaba sin duda una vida muy cómoda, pero extraordinariamente monótona. Vivía en casa de sus padres, se levantaba tarde, comía de prisa con la familia y, entre las tres y las cuatro de la tarde, como si tuviese que checar tarjeta, se presentaba en el Palazzo Venezia, después de haberse detenido en una florería para comprar un ramo de flores de temporada que el Duce tenía siempre en su escritorio. Mussolini a esa hora siempre tenía audiencias en el salón del Mapamundi. Su amante lo esperaba por horas en la más completa soledad, leyendo y escuchando música clásica. A menudo, sus encuentros amorosos diarios se reducían a una media hora por las noches". En Roma nunca durmieron juntos.

Tal vez, tragicamente, la única noche que pasaron en la misma cama fue la que precedió a su ejecución por manos de los partisanos. Si no hubiese sido por el trágico final, Claretta Petacci sería recordada hoy, probablemente, como una de las muchas amantes de Benito Mussolini, nada más y nada menos.

Claretta Petacci (en su acta de nacimiento aparece como Clarice), hija de un médico del Vaticano, nació el 28 de febrero 1912 y su nombre fue elegido por su madre como un homenaje a Santa Clara de Asís, compañera de San Francisco y fundadora de las Clarisas. Todos la llamaban Claretta o Etta. A juzgar por las numerosas cartas que le envió parece, sin embargo, que Mussolini la llamaba Clara. El amor profundo que relacionó "Clara y Ben" tuvo un prólogo el 24 de abril de 1932 sobre la ruta marítima entre Roma y Ostia. Claretta, que viajaba en el coche de su familia, pidió a su chofer Coppola que alcanzara a un sedán negro que los había rebasado a gran velocidad.

Al volante del sedán estaba el Duce, y en la glorieta de Ostia la casualidad quiso que se detuviera: Mussolini quedó fascinado por la belleza y la exuberancia de esta hermosa chica de veinte años, de cabello y ojos obscuros y cuerpo escultural. Comenzó así una relación apasionada, hermosa, importante para los dos, que para Claretta se convirtió en la única razón para vivir y para morir.

Clara se había enamorado de ese hombre poderoso y lejano, así como sucede con un cantante o un actor, desde que, a los catorce años de edad, le había escrito una apasionada carta llena de buenos deseos y felicitaciones tras el ataque sufrido por Violet Gibson. Los dos amantes vivieron altibajos, como todos los demás: momentos idílicos se alternaron con otros de cansancio y de dolor, especialmente cuando Claretta, embarazada, perdió el hijo que esperaba debido a un embarazo extrauterino. Sabemos que es prácticamente imposible que dos personas se amen de la misma manera, siempre hay alguien que está más comprometido y otro que corresponde y se deja llevar.

La devoción de ella era total, incondicional, aunque él nunca le fue fiel: entre altibajos, honores y dificultades, siempre estuvo a su lado. Murió por él así como por él había vivido, sellando con el sacrificio más heroico un amor ciego e indestructible. Su dedicación para Benito fue más grande que cualquier otra cosa en su vida, lo acompañó con modestia absoluta, como también lo recuerdan en Merano, donde a veces se alojaba en el Park Hotel de Maia Alta (convertido ahora en un instituto ortopédico). No muy lejos se encontraba también el castillo de su hermano Marcelo, que —durante la guerra— fue confiscado por las tropas alemanas.

Claretta —a menudo escoltada por dos guardias vestidos de civil— caminaba por los jardines siempre acompañada por su hermana y sus padres y, a veces, por su hermano Marcelo (que sacaba gran ventaja de la "situación" di Claretta) al cual estaba ligada por un profundo afecto. Es absolutamente falso que ella determinó de alguna manera la vida política del Duce, que no la quiso escuchar el 25 de julio 1943, cuando le sugirió arrestar a los traidores del movimiento fascista. También es absolutamente falso que su manutención le haya costado mucho y tampoco le costaron sus padres, quienes efectivamente adquirieron una propiedad en la Via della Camilluccia, pero a través de un préstamo hipotecario a largo plazo.

Los únicos regalos que recibió del Duce fueron cuatro batas de casa y nisiquiera de gran calidad. Se las dio cuando aun no estaban vinculados sentimentalmente, y provocaron la risa de Claretta cuando le dijeron que las cuatro batas eran seguramente el producto de una venta de descuento. Por otro lado, un medallón de oro —que el Duce le dio el 24 de abril de 1941, en el aniversario de su primer encuentro— se le hizo muy chistoso por su dedicación: "Clara, yo soy tú, tú eres yo. Benito".

Claretta no sólo estaba enamorada de Mussolini, sino que había perdido la cabeza por él hasta el punto de que los celos fueron constantemente el tema subyacente en su relación y en los frecuentes pensamientos, incluso de protección, como lo fueron en el momento de su muerte.

Es testimonio de ello una carta que la mujer entregó a su hermana Miryam con la recomendación de leerla sólo después de haber llegado a Barcelona, donde había huido en los últimos días de abril.

"No te preocupes por mí. Yo sigo mi destino que es el suyo. Nunca lo abandonaré, pase lo que pase. No destruiré con un gesto cobarde la suprema belleza de mi oferta y no renunciaré a ayudarlo, a estar con él hasta que sea posible [...] Por favor, si algo llega a suceder haz que sea dicha la verdad acerca de mí, de él, de nuestro amor sublime, hermoso, divino, más allá del tiempo, más allá de la vida. Tú sabes! ..." Esta historia de dos, siempre ocultada en la clandestinidad, no terminó con el colapso del Armisticio (8 de septiembre de 1943). Como escribe Silvio Bertoldi en "Saló", "la primera dama irregular del imperio seguía siendolo, incluso bajo el nuevo régimen republicano". Para la Iglesia de la epoca, el escándalo del asunto Mussolini-Petacci era absolutamente intolerable. El mismo Pío XII en octubre de 1941, le encargó al obispo de Trípoli, Monseñor Facchinetti, amigo del Duce, que le pidiera al "hijo predilecto" de poner fin a esa relación. El Duce prometió.

Con la República de Salo y el confinamiento en el norte, Claretta se convirtió en una especie de prisionero de guerra, una herramienta extremadamente útil para los alemanes con el fin de controlar al Duce, conocer sus intenciones y espiar sus pensamientos. Después de 25 de julio de 1943, con la caída de Mussolini, Claretta, con sus padres y su hermana, habían sido encerrados en la cárcel de Novara (otra de las sublimes estupideces del mariscal Badoglio!). Los alemanes, con una maniobra planeada y audaz, no tardaron mucho tiempo para sacar al Duce de la prisión del Gran Sasso y "liberar" a Claretta para transferirla a Merano, en el castillo de propiedad del hermano. Luego Mussolini la quiso a su lado y se mudó a una villa del lago cerca de Gardone. (Villa Fiordaliso, ahora un restaurante).

El Duce iba a visitar a su amante en las noches, en una torre hasta el fondo del jardín, donde habían acondicionado para ellos un "habitación íntima". Mussolini llegaba después del anochecer, tratando de pasar desapercibido. El chofer lo esperaba fuera de la puerta, en el coche, leyendo el periódico a la luz de una antorcha. Claretta nunca salía de casa. Temía ser vista, reconocida, maltratada ... Mussolini, por su lado, encerrado en esa pequeña aldea de pescadores, con un café-billar y cuatro calles en total y junto a un lago triste y silencioso, lleno de matones alemanes por todas partes, no tenía muchos motivos para estar alegre: vivía todo el lado negativo de una relación ambigua con una amante melancolica y una esposa triste y descuidada.

A principios de 1945 Mussolini organizó la salida de la familia Petacci hacia el extranjero. Claretta se negó a salir de Italia, decidió quedarse cerca de su Ben. Por su parte, ella había estudiado en detalle un plan para salvarlo. Quería llevar al Duce a las Dolomitas, donde podría dejar para siempre las disputas de los fascistas, de los partisanos y de todos. Sería el fin histórico del fascismo, de la guerra y de la confrontación política.

La forma en que ella se había imaginado la salvación última de Benito era un refugio a más de 2300 metros sobre el nivel del mar, donde ambos podrían haber permanecido ocultos durante años si hubiese sido necesario. Había instido sobre el tema 25 veces con el Duce, quien absolutamente no quiso saber nada de la propuesta. Nunca abandonaría a la juventud fascista. Decepcionada, pero orgullosa y sin rendirse, Claretta había incluso definido el itinerario del viaje (Garda-Brescia-Mendola-Bolzano-Valle Sarentino) y había comenzado a preparar el equipaje. El oficial Splögler, aprovechando su papel como jefe del servicio de interceptaciones, se había ofrecido a actuar como escolta y guía, evitando los retenes.

Pero hizo falta tiempo. En plena guerra civil, Claretta alcanzó a su amante en Milán, luego en Como. Los eventos se precipitaron: la huida (improvisada!) hacia Suiza, la captura y después la ejecución sumaria, el 28 de abril.

Incluso hoy en día no sabemos con certeza quien disparó a los dos prisioneros.

El partesano Walter Audisio, un ex contador de la empresa Borsalino de Alessandria conocido como el "coronel Valerio", se atribuyó la ejecución (más tarde, regaló su ametralladora al "heroico pueblo albanés", último bastión europeo del comunismo).

Por supuesto, quien dio la orden de matar a Mussolini no se dio cuenta de que las armas nunca matan.

Al día siguiente (era domingo), los cuerpos de Mussolini, de Claretta y de otros 15 jerarcas, fueron trasladados durante la noche a Milán y colgados, boca abajo, del techo de una gasolinera de Piazzale Loreto [3]. Los cadáveres, antes de ser expuestos, fueron ultrajados salvajemente (apaleados, pateados, cubiertos de saliva, orina, etc). La multitud gritaba "A ver! A ver!". Se intentó primero colocar en forma erguida los cuerpos de Mussolini y Claretta, sin éxito. Se izaron, entonces, hasta el techo por los pies, dejándolos colgando como marionetas con los brazos abiertos en el aire.

Se dejaron deliberadamente colgar las faldas de Claretta para que fuese posible "ver", entre risas y obscenidades, que no llevaba bragas. Sólo un fraile, don Pollarolo, se apiadó de la desafortunada mujer y le volvió a subir las vestimentas asegurándolas con un pasador.

Giovannino Guareschi reporta (en Cándido) la opinión incalificable de una mujer de la multitud que disfrutando de la macabra exhibición dijo: "¡Pero qué hermosas piernas!".

Rachele Mussolini se enteró de la muerte de su esposo y de los acontecimientos de Piazzale Loreto en la radio. Fue a entregarse a los partisanos, después de haber sido rechazada tanto en la frontera con Suiza como por el obispo de Como, a quien había solicitado asilo, no para ella, sino para sus hijos, Romano y Annamaria.

Segun un relato de Silvio Bertoldi, un pequeño avión paso en vuelo bajo sobre la multitud que acudía a ver el horrible espectáculo. A bordo se encontraba Humberto de Savoia, entonces lugarteniente del reino. Cuando aterrizó en Turín, le informaron acerca de la muerte del Duce y de los horribles acontecimientos en la Plaza Loreto de Milán. No dijo ni una palabra.

La muerte de Claretta es un asesinato por decir lo menos incómodo y difícil de justificar.

E incluso Mussolini no debió de haber sido ejecutado de esa manera, ya que no murió durante un enfrentamiento, sino que fue eliminado a consecuencia de una fría y premeditada decisión política, de la que muchos aspectos todavía quedan obscuros.

Fue un error político, tan grave como irreparable.

Si se acepta Piazzale Loreto, entonces también hay que aceptar la lógica de las Brigadas Rojas, que es la ideología del asesinato como una solución política.

Y esto, en italiano, tiene un nombre preciso: barbarie.

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Non ci sono motivi
per condannare Claretta Petacci.
Non so perché sia stata uccisa.

Sandro Pertini, 1983