Il doposisma:
Le domande degli aquilani

Di Emanuela Medoro.

8 maggio 2010. - Le domande che dopo più di un anno dal sisma catastrofico molti aquilani pongono a se stessi ed agli altri sono scritte in foglietti affissi nelle transenne che delimitano il primo blocco di portici di Corso Vittorio Emanuele, quello che fa angolo con Piazza Duomo. Ne riporto alcune che esprimono in sintesi i più sentiti problemi che coinvolgono tutti gli aquilani: Perché non si riaprono i negozi che non hanno subito danni? Perché la ricostruzione delle frazioni è ferma? Le piazze deserte e transennate bloccano il passaggio degli abitanti…da troppo tempo oramai.

Quanti anziani sono ancora lontani dalla città? Migliaia. Quanto è costato, fra hotel e kilometri di autostrada, tenere tanta gente sulla costa? Parlando di soldi la domanda più bruciante è la seguente: Sai quanto è costato veramente il piano C.A.S.E.?

Il lavoro è il problema che assilla tanta parte della popolazione, le attività stentano a riprendersi, tante piccole imprese a carattere familiare che operavano nel centro storico si sono volatilizzate, sono sparite, semplicemente, dove andate a finire? Di quanto è aumentata ad Aquila la Cassa Integrazione dopo il terremoto? Quanti cittadini non hanno più lavoro a causa del sisma? Sono migliaia quelli che avevano attività e clientela nel centro storico, zona rossa.

Ed infine una domanda che francamente suscita una sorta di malessere, chi è la Fintecna, quante case danneggiate sta acquistando, quanto le sta pagando?

L’impoverimento di una città dove si è sempre sgobbato onestamente, dove le proprietà sono il risultato di anni di sacrifici di famiglie intere, francamente è doloroso, per tutti, danneggia le generazioni future, più che quelle passate.

Per questi problemi a L’Aquila si tengono manifestazioni tutte le domeniche, famose quelle che hanno a simbolo la carriola, strumento usato per incominciare a rimuove le macerie accumulate e ferme da mesi nei vicoletti e nelle piazze. Le reazioni a queste manifestazioni sono molteplici, vanno da una serie di aggettivi qualificativi del tipo ingrati, piagnoni, fanulloni- rimboccatevi-le-maniche-e-lavorate, ad espliciti incoraggiamenti a proseguire la protesta ed a diffondere i simboli forti di essa.

Dunque il materiale che ho trovato per il corso domenica 2 maggio costituisce una buona risposta alle accuse di ingratitudine e fannulloneria. Quest’ultima accusa in genere è seguita dall’invito a rimboccarsi le maniche ed a lavorare ed è diventata un tormentone di quelli che meritano veramente una risposta specifica: ma come possiamo fare a riparare da soli case di cinque piani in cemento armato, fatte con travi che pesano tonnellate, oppure palazzoni in pietra per cui soltanto la rimozione delle macerie richiede l’uso di attrezzature pesanti e complesse?
Qualcuna di queste persone che si riempie la bocca con quel saggio consiglio mi dica come posso fare con le mie mani e con le braccia nude, a riparare i palazzi ancora disabitati del Torrione, procederò subito. E mi dicano pure come posso fare a riparare lo stesso Torrione, il resto dell’acquedotto medievale simbolo del quartiere, che ha perso un bel metro della sua altezza, i resti, ovvero i mattoni medievali, giacciono abbandonati tutt’intorno, insieme alla sporcizia che da sempre lo circonda, avendo la popolazione del luogo la bella idea di deporre i sacchetti dell’immondizia in una cavità alla sua base, mentre poco più in là ci sono i cassonetti regolamentari. Tutto questo per la fannulloneria, cui aggiungo I. che molte delle case in stato di abbandono si trovano in zona rossa, cioè transennate e sorvegliate dai militari, si può entrare con l’elmetto in testa ed accompagnati dai vigili del fuoco, 2. che gli aquilani sono una razza di gente che ha costruito con le sue mani i grattacieli di New York, dove hanno le attrezzature necessarie, le maniche lunghe alle tute da lavoro ed il permesso di accesso al cantiere.

E adesso passiamo alla ingratitudine.

Ingrati dunque perché poniamo delle domande? Ingrati perché vogliamo partecipare alla ricostruzione? Forse la gratitudine implica l’essere privi di pensiero autonomo, sordi, ciechi e muti? Invitiamo quelli che ci ritengono tali a venire di persona a vedere le condizioni del centro storico della nostra città. Le case del progetto C.A.S.E., per altro insufficienti a far rientrare tutta la popolazione ancora in esilio sulla costa, sono una edizione senz’altro migliorata dei containers in uso vent’anni fa, e di esse tutti siamo grati a chi si è impegnato a costruirle. Ma la gratitudine non può privarci del diritto di pensare, vedere, udire ed esprimere le nostre opinioni liberamente, e soprattutto non riesce a cancellare il bisogno di tornare in tempi brevi nelle nostre case, negozi, piazze, vie e chiese dei centri storici della città e dintorni, belli, armoniosi ed a misura d’uomo.

 

emedoro@gmail.com

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