Luisa Ferida,
una zingara
a Cinecittà

Donne d'Italia, di Claudio Bosio.
Seconda parte.


 

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29 maggio 2011.
- Era nota ai più con il suo nome d’arte, Luisa Ferida, ma all'anagrafe risultava come Luigia Manfrini Farné, nata il 18 marzo 1914 a Castel San Pietro, una cittadina ai confini con la Romagna e poco distante da Bologna. Era una donna avvenente, dai lineamenti zingareschi: lo sguardo imbronciato, gli zigomi alti, i capelli color carbone, il corpo splendido, il portamento altero. Aveva una rotonda carnalità da bellezza popolana (seno prosperoso e fianchi larghi) molto amata dagli italiani di allora. Come traspare dalle sue immagini (foto e film) d’epoca, era dotata di un’indubbia sensualità: qualcosa di erotico, di torbido e di felino insieme.

Aveva debuttato, giovanissima, in teatro nelle compagnie di Ruggiero Ruggieri e Paola Borboni, poi, spinta da un'indole istintiva e impaziente, nel 1935, decise di abbandonare il palcoscenico e di trasferirsi a Roma per tentare la fortuna nel cinema.

Fu allora che, forse ispirandosi a un vecchio stemma nobiliare che arredava la casa paterna su cui era raffigurata una mano trapassata, "ferita" da una freccia, scelse il nome d'arte di Luisa Ferida.

Esordì sul grande schermo con il film Freccia d'oro (1935) di Corrado D'Errico. Luisa si impose sullo schermo con una certa facilità; più difficile fu per lei ottenere un'autentica affermazione. Nel 1937 si legò sentimentalmente al produttore F. Salvi, sodalizio che tuttavia non la aiutò più di tanto: il "Protettore" morirà di cancro, ma lei aveva già vinto la sua battaglia.

Nel biennio successivo fu, infatti, al fianco di attori celebri, tra cui spesso Amedeo Nazzari e anche Gino Cervi, in ruoli da protagonista (quasi sempre di popolana umile e appassionata) ma nella convenzionalità di pellicole che, pur valorizzando il suo tipo fisico di bellezza mediterranea e sensuale, non riuscivano a darle vera evidenza. Fu Alessandro Blasetti (1900-1987) detto "il regista del Duce", che la proiettò rapidamente verso un orizzonte divistico di rilievo, permettendole di mettere in evidenza il suo temperamento grintoso e la sua recitazione asciutta e nervosa.

Partecipò pertanto (1941) a due celebri film di successo di questo regista (La corona di ferro [1] e La cena delle beffe), divenuti oggetto della curiosità popolare perché proponevano le prime nudità del cinema italiano. La notorietà così acquisita le aprì veramente tutte le porte di Cinecittà. Lavorò intensamente: dal 1935 al 1944 (10 anni) partecipò a 35 film. Nel 1942 venne premiata come migliore interprete italiana per Fari nella nebbia di Gianni Franciolini.

Il suo "anno fatale" fu il '39. La sua carriera, in quell’anno, giunse a una svolta decisiva attraverso due incontri: il primo, come già accennato, con Blasetti, regista di autentico valore, l’altro, sentimentale e artistico, con l'attore Osvaldo Valenti (1906-1945), uno fra i più brillanti interpreti del cinema italiano (altra "creatura" di Blasetti).

Tutto ebbe inizio una sera di mezza estate del '39, quando Osvaldo e Luisa cenarono insieme in uno dei più eleganti ristoranti romani.
 


Luisa Ferida con Totó nel film "Animali Pazzi", del 1939.

 

Nato a Costantinopoli, Osvaldo proveniva da famiglia benestante: suo padre, barone siciliano, era un commerciante in tappeti, mentre sua madre, una libanese di condizione agiata, era di origine greca. Allo scoppio della prima Guerra Mondiale (1915) la famiglia fu costretta a lasciare la Turchia e si trasferì in Italia, prima a Bergamo, poi a Milano. Dopo aver frequentato i licei di San Gallo e di Würzburg, in Svizzera, diciannovenne, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l'Università Cattolica di Milano, ma due anni più tardi abbandonò gli studi e se ne andò a vivere prima a Parigi, poi a Berlino.

Era un personaggio oltremodo scandaloso per l’epoca. Eccentrico, esibizionista, sfacciato, grande affabulatore (parlava correttamente 6 lingue, compreso l’arabo), perenne vagabondo, impenitente sciupa - femmine, impudente cocainomane, Valenti era uno degli attori più quotati del momento, il «cattivo» dello schermo. Gentiluomo, aveva i lineamenti fini, del gran signore, era insolente ai limiti dell’arroganza: come si dice, mandava a quel paese chiunque gli «rompesse le scatole». Un leggero sorriso ironico gli aleggiava sulle labbra. Amava il capriccio, la spavalderia, la provocazione, la trasgressione, l'avventura. Viveva alla giornata, senza porsi "perché". Incarnava il verso di Lorenzo de’ Medici: «chi vuol esser lieto sia, del doman non c’è certezza».

Rimase sempre un giocatore d'azzardo dai rilanci illimitati.

La storia a due con Luisa sembrava non dovesse reggere. Invece, il loro sarà un rapporto tenace, un amore appassionato. Mai si sarebbe pensato ad un’unione tanto profonda e totale, tra due persone così dissimili in tutto, così all' opposto per carattere, nascita, cultura, educazione, istinti.

Osvaldo la inizierà ai libri, alle feste (e alla cocaina!) le rivelerà l'amore per l'avventura e il rigetto di ogni inibizione. Lei lo seguirà, fedele e quasi timorosa di perderlo; diverrà prigioniera della sua personalità. Tragicamente gli dovrà l'amore e la morte.

La coppia Valenti-Ferida debuttò sul set di Un'avventura di Salvator Rosa (1940). I due convivevano ai Parioli, lavorando a pieno ritmo: lei era una bellissima Musa di carne (e l'attrice più pagata d'Italia), lui era un leader sullo schermo, nei vizi e nella vita.

A completare il rapporto mancava solo un figlio. Purtroppo il loro Kim nacque e morì subitaneamente nell'estate del '42. La sua vita di neonato asfittico si chiuse dopo quattro giorni di speranze e sofferenze. Luisa ne fu distrutta.

Intanto, nel '43, l'Italia si spaccava e al Nord, aveva inizio la storia crepuscolare di Mussolini e della Repubblica di Salò.

Ferida e Valenti furono fra i pochi divi del cinema dei telefoni bianchi (come viene abitualmente chiamato il periodo della cinematografia fascista) ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana, alleata dei nazisti.

Lasciarono così Roma (e Cinecittà) per trasferirsi a Venezia, al "Cinevillaggio", il neonato centro cinematografico messo in piedi dal MINCULPOP, Ministero della Cultura Popolare, diventandone i più noti esponenti. Valenti aveva 37 anni e la Ferida 29.


[1] Il film è celebre anche per la scena, azzardata per l'epoca, in cui viene mostrato per pochi secondi il seno nudo della giovane attrice Vittoria Carpi. Comunemente il primo seno nudo del cinema sonoro italiano è però considerato quello di Clara Calamai nel successivo film di Blasetti, La cena delle beffe,  probabilmente perché la Calamai è la protagonista del film, mentre la Carpi è giusto una comparsa. La "primogenitura" è per altro rivendicata anche da Doris Duranti, rivale artistica della Calamai, per il film Carmela (1942), con la seguente spiegazione: «il mio fu il primo seno nudo ripreso all'impiedi, apparve eretto com'era di natura, orgoglioso, senza trucchi, invece la Calamai si fece riprendere sdraiata, che non è una differenza da poco» 

 

(continua ...)

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Lee la primera parte

 

29 de mayo de 2011. - Fue conocida por muchos por su nombre artístico, Luisa Ferida, pero para el registro civil era Luigia Manfrini Farné, nacida el 18 de marzo de 1914 en Castel San Pietro, una pequeña ciudad en la frontera con la Romaña y no lejos de Bolonia. Era una mujer hermosa, con rostro de gitana: la mirada hosca, los pómulos altos, el cabello negro como el carbón, un cuerpo escultural y un porte altanero. Poseía el atractivo carnal de la belleza pueblerina (pechos grandes y caderas anchas), muy apreciado por los italianos de la época. Como se refleja en sus imágenes de aquél entonces (fotos y películas), proyectaba una sensualidad innegable, una mezcla de atractivo erótico y elegancia felina.

Debutó en teatro, muy joven, en las compañías de Ruggiero Ruggieri y Paola Borboni hasta que, impulsada por un carácter instintivo e impaciente, en 1935 decidió abandonar los escenarios y trasladarse a Roma para buscar suerte en el cine.

Fue entonces que, tal vez inspirada por un antiguo escudo que decoraba la casa de su familia en la que se representaba una mano atravesada, "herida", por una flecha, eligió el nombre artístico de Luisa Ferida.

Debutó en la pantalla grande con la película Flecha de oro (1935) de Corrado D'Errico. Luisa se ​​impuso en la pantalla con relativa facilidad, sin embargo fue más difícil llegar a consolidarse entre los gustos del público. En 1937 se involucró sentimentalmente con el productor F. Salvi, una relación que, sin embargo, no la ayudó mucho: su "protector" murió de cáncer, pero ella ya había ganado la batalla.

Durante los dos años siguientes apareció, de hecho, junto a actores famosos, como Amedeo Nazzari y Gino Cervi, interpretando el papel principal (casi siempre una humilde y apasionada mujer de la clase trabajadora), pero en películas convencionales que, aunque resaltaban su belleza mediterránea y sensual, no lograban ponerla totalmente en evidencia. Fue Alessandro Blasetti (1900-1987) conocido como "el director del Duce", él que la proyectó rápidamente hacia el estrellato, permitiéndole poner de relieve su fuerte temperamento y actuación nerviosa y seca.

Participó así (1941) en dos famosas películas de éxito de este director (La Corona de Hierro [1] y La cena de las trampas), que se convirtieron en tema de curiosidad popular ya que trajeron las primeras escenas de desnudo al cine italiano. La fama adquirida le abrió realmente todas las puertas de Cinecittà. Trabajó intensamente: desde 1935 hasta 1944 (10 años) participó en 35 películas. En 1942 fue reconocida como la mejor intérprete italiana por la película "Luces en la niebla" de Gianni Franciolini.

Su "año decisivo" fue el 1939. Su carrera, en ese año, llegó a un punto de inflexión a causa de dos encuentros: el primero, como ya se mencionó, con Blasetti, director de gran valor, y el segundo, de carácter sentimental y artístico, con el actor Osvaldo Valenti (1906 - 1945), uno de los intérpretes más brillantes del cine italiano (otra "creación "de Blasetti).

Todo comenzó una tarde a mediados del verano de 1939, cuando Luisa y Osvaldo cenaron juntos en uno de los mejores restaurantes de Roma.

Nacido en Constantinopla, Osvaldo provenía de una familia acomodada: su padre, barón de Sicilia, fue un comerciante de alfombras, mientras que su madre, libanesa adinerada, era de origen griego. Con el estallido de la Primera Guerra Mundial (1915) la familia se vio obligada a salir de Turquía y se trasladó a Italia, antes en Bérgamo y después en Milán. Después de asistir a las escuelas preparatoria de San Gallo y Würzburg, en Suiza, a los diecinueve años se inscribió a la Facultad de Derecho de la Universidad Católica de Milán, pero dos años más tarde dejó los estudios y se fue a vivir primero a París y a continuación en Berlín.

Se trataba de un personaje sumamente escandaloso para aquella época. Excéntrico, exhibicionista, excelente narrador (hablaba seis idiomas, incluido el árabe), vagabundo, pervertidor de mujeres y descaradamente adicto a la cocaína, Valenti fue uno de los actores más populares del momento, el "malo" de la pantalla. Era todo un caballero, tenía las características de un gran señor y se mostraba desafiante hasta llegar a los límites de la arrogancia: como se dice, mandaba "muy lejos" a quienes interferían con su vida." Una sonrisa irónica se cernía ligera en sus labios. Le encantaba el capricho, la arrogancia, la provocación, la transgresión y la aventura. Vivía al día, sin cuestionamientos. Era la representación viviente de la famosa frase de Lorenzo de' Medici "El que quiera ser feliz que lo sea, no hay certeza del mañana".

Siempre fue un jugador empedernido.

La relación con Luisa parecía destinada al fracaso. Pero, inesperadamente, desarrollaron un amor tenaz y apasionado. Nunca nadie habría imaginado una unión tan profunda y total entre dos personas tan diferentes en todo, perfectos opuestos en carácter, origen, cultura, educación e instintos.

Osvaldo la introdujo al ambiente de los libros y de las fiestas (con todo y cocaína) y desarrolló en ella el amor por la aventura y el rechazo a cualquier inhibición. Ella lo acompañó, fiel y temerosa de perderlo, volviéndose prisionera de su personalidad. Trágicamente él fue la causa de su amor y de su muerte.

La pareja Valenti-Ferida debutó en una película de aventuras de Salvator Rosa (1940). Los dos vivieron juntos en el barrio de Parioli, trabajando incesantemente: ella era una bella musa sensual (y la actriz mejor pagada en Italia), mientras él fue un líder en la pantalla, en los vicios y en la vida.

Para completar la relación sólo hacía falta un hijo. Desafortunadamente, Kim nació y murió de repente en el verano de 1942. Su vida de recién nacido con graves problemas de resistencia física terminó después de cuatro días de esperanzas y sufrimiento. Luisa resultó destrozada por los hechos.

Mientras tanto, en 1943, Italia se dividía y en el Norte comenzaba la historia de la República de Saló y el ocaso de Mussolini.

Ferida y Valenti fueron de las pocas estrellas del cine "de los teléfonos blancos" (como se suele llamar el período del cine fascista) que se unieron a la República Social Italiana, aliada de los nazis. Así que dejaron Roma (y Cinecittà) para al transferirse al "Cinevillaggio" (la Aldea del Cine) de Venecia, el nuevo centro cinematográfico creado por el Ministerio de la Cultura Popular, convirtiéndose en sus exponentes más famosos. Valenti tenía 37 años y Ferida 29.

 

(continuará ...)

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